Pechino fa sue le presunte “revisioni” di Engels alla critica della economia politica di Marx (già “introdotte” da Stalin)

Alcune tematiche affrontate da Engels, teoricamente e politicamente, hanno riguardato anche aspetti in parte interpretativi degli scritti di Marx e in parte dettati dall’obiettivo di una sempre più precisa definizione della concezione materialistica e della dialettica del concreto. Col tempo sono stati poi aperti alcuni problematici spazi nei quali si sono prontamente inseriti “cani e porci” per adempiere ai propri… bisogni. Lo stesso stalinismo contribuì a mischiare le carte, collaborando alla diffusione di equivoche definizioni ed infine di aperte negazioni o del materialismo o della dialettica. Avrebbe fatto parte di queste “varianti” anche la “filosofia della prassi” di Gramsci, in definitiva un allontanamento dal materialismo con un avvicinamenti all’idealismo. Una strada che nel complesso ha condotto molti a costruire forme di una ideologizzazione che è rimasta impantanata in un indiretto (a volte anche diretto…) sostegno al sistema dominante, sia in senso materiale che “spirituale”, e dal quale sono derivati tentativi, fallimentari, di sintesi tra frammenti di neoidealismo e di un marxismo volgarizzato ed edulcorato.

Cogliamo l’occasione dei 200 anni dalla nascita di Engels per qualche considerazione riguardante un’altra deformazione che fu anch’essa al centro di una interpretazione mistificante, non solo del pensiero di Engels ma anche di quello dell’inseparabile Marx. Si tratta di una falsificazione oggi particolarmente diffusa in quello che da Pechino si diffonde come “capital-socialismo”. Ad Engels, fu infatti ufficialmente attribuita – fin dai tempi di Stalin, sia come definizione sia come attuazione “pratica” - la concezione di un “socialismo mercantile” nel quale sarebbe stata convalidata la presenza sia della legge del valore sia delle merci.

Va detto in proposito, che - nonostante oggi Pechino presenti come una propria originale “scoperta” il quadro economico formatosi in Cina (e sul quale ci soffermeremo in questo scritto) - la evidente falsificazione della critica dell’economia politica di Marx, ha le sue origini e applicazioni controrivoluzionarie con lo stalinismo. Oggi, dopo i fu gestori del “socialismo in un solo paese”, sono i governanti di Pechino a esibire, come una loro personale creazione, il “capital-socialismo”. Rigorosamente “nazionale” nonostante si professi internazionale; i percorsi e le giustificazioni in tal senso sono più che mai obbligati per chiunque scelga la strada della controrivoluzione, alzando le bandiere di un capitale “socializzato”… Dietro il pragmatismo sbandierato da Pechino, trapela il medesimo grossolano positivismo presente in parte nell’ideologia economicistica di Stalin*.*

Il “socialismo mercantile” attribuito ad Engels

Dopo aver manomesso in lungo e in largo il “pensiero” di Marx, si è arrivati strada facendo a propagandare la scoperta di un Engels quale diretto responsabile di un’ulteriore “versione degenerativa” – oltre i suoi specifici contenuti di ordine… “filosofico” – di aspetti politico-economici di quel pensiero che lo stesso Engels contribuì a definire ufficialmente, nella sua complessità, “marxismo”, e al quale più volte confermò la sua convinta adesione (1). In epoca stalinista, fra i tanti ipocriti giudizi che accompagnarono le ristampe degli scritti di Marx e di Engels, il secondo fu da molti apologeticamente esaltato attribuendogli l’anticipazione di un “modo di produzione socialista delle merci”. Engels avrebbe fornito – a detta di tanti… sepolcri imbiancati - una interpretazione pianificatrice dell’economia politica più che un suo contributo alla critica rivoluzionaria di Marx, che fu distruttrice proprio della stessa economia politica sostenuta dal capitale. Non per tutti…

Rimaniamo nell’ambito di questi artefatti pensieri interpretativi essendoci capitato tra le mani la recensione di un vecchio libro dello stalinista Leontjew: Engels e la dottrina economica del marxismo (edizione tedesca della Accademia Verlag di Berlino – 1970). Già il titolo appare significativo: dalla critica della economia politica si passa ad una supposta “dottrina economica del marxismo”, chiaro esempio di quanto sopra detto a proposito di vere e proprie falsificazioni.

Da alcune pagine del libro citato, si possono apprendere volgarizzazioni di vario tipo, ai tempi in voga ad opera dello stalinismo ed ancora oggi non chiarite pur essendo ben presenti nel pensiero di molti “antagonisti”. Si tratta in particolare della persistente forma di merce che anche in un “modo di produzione socialista” assumerebbe ogni “prodotto del lavoro immediatamente sociale, pianificato a misura della totalità sociale”, così come veniva considerato allora nel “paese del socialismo” con capitale Mosca. Marx, naturalmente, questo non poteva neppure lontanamente pensarlo ai suoi tempi, quando considerava la merce, giustamente, come “presupposto e prodotto del capitale”. Imprigionato in questo suo convincimento, il poveretto non poteva certo immaginare che, con la “realizzazione” del socialismo di marca stalinista, tutte le categorie fondamentali del capitalismo avrebbero assunto quasi magicamente una nuova identità.

Ed Engels, nel suo Antiduhring, precisava chiaramente che se i prodotti sono offerti in vendita e destinati allo scambio, quindi con una produzione mercantile, è perché si sta formando “l'anarchia nella produzione sociale”. Il capitale starebbe tentando - con la trasformazione dei mezzi di produzione da individuali in mezzi di produzione sociali – di superare la contraddizione tra produzione e distribuzione, senza minimamente toccare nella sua totalità la forma dello scambio dei prodotti, comunque trasformati in merci e attraverso l’uso del denaro. Ma se «la produzione è diventata un atto sociale, lo scambio e con esso l'appropriazione rimangono atti individuali, atti del singolo». (Marx). La estensione illimitata della produzione, lo «sviluppo inaudito delle forze produttive» portano «il modo di produzione a ribellarsi contro la forma dello scambio». (Marx). Appropriandosi dei grandi organismi di produzione e di traffico, lo Stato può persino fare a meno della stessa borghesia imprenditrice; ma soltanto la rivoluzione proletaria potrà

liberare i mezzi di produzione dal carattere di capitale […e rendere] possibile una produzione sociale conforme ad un piano [sociale] prestabilito.

Scomparirà l'autorità politica dello Stato, ed Engels concludeva rivendicando, quale compito storico del socialismo scientifico e del proletariato moderno, quello di

studiare a fondo le condizioni storiche per dare così alla classe, oggi oppressa e chiamata all'azione, la coscienza delle condizioni e della natura della sua propria azione.

Stalin rivaluta la legge del valore

Come è noto a chi non chiuse mai gli occhi e la mente di fronte a quanto accadeva in Russia dopo la meta degli anni Venti, fu Stalin a rivalutare senza mezzi termini “l’azione della legge del valore nel socialismo”, stabilendo la piena legittimità dei “rapporti mercantili-monetari”. A cosa si doveva un tale capovolgimento della realtà? Semplice, rispondeva il geniale Stalin: non esisteva più in Russia la proprietà privata e quindi la forza lavoro non era più da considerarsi come una merce che il capitalista potesse comprare e sfruttare nel processo di produzione. In Russia – proclamava autoritariamente Stalin – pur esistendo il capitale, non sussisteva un sistema di sfruttamento degli operai salariati da parte dei capitalisti… La proprietà era in parte statale, cioè socialista (a suo dire) attraverso una formale attestazione giuridico-statale e in parte cooperativo-colcosiana. Quella che veniva presentata, e in parte attuata in Russia, come pianificazione e “razionalizzazione del lavoro-valore“, si sforzava di superare l’anarchia del capitale privatamente gestito. Chi poi non era d’accordo con tali affermazioni, non poteva che essere considerato un pazzo e internato in luoghi appositi di cura…. Sappiamo, oggi, di quale tipo fossero.

Più o meno consapevolmente, Stalin e la sua banda controrivoluzionaria, si guardavano bene dal chiarire ciò che dietro un apparente fenomeno si nascondeva come sostanza di quel che accadeva, ovvero si mascheravano – con le buone o con le cattive! - i reali rapporti di produzione nei quali entrava nuovamente a far parte fondamentale, in qualità di merce, la forza-lavoro con la conseguente estorsione di pluslavoro durante il processo di produzione. Questo accadeva nella “produzione socialista” di… merci. Correggendo ciò che quell’antiquato di un Marx (e con lui Engels) si era ostinato a sostenere, ovvero che merce, denaro e capitale non sono semplici “cose” bensì l’espressione di uno specifico rapporto sociale, il quale fra l’altro consente di scambiare fra di loro non soltanto i prodotti del lavoro ma la stessa forza lavoro dei proletari pagandola con un salario. E’ chiaro, altresì, che pure il capitalismo porta ad una socializzazione del lavoro, ma lo fa in funzione della valorizzazione del capitale, attraverso cioè la legge del valore e le categorie economiche di merce, denaro e capitale (e di seguito costi, prezzi, circolazione delle merci e credito, salario e profitto). Categorie dominanti nella Russia di Stalin, in quanto ritenute valide anche per il “socialismo in un solo paese”. Non solo: secondo un Leontjev, senza di esse “l’economia socialista non avrebbe potuto funzionare normalmente”! Dopo di che, il lavoro-valore, oltre che un mezzo di calcolo esattamente come nel capitalismo, diventava non soltanto lo “strumento di pianificazione” ma lo “scopo della produzione socialista”. Una legge, quella del valore, che da Mosca veniva presentata come oggettiva e naturale, al di là del suo riferimento materiale e storico con la produzione capitalistica.

A quel punto tutte le elucubrazioni più o meno teoriche degli “economisti sovietici” si concentrarono sul problema del calcolo economico, fino a proporre, da parte di alcuni, il recupero di principi marginalisti ed un conteggio in termini di prezzi applicato anche per i mezzi di produzione.

L’accumulazione “socialista” approvata dallo stalinismo

Abbiamo preso lo spunto delle revisioni a cui è stato fatto oggetto Engels (e con lui Marx), per introdurre una breve disamina su quanto, economicamente, veniva spacciato in Russia per socialismo reale, durante lo stalinismo. E’ proprio alla illuminata mente di Stalin, che dobbiamo (Problemi economici del socialismo nell’URSS - 1952) (2) la rivalutazione delle leggi dell’accumulazione capitalistica, della produzione di plusvalore e sua realizzazione mediante valori di scambio; leggi presentate come “eterne” e poste addirittura alla base di una “accumulazione socialista” con la quale si giustificava “l’utilizzazione di una parte del reddito netto (la sottolineatura è nostra) della società, fatta di mezzi di produzione e di beni di consumo”.

Prima di Stalin, fu Preobragenskij a “scoprire” una cosiddetta “legge fondamentale della accumulazione socialista”, ovvero l’utilizzazione del sovraprodotto industriale per la riproduzione allargata che in Stalin, come abbiamo visto, diventava “l’utilizzazione di una parte del reddito netto“.

Visto e considerato il perdurare, in quel preteso "socialismo", della presenza e dell’azione di tutti i concetti e le categorie vigenti nel capitalismo, profitto compreso (proveniente “dall’industria leggera incontestabilmente redditizia e dove il lavoro degli operai ha una maggiore efficacia” - così diceva Stalin), diventava inevitabile l’esigenza di sviluppare “prevalentemente”, con precedenza su tutto, la produzione dei mezzi di produzione (industria pesante) come condizione che garantisse la possibilità di aprire nuove aziende dell’industria leggera, "incontestabilmente redditizie". Lo diceva Stalin apertamente: “Senza questo sviluppo prevalente della produzione dei mezzi di produzione, non è possibile in generale realizzare la riproduzione allargata”.

Tutto questo per soddisfare forse i bisogni della società? Sì, recitava impassibile Stalin in compagnia dei suoi ossequienti cortigiani, ma anche di molti colleghi nell’area occidentale del capitalismo privato. Negando, ma nello stesso tempo ammettendo, che quel “socialismo”, al pari del capitalismo, altro non fabbricava che prodotti destinati allo scambio mercantile (3) e quindi con un loro equivalente monetario; prodotti che dovevano realizzare un profitto, ovvero parte di quel plusvalore che l’operaio produce vendendo in cambio di un salario la propria forza-lavoro. L'obiettivo era quello di creare sempre nuove industrie, migliorando il rendimento e l’efficacia della forza-lavoro impiegata affinché l’azienda fosse in attivo, la gestione redditizia, e il guadagno commerciale elevato.

Questa accumulazione, definita “riproduzione socialista”, si fondava perciò su tutti i meccanismi (riproducendoli costantemente!) propri della produzione e circolazione capitalistica: dallo scambio mercantile al denaro, dalla legge del valore al plusvalore eccetera.

La produzione di merci è produzione di plusvalore

Ripartiamo da una lapalissiana constatazione: il capitalismo produce merci con lo scopo di produrre plusvalore; è il prodotto supplementare che gli interessa e che si appropria anche quando soddisfa - in minima parte - i bisogni di sopravvivenza dei proletari. In Cina perché si producono merci?

Nello schema della riproduzione allargata di Marx, una parte del plusvalore è destinato ad essere investito per “produrre” altro plusvalore: Stalin si appellava a questo schema per giustificare la “pianificazione socialista”. Lo dichiarava a chiare lettere: “La teoria marxista della riproduzione capitalistica è valida per tutte le società socialiste nella pianificazione dell’economia nazionale”. La falsa prova sarebbe stata la Critica al Programma di Gotha dove Marx – sempre secondo Stalin - avrebbe considerato “le tesi fondamentali della sua teoria della riproduzione evidentemente obbligatorie per un regime comunista”. Si trattava evidentemente di una speciale edizione per il Kremlino…

Nel volumetto della Critica al Programma di Gotha troviamo fra l'altro che Marx interviene a proposito della errata tesi lassalliana di una “giusta ripartizione a tutti i membri della società del reddito integrale del lavoro”. E precisa invece che dal prodotto sociale complessivo andranno fatte delle opportune detrazioni esclusivamente per fini e bisogni sociali, prima che il prodotto stesso venga distribuito direttamente fra i produttori. Le “opportune detrazioni” diventano per Stalin il “giusto profitto socialista”…

Come prima conclusione, ricordiamo che la «forma del mondo delle merci», assieme alla «forma denaro», - come scriveva Marx

vela materialmente il carattere sociale dei lavori privati, e quindi i rapporti sociali fra i lavoratori privati, invece di svelarli … Forme di questo genere costituiscono precisamente le categorie dell’economia borghese. Esse sono forme di pensiero socialmente valide, quindi oggettive, per i rapporti di produzione di questo modo di produzione sociale storicamente dato: la produzione di merci.

Il “profitto socialista”

In effetti, in presenza di tutte le leggi e le categorie economiche proprie dell’economia capitalistica (aggettivate come “socialiste”…), anche nel “socialismo” stalinista la parte di prodotto che finiva nelle mani dello Stato - più che mai identificabile come il “capitalista collettivo” - costituiva il profitto. Profitto che diventava “socialista”, s’intende, per uno Stalin e soci che si trinceravano dietro la necessità, anch'essa fattasi… “socialista”, di mantenere in vita “valuta e commercio”.

Questo profitto lo si faceva passare come “reddito netto della società”, dando con ciò indirettamente del pazzo visionario a Marx. Per il quale, se c’è profitto, ciò avviene perché vi è stato nel processo produttivo una netta distinzione tra lavoro necessario e sopralavoro; tra lavoro pagato e non pagato. E soprattutto non c’è stata affatto quella riduzione del tempo di lavoro vivente in generale, che costituisce una delle principali bandiere che sventoleranno sulla futura società socialista, come conseguenza dell‘accrescimento della forza produttiva sociale. Forza produttiva - la parola a Marx - «accresciuta dal capitale soltanto quando si risparmia, sulla parte pagata del lavoro vivente, più di quanto non vi si sia aggiunto di lavoro passato». (Il magnanimo Stalin tuttalpiù rimandava al futuro una qualche riduzione della giornata lavorativa: se ne poteva riparlare nel passaggio al comunismo, assieme ad un aumento del… “salario reale” degli operai…

Contenuti e forme

Dalla "accumulazione socialista" si sviluppava - secondo le classiche regole di una logica formale - la “riproduzione socialista“; ovvero l’industria socialista si sviluppava secondo la teoria della riproduzione capitalistica, a conferma (stiamo sempre seguendo il verbo staliniano) che le leggi che spiegano il funzionamento del capitalismo diventavano valide - quasi per un miracolo - per la costruzione del “socialismo” targato Mosca.

Al momento, l’accumulazione, valorizzazione e riproduzione (del capitale) dovevano far seguito all’aumento crescente del prodotto mercantile, innanzitutto nel settore dei mezzi di produzione e in un secondo tempo in quello delle merci di consumo; in entrambe le sezioni era comunque valida, e irrinunciabile, la forma valore cioè monetaria. Tutte le categorie della economia capitalista erano dunque presenti e ben vive, all’infuori - sempre secondo Stalin e soci - del... capitale, per incrementare il reddito nazionale!

A parte questo silenzio di comodo su ciò che era invece in realtà ben presente e dominante, cioè il capitale posseduto e gestito dallo Stato, tutto il resto veniva giustificato con la distinzione scolastica tra contenuti e forme, così come già Bucharin (sia pure in fase di comunismo di guerra) aveva tentato di far passare le categorie della merce, moneta, salario, prezzo, profitto, eccetera, come “categorie che esistono nella realtà ma nello stesso tempo non esistono. Non esistono e tuttavia esistono; esistono come se non esistessero”. (Bucharin, L’economia nel periodo di transizione)!

Con Stalin tutto si chiariva senza equivoci o imbarazzi teorici, e veniva perentoriamente affermato: “Marx riteneva la propria teoria della riproduzione valida anche per la produzione socialista, cioè per un regime socialista” (Stalin, I problemi economici del socialismo in URSS). E per chi non la pensava come lui, ricordiamo sempre i ricoveri in manicomio, i processi, i lavori forzati in Siberia, i plotoni d’esecuzione.

Giochi di prestidigitazione teorica e pratica

Una perla, a proposito della sopravvivenza del denaro nel “socialismo” russo, la troviamo in un libro dello stalinista Kronrod (Il denaro e la funzione del denaro nella economia socialista - 1954), là dove si leggeva testualmente: “Il denaro sovietico è il reale equivalente-denaro che possiede un valore intrinseco”...

Nel Manuale d’economia politica, edizione 1955, pubblicato dall’Accademia delle Scienze dell’URSS, si proseguiva sulla medesima strada:

La moneta in regime socialista, pur conservando la sua antica forma, cambia di contenuto sociale e di destinazione (...) La moneta ora assolve soprattutto il compito di misurare il valore delle merci (...) Nell’Unione sovietica è l’oro che gioca il ruolo di equivalente generale (...) Nell’economia socialista la moneta serve anche da tallone dei prezzi; è un mezzo di pagamento; un mezzo di accumulazione socialista e di risparmio…

Come se ciò non bastasse,

sebbene i mezzi di produzione che sono prodotti e circolano all’interno del settore statale non siano in realtà delle merci, nondimeno ne hanno la forma valore, perché conservano la forma commerciale (...) Essi si presentano sotto forma materiale, ma anche monetaria; hanno un prezzo (...) Il credito è uno degli strumenti economici della società socialista. La sua necessità in regime socialista deriva dall’esistenza della produzione e dell’economia mercantile, della funzione della moneta in quanto mezzo di pagamento (...) In regime socialista le Banche sono organismi di Stato che assicurano, nell’interesse dello sviluppo dell’economia socialista, la concessione di crediti. Pur conservando la loro antica forma, esse hanno dunque un contenuto diverso dalle banche capitalistiche…

Dunque, ripetiamolo ancora, una “accumulazione socialista” che utilizza “una parte del reddito netto della società”, eufemismo che sta per profitto, secondo la versione di Stalin.

Dal mercantilismo al socialismo...

Un ultimo accenno alla tesi classica degli stalinisti di ieri e di quanti hanno continuato a riconoscere come una base economica socialista l'economia pianificata presente nella Russia dalla fine degli anni Venti in poi: nella società socialista può, anzi deve ancora esistere la legge dello scambio tra equivalenti, ovvero il mercantilismo, la produzione e il consumo di merci. Dal che si deduce che il lavoratore non vivrebbe (cioè non mangerebbe, molto materialisticamente parlando) se non vendesse anche nel socialismo la propria forza-lavoro in cambio di un salario in denaro.

L'economia vigente in Russia veniva quindi ufficialmente presentata (siamo al XIX Congresso di Mosca del Pc russo) come un “socialismo mercantile”, dove gli operai producevano merci simili in tutto e per tutto alle merci prodotte dagli operai dei paesi capitalistici. Le merci circolavano quindi in piena economia monetaria e la forza-lavoro era essa stessa una merce retribuita con un salario. La forza-lavoro non veniva in alcun modo liberata dalla sua posizione di merce. Di questo si vantava lo stalinismo, aggiungendo che il prezzo a cui venivano venduti e calcolati tutti i prodotti-merci, doveva compensare il costo di produzione. Doveva cioè risultare maggiore di esso. Lo si insegna in tutte le scuole di economia borghese come una legge… naturale.

L’economia mercantile è una forma primordiale del capitalismo. Attraverso di essa si va al capitalismo, mai e poi mai al comunismo che tale non sarebbe mai se dovesse restare in vita una gestione mercantile dei rapporti economici e sociali; una economia - ripetiamolo fino alla noia - basata sul lavoro salariato, sullo sfruttamento della forza-lavoro.

Stalin - e quanti direttamente o indirettamente lo seguivano allora e lo seguiranno poi ancora su questo terreno, magari proclamandosi… antistalinisti, come in parte fanno oggi i cinesi - pretendeva addirittura di ritornare storicamente all’indietro, negare l’esistenza del capitalismo in Russia e ricominciando, proprio attraverso la produzione mercantile, un percorso che grazie alla forza del suo pensiero sarebbe sfociato non più nel capitalismo ma bensì nel comunismo!

Ma quando la forza lavoro del proletariato diventa anch'essa una merce (e in Russia tale era così – ufficialmente! - come lo è ancora oggi), dal mercantilismo si passa al capitalismo e non certamente al socialismo. Bestemmiando, Stalin affermava che la produzione mercantile non porta al capitalismo, e arrivava a proclamare spudoratamente che in Russia, anno di grazia 1952, “non esiste più da tempo il sistema del lavoro salariato e la forza lavoro non è più una merce”...!

Né Stalin né gli ex-stalinisti ci spiegarono allora né ci spiegano oggi per quale magica virtù possa circolare anche nel socialismo una massa di merci senza che siano presenti dei proletari costretti a vendere la propria forza-lavoro in cambio di denaro. E sempre secondo Stalin, Engels non era stato “né chiaro né preciso” quando affermava:

Con la presa di possesso dei mezzi di produzione da parte della società, viene eliminata la produzione di merci e con ciò il dominio del prodotto sui produttori.

Inutile sottolineare che la rivoluzione comunista non abolisce a suon di decreti le leggi economiche su cui si basa il capitalismo. Interviene con la dittatura del proletariato sulla proprietà delle forze produttive, dei mezzi di produzione che non saranno “nazionalizzati” ma socializzati e che non finiscono nelle mani dello Stato, del “popolo”, ma della società. Dopo di che si trasformano i rapporti di produzione.

Lo stalinismo – e con lui (in parte) i “comunisti” cinesi - ha preteso di aver socializzato le forze produttive statalizzandole e quindi di poter presentare come corrispondenti a questo nuovo carattere delle forze produttive (semplicemente passate da proprietà privata a proprietà statale) i medesimi e precedenti rapporti borghesi di produzione. Con ciò facendosi ampiamente beffe di un Marx che, poveretto, avrebbe fantasticato sul fatto che ad ogni modo di produzione corrispondono determinati rapporti di produzione, cioè una determinata struttura economica della società, la base reale sulla quale si eleva la sovrastruttura giuridica e politica.

A queste elementari - per il marxismo - puntualizzazioni critiche, Stalin rispondeva con la modifica legale della proprietà delle aziende industriali, mentre per i rapporti sostanziali di produzione si dilettava ad equivocare, come abbiamo visto, su forme e contenuti.

… Attraverso la legge del valore!

Nella produzione delle merci - siamo all’ABC del marxismo - sia nella forma più semplice già presente nelle società feudali sia in quella più elevata della produzione capitalistica, la legge fondamentale e dominante è la legge del valore. Ovvero: “lo scambio di prodotti di uguale valore, espresso da lavoro sociale, l’uno con l’altro”. (Engels, Antidhuring)

La legge del valore, o legge dello scambio tra equivalenti, si applicherebbe - secondo Stalin e soci - in tutte le produzioni mercantili e quindi anche in quel socialismo (ed in esso tale legge “esiste e ha vigore”!) dove continuerebbero a circolare le merci. Il valore di una merce non può che essere dato dal tempo di lavoro socialmente necessario a produrla. Sarebbe una di quelle leggi dell’economia che da sempre esisterebbero al pari delle leggi di natura e che si perpetuerebbero anche nella “economia socialista” dove è presente una “politica economica”. Per i deformatori del marxismo, queste sono “leggi dello sviluppo economico, leggi dell’economia politica valide per tutti i periodi storici”. Lo diceva Stalin e lo sostengono tuttora i cinesi. Basterà “utilizzarle nell’interesse della società”, ma guai a “distruggerle”: semmai bisogna aspettare che “perdano la loro forza e scompaiano dalla scena”…

Stalin, osannato dalla sua corte, pretendeva di insegnare a Marx che la legge del valore non era la legge fondamentale del capitalismo, e scriveva:

non solo non determina la sostanza della produzione capitalistica e delle basi del profitto capitalistico, ma non pone neppure questi problemi...

La legge fondamentale del capitalismo sarebbe invece quella di “ottenere profitti massimi”. Non entriamo qui nel merito di quest’altra deformazione del marxismo, che ignora completamente la tendenza, reale, alla caduta del saggio di profitto; ci limitiamo ad osservare che, stando così le cose, si potrebbe dedurre - alla maniera di Stalin e suoi seguaci - che il problema stia semplicemente nel sostituire al “massimo profitto capitalista” un “equo profitto socialista”.

Ancora a proposito della legge del valore, Stalin ne esaltava la sua “influenza sulla produzione socialista, e di questo non si può non tener conto nel dirigere la produzione stessa”. E qui siamo al culmine della confessione tramandata ai posteri:

I prodotti di consumo, indispensabili per reintegrare l’impiego di forza-lavoro nel processo produttivo, si producono da noi e si realizzano come merci, soggette all’influenza della legge del valore. (...) In relazione a ciò, nelle nostre aziende hanno un’importanza attuale questioni come quella del rendimento commerciale e della gestione redditizia, del costo di produzione, dei prezzi, eccetera.

Il tutto, compreso l’eccetera, a imperitura memoria. Fonte di insegnamenti fatti propri dai dirigenti “social-capitalisti” di Pechino…

Questa “considerazione della legge del valore, è forse un male?” - si chiedeva Stalin. “No - rispondeva - nelle nostre condizioni attuali”. Ma in quale direzione si stava marciando, quali erano gli insegnamenti di quella “buona scuola pratica”?

Nero su bianco:

Non bisogna perdersi in chiacchiere; bisogna migliorare sistematicamente i metodi della produzione, diminuire il costo di produzione, attuare un rendimento commerciale e ottenere che le aziende siano in attivo…

A maggior chiarimento:

La redditività di aziende e settori di produzione singoli ha una enorme importanza per lo sviluppo della nostra produzione. La redditività deve essere presa in considerazione sia nella pianificazione delle costruzioni, sia nella pianificazione della produzione. Essa è l’abici della nostra attività economica nell’attuale tappa di sviluppo.

La penna di Stalin non tremava nello scrivere bestemmie di tale portata!

La teoria marxista fatta a pezzi

Ai suoi tempi, Stalin ammetteva dunque che la legge del valore era necessaria “formalmente”, nel socialismo, “per fare i conti, per definire la redditività e la passività delle aziende”. Era poi necessaria

per realizzare la vendita dei mezzi di produzione a Stati stranieri, nell’interesse del commercio estero. Qui, nel campo del commercio estero, ma solo in questo campo, i nostri mezzi di produzione sono effettivamente merci, e vengono effettivamente venduti, senza virgolette. [...] La forma, l’immagine esterna rimane quella delle vecchie categorie del capitalismo, ma il contenuto, le funzioni, la sostanza sono state radicalmente modificate.

Così la “analisi marxista”, nella interpretazione falsificata di Stalin, stabilirebbe “una rigorosa differenza tra il contenuto del processo economico (socialista) e la sua forma (capitalistica)”.

Se aggiungete a queste straordinarie metamorfosi dei prodotti anche quella di una “legge del valore che viene regolata dai nuovi fatti”, avrete servito in tavola il capitalismo in salsa statalista. E buon appetito. Peccato che il conto finale, presentato ai proletari, fosse salatissimo e che lo “sviluppo ininterrotto e impetuoso” della fase di quel socialismo… capitalista, nascondesse l’esigenza di una riproduzione allargata del capitale “socialista” attraverso la precedenza di una produzione degli stessi mezzi di produzione.

In conclusione: la legge del valore non sparisce, ma nella versione stalinista rimaneva intatta, operando nello scambio delle merci "socialiste", nello sfruttamento della forza-lavoro, eccetera. Ed anche il trotskista German (anni 1956/'57, su Bandiera Rossa, il giornale della IV Internazionale), a proposito della categoria economica dei prezzi, scriveva: "I prezzi nell'Urss non sono che un mezzo di azione e verifica del piano, il quale stabilisce in anticipo le quote di accumulazione nei diversi settori dell'economia". Con ciò, si cercava di cancellare la terribile realtà dello sfruttamento della forza-lavoro; il salario avrebbe avuto addirittura una funzione "progressiva" spingendo avanti le forze produttive….

Tant'è - spiegava ancora German - che "nell'Urss è sufficiente una rivoluzione politica che non modificherà fondamentalmente l'economia", giacché - udite bene! - "nell'Urss la realizzazione del plusvalore ha una semplice funzione contabile". Ciò sarebbe dovuto al fatto che la fissazione del tasso di accumulazione del piano non determinava l'appropriazione di plusvalore!

Siamo in presenza di un campionario di mistificazioni e di superficialità senza fine. Aggiungiamo che quando un Lenin parlava di contabilità, con l'Imposta in natura, precisava un particolare: questa contabilità doveva farla la classe operaia, e non uno Stato dove il potere degli operai e dei contadini poveri non era altro che un pallido ricordo. Doveva farla semmai un semi-Stato operaio, dominato dal proletariato, e non uno Stato che si rafforzava di giorno in giorno soggiogando operai e contadini.

E con il progressivo attestarsi del capitalismo, lo Stato si trasformava da tutore delle conquiste rivoluzionarie in gestore del processo di valorizzazione del capitale, in gestore dei rapporti di produzione come un capitalista collettivo, assecondando al meglio il rapporto capitale-forza lavoro.

Gia nella prima fase – o fase iniziale – del comunismo, la partecipazione di ciascun individuo alla produzione generale non avviene più attraverso una mediazione che ha come suo mezzo lo scambio dei prodotti che restano merci con il loro duplice valore d’uso e di scambio. Soltanto se la produzione è comune, se la comunità di uomini e donne liberamente associati è il fondamento, ogni lavoro del singolo è immediatamente lavoro sociale e il suo prodotto non ha valore di scambio.

Nel comunismo, in conclusione,

i produttori non scambiano i loro prodotti e tanto meno il lavoro trasformato in prodotti appare qui come valore di questo prodotti, come una proprietà oggettiva.

Marx, Critica al Programma di Gotha

Ed eccoci ora in Cina

Era necessario ritornare al periodo della “costruzione del socialismo in un solo paese”, la Russia, al fine di comprendere quanto fosse falsificata l’originalità della particolare transizione socialista vantata dagli pseudo “comunisti” cinesi. La nostra lunga dissertazione sui “problemi del socialismo in Russia” ai tempi di Stalin, ha voluto evidenziare come – sia Mosca (allora) sia Pechino (oggi) – si muovano lungo un ben definito percorso. La ufficializzazione del socialismo di mercato porta – per la Cina “socialista” - la data del 1992, col discorso di Deng che faceva risalire il tutto alle teorizzazioni di Marx ed Engels, già presenti nel Manifesto, dove si sarebbe parlato di misure di transizione quali la tassazione progressiva sui redditi. Ad Engels si attribuiva poi il proposito di conservare la rendita sulle proprietà immobiliari, di aiutare le cooperative dei contadini (siamo nel 1894!) attraverso prestiti e ipoteche. Esultano i “capital-socialisti” di ogni genere poiché questo convaliderebbe la necessità di “mantenere relazioni di tipo monetario-commerciale” nel socialismo! Addirittura Engels avrebbe (nei Princìpi del comunismo) ammesso la competizione dello Stato “socialista” con le aziende capitaliste basandosi sulla maggiore efficienze delle aziende statali, entrambe in concorrenza nel mercato “onestamente organizzato”. Qualche ideologo borghese ha poi sostenuto che sarebbe stato anche lo stesso Marx a reclamare la necessità di uno sviluppo massimo dei rapporti di produzione, col fine di far crollare la “vecchia società”. Questo allo scopo di “colpevolizzare” Lenin per qualificato come rivoluzione socialista quello che sarebbe stato un… colpo di Stato nel 1917, quando lo sviluppo del capitalismo – specie in Russia – era solo agli inizi…

Un esempio storico lo abbiamo avuto con la Russia dove un passaggio al socialismo – in un paese in gran parte arretrato – richiedeva “una serie graduale di fasi preliminari” (Lenin) essendo scarse le basi materiali per passare ad una nuova società. Il tutto sarebbe poi finito a vantaggio di uno “sviluppo” di sopravvivenza del capitalismo… socializzato! Questo mentre in Russia Stalin sosteneva – sempre con l’ausilio dei plotoni d’esecuzione! – che la produzione di merci non porta al capitalismo!

Così, e come se nulla fosse stato, il “pragmatismo” di Pechino oggi sostiene fra le tante sue deformanti asserzioni, che non si possa fare a meno dei segnali dati dai prezzi al fine di coordinare gli investimenti (di capitale!). E sul sistema dei prezzi basa una “direzione del capitale in modo efficiente, razionale e maggiormente produttivo”. Il tutto in nome di una “pianificazione socialista”, il cui “mercantilismo” impone la determinazione dei prezzi attraverso il calcolo dei vari costi sostenuti. E soprattutto tenendo d’occhio l’accumulazione (e valorizzazione) del capitale elogiato come “socialista”.

Deng Xiaoping (4) ci spiega:

La pianificazione e il mercato non hanno nulla a che fare con le differenze tra socialismo e capitalismo. La nostra è un’economia di mercato in cui vige la legge del valore.

Pianificazione e mercato sarebbero considerati elementi tecnici e perciò – come sosteneva anche Stalin – “neutri”. Pezzo forte dell’assunto stalinista: tutte le società esistite si sono servite del mercato. E le avrebbe fatte ricche!

Figurarsi ai giorni nostri, quando il mercato è un sistema economico globale! Dunque, porte e finestre aperte al mercantilismo. Ed è Deng pronto a sostenere che il socialismo di mercato è basato sulla teoria del valore; lo scambio equivalente era già sostenuto da Mao, ed oggi è un punto fermo:

non si può eliminare la produzione e lo scambio di merci, basato sul valore-lavoro: questi prodotti ancora possiedono determinate caratteristiche mercantili, e devono essere espressi in termini di prezzo e acquistati con il denaro.

Un giro – che sta diventando vorticoso – di capitali e know-how (competenze), con livelli di partnership tra varie forme di proprietà, comprese le joint-venture con aziende straniere che dominano l’export. Il capitale statale ha il predominio controllando, attraverso i cosiddetti “commanding heights”, i punti strategici dell’economia.

In conclusione, per il “socialismo cinese”, lo sviluppo delle forze produttive, e di una economia di mercato, è all’ordine del giorno. Darebbe il suo “consenso e contributo” l’intero “popolo” rigorosamente diviso in classi: “operai, contadini, classi medie e imprenditori”... spronati da un Deng Xiaoping che già nel 1980 declamava:

Bisogna migliorare notevolmente la contabilità economica nelle imprese, e aumentare a più alti livelli sia la produttività del lavoro e sia i tassi di profitto.

Le aziende statali hanno quintuplicato la loro produzione rispetto al 1978 e aumentato i profitti. Sui binari dello “sviluppo armonico” di una economia che – come dichiarava Deng - promette profitti per tutti, grazie alla famosa “mano”, fattasi ora pienamente visibile nel socialismo con targa Pechino. Avanti, dunque, con dinamicità ed efficienza…

DC

(1) Engels fu persino accusato di praticare un gretto conservatorismo; scrisse un giorno a Marx: “Finirò col diventare un filisteo tedesco e con l’introdurre il filisteismo nel comunismo”. (Citato da Lenin in Marx, Engels, Marxismo). Engels venne sfruttato e manovrato per meglio allontanare Marx e il riferimento a un “marxismo” di cui si attribuì l’invenzione allo stesso Engels, ritenuto anche molto, troppo, vicino ad Hegel; il tutto rimescolato in una volgarizzazione del suo pensiero, dopo quello di Marx.

(2) Problemi economici del socialismo fu considerato quasi come il “testamento economico-politico” di Stalin che si spingeva a definire le leggi oggettive del socialismo per una stabilizzazione della “società socialista in un solo paese”. I quattro scritti di Stalin, fra il 1 febbraio e il 28 settembre 1952, furono pubblicati in Italia nel supplemento al numero 9/1952 di Rinascita e ripubblicati nel 1976 per le edizioni De Donato, Bari, 1976.

(3) Stendiamo un velo pietoso sul fatto che, per Stalin, i prodotti dell’industria russa si dovessero definire come merci soltanto se dirette sul mercato internazionale e non su quello nazionale!

(4) Deng Xiaoping è considerato l'artefice del “socialismo con caratteristiche cinesi”, con una teoria che giustificava la transizione da una economia pianificata ad un'economia aperta al mercato.

Domenica, December 13, 2020