La sinistra ancora aggrappata ai pensieri di Gramsci

La crisi del capitale avanza, mentre una parte della “sinistra borghese” (più o meno “antagonista”) si aggrappa ancora ai pensieri di Gramsci

La destra e la sinistra borghese hanno una sola preoccupazione: far uscire il capitalismo dalla crisi che lo attanaglia. Ma noi, comunisti internazionalisti, dobbiamo forse contribuire a ridare forza e vigore a questo sistema economico-sociale o al contrario dobbiamo impegnarci a liberare dal giogo del capitalismo la classe operaia e con lei l’intera umanità? La nostra risposta è una sola: a noi, comunisti, spetta il dovere e il diritto di dare organizzazione e forza al "movimento reale che abolisce lo stato delle cose presenti". Ed è nell’ambito di questo impegno, che una parte del nostro compito consiste anche nel commentare criticamente i fatti e i misfatti – passati e presenti – di questa infame società, soffermandoci sui “rimedi” che i pensieri di una certa “sinistra” formulavano ieri e ripropongono oggi.

E’ di due anni fa l’annuncio dato da un “esperto” economista, Savona: “il Pil italiano può crescere del 3%”. Poi fu la volta del premier Conte: “Il 2019 sarà un anno bellissimo”, seguito dal vicepremier Di Maio (dal balcone…): “abbiamo abolito la povertà! Il 2019 sarà l’anno del boom economico”. Da allora, l’attuale economia è sprofondata nelle sabbie mobili della recessione ufficiale: fabbriche che chiudono, cassa integrazione e disoccupazione (specie giovanile) ad alto livello, in attesa che le aziende al posto di pensionati a quota 100 assumano migliaia di giovani! (Secondo dati ufficiali, 30 a 100 è il rapporto fra nuovi assunti e pensionati volontari!) Intanto il debito pubblico è aumentato di altri 160 mld di euro mentre le maggiori potenze prparano la guerra dei dazi, e si concretizza la minaccia del possibile scoppio di una nuova bolla finanziaria, nonostante dal 2008, nei paesi del G20, siano state introdotte quasi 1200 misure di limitazione non solo degli scambi di merci ma anche di alcune restrizioni nei movimenti di capitale. Le più altolocate teste d’uovo della borghesia sventolano i loro ricettari riformistici: il paziente però non solo rifiuta le miracolose medicine proposte, ma trascina con sé, in una fossa sempre più profonda, i suoi stessi soccorritori.

Un pensiero che già fu di Gramsci e che ancora attira i riformisti

Preso atto di una situazione vicina ad un collasso e non certo ad una “ripresa”, lo sbando ideologico della varie schiere dei sostenitori (diretti o indiretti, questi ultimi persino avvolti in bandiere di un falso anticapitalismo!) blaterano attorno a fantomatici interventi persino a livello… strutturale. Riscoprendo – e di questo ci stiamo occupando - addirittura qualcuno dei pensieri che assillarono un Gramsci nel carcere fascista, con le sue fantasiose ipotesi di “trincee” da costruire nella società borghese e di “casematte” da erigere nel bel mezzo delle istituzioni “pubbliche e private”. (Le sovrastrutture della società civile erano da Gramsci considerate al pari delle trincee nella prima guerra mondiale, una tattica militare profondamente cambiata in seguito…)

L’ombra del partito-principe

A dirigere le manovre per l’applicazione della sua “filosofia della praxis”, Gramsci guardava al “partito che vuole fondare lo Stato, il partito-principe”, che con i suoi “intellettuali organici suscita una volontà collettiva nazionale-popolare” e mette in pratica “una riforma intellettuale e morale, una forma superiore di civiltà moderna” che si attua nelle sovrastrutture. Gramsci accennava anche ad “una precedente riforma economica”, ma la sua attenzione “ideologico-politica” era principalmente rivolta a quella “struttura della società civile” che riteneva in grado di resistere (questo era il suo chiodo fisso) alla crisi economica. Bastava allora introdurre degli elementi progressisti nella stessa economia capitalistica… ed era nelle sovrastrutture che si dovevano appoggiare – democraticamente – le contese fra capitale e lavoro. Dunque, un disegno animato sempre dal desiderio di trarre dai guai il sistema dell’accumulazione capitalistica, evitandogli violenti collassi. Un tentativo, ideologico, di dare veste teorica ad un aggancio al riformismo borghese, dopo aver annacquato quella spinta rivoluzionaria che l’Ottobre Rosso del 1917 aveva suscitato e che Mosca negli anni successivi avrebbe bloccato completamente.

L’apparato egemonico

Se cogliamo l’occasione per criticare il “pensiero” di Gramsci, è anche perché esso è tornato di moda, non solo qui da noi ma soprattutto (più o meno esplicitamente) fra le “sinistre” dell’America Latina, dove ancora sopravvivono ampie zone rurali e realtà contadine, con strati di intellettuali dediti a rielaborazioni di “categorie” socio-politiche che l’idealismo di Gramsci ha lasciato in eredità ai suoi epigoni. Ed elucubrazioni che rinverdiscono l’appassito idealismo gramsciano (spacciato per “filosofia della prassi” a deformazione totale del marxismo) le abbiamo lette, recentemente, proprio qui da noi. (Vedi Gramsci oggi, n. 0 – maggio 2017).

Un Gramsci, dunque, che mirava (idealisticamente) alla formazione di un “apparato egemonico” il quale avrebbe dovuto creare “un nuovo terreno ideologico” entro il quale portare a compimento “una riforma delle coscienze e dei metodi di conoscenza”. Da noi, il Pci (allora ancora in vita dopo aver “defenestrato” la Sinistra) sarebbe diventato “il partito di governo in senso democratico» e quindi capace – in qualità di “intellettuale collettivo” – di inspirare nelle classi subalterne una “volontà collettiva” e un “grado di omogeneità”. Ecco costituirsi il “soggetto storico”, la nuova classe dirigente, pronta la diventare classe dominante a sua volta (era questo il “verbo” che circolava fra gli “intellettuali organici”), conquistando “democraticamente” il potere politico col consenso del nuovo “blocco storico”… Insomma, la lotta egemonica aveva un preciso obiettivo: “la conquista del potere statale”. Ecco allora il formarsi di una nuova identità e la “coscienza politica” del cambiamento, previa “educazione all’arte di governo”, col partito politico che fa “scuola della vita statale”. Obiettivi, in versione farsesca, che si inseguono ancora fra le mura dei palazzi di Roma capitale, stuzzicati da ciò che altri – col loro “intelletto organico” – ritengono di aver scoperto. Alludiamo a quanti, snobbando quella che viene considerata una “filosofia” ottocentesca inseguita da Marx, cercano di convincere il “popolo” che nello Stato si incontrerebbero e si sommerebbero – come diceva Gramsci - la “società politica” (luogo del governo e dunque del dominio, della coercizione e della forza”) con la “società civile”, ovvero quell’area dove il pensiero gramsciano riteneva potesse formarsi (durando il dominio materiale ed anche “spirituale” ancora esercitato dalla classe borghese) uno spazio entro il quale far crescere un’altra egemonia e un corrispondente consenso al nuovo “blocco storico”.

Per Gramsci si sarebbe trattato della possibilità di una “rivoluzione passiva” volta alla «trasformazione riformistica della struttura economica da individualistica a economia secondo un piano (economia diretta)». E qui Gramsci si lanciava a volo libero nella visione dell’

avvento di una economia media tra quella individualistica pura e quella secondo un piano in senso integrale, la quale permetterebbe il passaggio a forme politiche-culturali più progredite senza cataclismi radicali e distruttivi in forma sterminatrice.

Quaderni, pag. 1089

Come sopra detto, sarebbe bastata una pacifica “riforma” al posto di una radicale rivoluzione, violenta e «sterminatrice», col pericolo di una eventuale risoluzione catastrofica per tutti…

Altro rilievo di non poca importanza: quando Gramsci scriveva di «apparati egemonici di Stato», non chiariva che cosa desse sostanza, carattere - e soprattutto forza e violenza - a questi apparati predominanti. Si limitava a scrivere che essi appartenevano alla società civile (che sarebbe poi lo Stato), ma erano da considerarsi “privati”. Infatti, sempre Gramsci scriveva che «per Stato si deve intendere non solo l’apparato governativo, ma anche quello “privato” di egemonia o società civile». Su tutti, il dominio (pubblico e privato) del capitale.

Lo Stato al di sopra delle classi

Alla “conquista del potere statale” mirava la lotta egemonica, e Gramsci puntava la sua “tattica” nel formarsi di una “nuova identità” e di una “coscienza politica” del cambiamento, attraverso una “educazione all’arte di governo”, col partito politico che fa “scuola della vita statale”. Un “fenomeno” politico-culturale che si sarebbe formato – nonostante una realtà materiale che l‘astrazione filosofica mascherava! – nonostante la presenza di un apparato egemonico tanto economico quanto sociale ed ideologico, edificato dalla borghesia in forza dei rapporti di produzione imposti dal capitale, gli stessi che hanno dato (e ancora danno) una qualificazione predominante agli apparati statali esistenti. (1) Gramsci aggirava l’ostacolo, e in quelli che definiva “apparati pubblici” vedeva la possibilità - sempre e solo con l’apporto degli “intellettuali organici” - di realizzare una “rivoluzione passiva” o meglio un programma riformatore. Il quale avrebbe aperto la strada per una “economia mista”. Con la dovuta prudenza: visto l’aria che tirava in Europa e in Russia (oltre che in America), era meglio restare ciascuno dentro i confini del proprio Stato nazionale e abbandonare certe idee… ottocentesche, quali la socializzazione dei mezzi di produzione e l’internazionalismo proletario! Ci riprovano, oggi, i “sovranisti”…

Ed ecco che, ancora oggi e a proposito di un “quieto vivere” fra capitale e levoro, qualche nostalgico di quel “nazional-comunismo” che in seguitò miscelò le “idee” di Gramsci con quelle di Togliatti, guarda con nostalgia ai tempi del collaborazionismo sindacale alla Di Vittorio nel secondo dopoguerra, accarezzando di nuovo l’idea (già in circolazione ai tempi delle Botteghe Oscure) di un “piano del lavoro” e di una “programmazione economica” che mantenga intatti i vincoli del modo di produzione capitalistico. Un “plastico” esempio è quello offertoci poco tempo fa da un certo Bruno Casati (Il lavoro tra operai digitali e cottimisti del voucher, Sinistrainrete): «C’è insomma un’Italia economica, del Lavoro e dell’Impresa, che, se non vuole restare colonia, va ricostruita. Per farlo è necessario recuperare lo spirito della ricostruzione post-bellica, quella che portò alla definizione della Carta Costituzionale fondata sul lavoro (e, almeno per i comunisti di Togliatti, fondata sui lavoratori) e poi portò al Piano del Lavoro della CGIL di Di Vittorio. Ma, ora come allora, bisogna che la spinta la esercitino il Sindacato, che c’è ma è spento, e un Grande Partito del Lavoro, che invece non c’è e va anch’esso ricostruito dalle macerie». Quindi, siamo alla rivendicazione di un “diritto al lavoro”, che Marx indicava come

la prima formulazione goffa in cui si riassumevano le rivendicazioni rivoluzionarie del proletariato [... e che di seguito così commentava:] Ma dietro il diritto al lavoro sta il potere su capitale, dietro il potere sul capitale sta l’appropriazione dei mezzi di produzione, il loro assoggettamento alla classe operaia associata, e quindi l’abolizione del lavoro salariato, del capitale e dei loro rapporti reciproci.

Questa – commentava Engels – la «netta distinzione del socialismo operaio moderno scientifico dalle diverse sfumature del socialismo borghese, piccolo-borghese, ecc.». Ed a proposito della richiesta che era stata fatta da «alcuni sapientoni inglesi» affinché i “mezzi della distribuzione” passassero alla società, Engels scriveva:

Sarebbe difficile a questi signori dire quali siano questi mezzi economici di distribuzione, diversi dai mezzi di produzione e di scambio, a meno che non si parli di mezzi di distribuzione politici, imposte, assistenza ai poveri e altre dotazioni. [... Concludendo:] Ma questi sono già ora mezzi di distribuzione in possesso della comunità, dello Stato o del comune, e in secondo luogo NOI LI VOGLIAMO PURE ABOLIRE.

Le maiuscole sono nostre, a sottolineare che per Marx, Engels e noi, è fondamentale che soprattutto i mezzi di produzione e di scambio siano nelle mani del proletariato. Dopo aver distrutto trincee e casematte costruite dalla borghesia e dai suoi “progressisti”…

Concludiamo con le rivendicazioni oggi avanzate da questa pseudo sinistra al servizio di una ipotetica sopravvivenza del capitalismo, per ottenere dal capitale – democraticamente e in cambio del mantenimento della nostra schiavitù di salariati – una serie di elargizioni che possano – almeno formalmente – alleviare le sofferenze dell’attuale “valle di lacrime”. Con un aumento delle retribuzioni dei dipendenti pubblici e privati, l’appoggio ad un piano di assunzione nella sanità (stanno già mancando migliaia di medici), nell’istruzione, nel welfare. Lo Stato dovrebbe persino ridurre del 20% le spese militari, tagliare i 16 miliardi di sussidi ambientali dannosi, mettere una tassa patrimoniale dell’1% sull’1% più ricco della popolazione (20 miliardi di entrate), varare delle decenti “Web tax” e “Tobin tax”… E tutto questo programma di massima contestazione, sarebbe attuabile - per chi lo ha progettato - non rivoluzionando questo modo di produzione e distribuzione ormai storicamente in decadenza, ma semplicemente “cambiando indirizzo rispetto a quello dell’attuale governo”.

Con una tale “opposizione” (in alcuni casi addirittura proclamandosi “antagonista”…) il capitale potrebbe dormire sonni relativamente tranquilli, se non fosse per quelle cadute del saggio di profitto che scuotono le fondamenta dei suoi palazzi e cominciano ad incrinare i muri delle sue stanze private… Alcune di quelle pubbliche sono già in evidente rovina.

DC

(1) Sarà Lenin a ricordarci che «l’ideologia borghese è ben più antica di quella socialista, è meglio elaborata in tutti i suoi aspetti e possiede una quantità incomparabilmente maggiore di mezzi di diffusione (…) E’ la più diffusa e resuscita costantemente nelle più svariate forme» (Che fare?). Su masse proletarie oppresse e sfruttate, l’ideologia conservatrice borghese esercita una influenza soffocante, ingabbiandolo nelle logiche del capitale e tenendolo legato al potere e agli interessi, mistificati, del capitale.

Domenica, September 8, 2019