Lettera di un compagno operaio sul contratto

Presentiamo la lettera di un compagno operaio inviata ad un nostro compagno, che per i temi che tocca ha stimolato una nostra risposta complessiva. In particolar modo il nodo che vediamo come centrale è quello della politica che le avanguardie di fabbrica devono praticare, oltre gli stessi steccati della vita di fabbrica per abbracciare il problema complessivo della lotta al capitalismo.

Contratto metalmeccanico - Febbraio 2021

Ecco a noi il nostro nuovo contratto, che affronta vari punti fondamentali della nostra vita da lavoratori e salariati, ma dimentica un punto fondamentale, LA PRECARIETA’.

Purtroppo dal 1994 dopo la prime riforme che introducevano i contratti a termine, per soccorrere i picchi produttivi aziendali, nell’arco di 27 anni il DIRITTO al lavoro e di conseguenza i diritti in generali sono andati sempre più a sgretolarsi fino ad arrivare ad oggi.

Oggi sulla nostra ipotesi di piattaforma sottoscritta il 5 febbraio 2021, si rivendicano i punti in ordine d’importanza partendo dal salario, inquadramento professionale, previdenza complementare, assistenza sanitaria, appalti, formazione continua, lavoro agile e solo dopo… Salute e sicurezza, poi relazioni sindacali, un buon punto sulle donne vittime di violenze di genere e per finire, UILM FIM FIOM, dopo essersi praticamente trasformati da sindacati per gli interessi dei lavoratori a interessi per i sindacati con fondi pensionistici (Gometa, Previlabor ecc.) e auto-costituendosi in assicurazione per l’assistenza sanitaria, senza parlare degli introiti statali per i patronati, CAF, hanno anche il coraggio di chiederci 35 euro.

E’ davvero un disastro di coscienze, un disastro sociale, una crisi capitalistica che non guarda più in faccia nessuno, nessun bisogno umano, ma solo economia, trasformati in lavoratori, servi del sistema, usa e getta.

I sindacati dovrebbero spiegarci a cosa serve un salario contrattuale se non si ha la sicurezza di un lavoro?

A cosa serve un inquadramento professionale, tra l’altro, travisato dal vecchio reticolo del 1973 per renderci disponibili ad ogni mansione, super flessibili. Tanto poi mi finisce il contratto e riparto da zero.

A cosa serve una RLS e tante commissioni sulla sicurezza sul lavoro, se oggi i lavoratori hanno perso tutti i diritti per poter entrare in fabbrica a testa alta e per denunciare mancanze di sicurezza sul lavoro perchè tutti con la paura e il ricatto del loro contratto di somministrazione?

Nella piattaforma iniziale si rivendicava il paletto massimo del 30% di precari in un’azienda e la conferma a tempo indeterminato dopo 12 mesi, punto cancellato completamente!

Voteremo NO, perché sono 30 anni di smantellamento di tutti i nostri diritti ottenuti con Scioperi e lotte.

Fino a quando i lavoratori lasceranno decidere sindacati e padroni senza prendersi con orgoglio in mano il loro futuro, autorganizzandosi e partecipando attivamente contro ogni loro peggioramento, nessun cambiamento migliore potrà avvenire.

Un compagno operaio
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Commento ad una “cronaca operaia”

La lettera che pubblichiamo di questo compagno operaio sicuramente esprime la condizione materiale e di spirito della nostra classe operaia, nel momento odierno

E' lo specchio dei problemi immediati che vivono e sopportano i lavoratori nella loro condizione di sfruttamento, ponendo come alternativa possibile e praticabile un piano di resistenza e lotta operaia sul terreno della difesa dei cosiddetti “diritti operai”, messi in discussione dall'offensiva padronale, e ulteriormente rivisti al ribasso dal recente accordo sul contratto nazionale dei metalmeccanici.

Quindi cogliamo questa “cronaca” come occasione per porre al centro alcune questioni che riteniamo ineludibili per il fronte di classe, a maggior ragione in questo momento.

Non sfugge a nessuno la centralità della classe operaia nei rapporti di sfruttamento capitalistici e di come il carattere del rapporto con la controparte - il livello di conflittualità espresso, i contenuti di questa - segni non solo la sua condizione immediata nei rapporti di produzione ma abbia influenza sugli stessi rapporti, sociali e di forza fra le classi più generali, proprio in virtù di questa sua centralità.

Assumendo quindi un peso per questo centrale nelle dinamiche del conflitto di classe, sia nel senso del suo sviluppo o, al contrario, del suo ripiegamento.

I fatti ci dicono come in un corso pluridecennale la classe operaia si sia ripiegata su un terreno di mera “resistenza”, che non ha di fatto impedito in maniera progressiva il suo adattamento forzoso al ruolo di “variabile dipendente” alle necessità della crisi del capitale, nei processi di ristrutturazione dei cicli produttivi e nei corrispettivi livelli di sfruttamento sempre più intensivi, che le viene dato come classe subordinata produttrice di valore.

Il recente accordo sul contratto nazionale dei metalmeccanici recepisce questa logica generale, adattandola a quelle che sono le odierne“compatibilità” stringenti, date dal passaggio di approfondimento della crisi capitalistica e dal come si pongono in essa le esigenze del fronte padronale.

Compatibilità capitalistiche che si pongono come l'elemento centrale e dinamico su cui costruire il vincolo e le condizioni dello sfruttamento della classe lavoratrice, e di cui ogni contratto, accordo, patto ecc... ratifica le esigenze di fondo, costituendo nei suoi contenuti l'espressione giuridico-formale dei rapporti di forza tra capitale e lavoro a tutto vantaggio del primo.

É quindi ovvio, in questo senso, come dietro alla questione dei “diritti” si ponga più sostanzialmente la questione dei “poteri”.

Il recente CCNL dei metalmeccanici è un'ulteriore conferma di ciò. Non è un caso che “le parti sociali” e la sua stesura facciano ampio riferimento al quadro e ai postulati del “Patto di fabbrica” del 2018 firmato dal padronato e dai sindacati confederali.

Va ricordato come il “Patto di fabbrica” nella sua sostanza rappresenti proprio la gabbia normativa vincolante e lo strumento su cui articolare le misure antioperaie rispetto alla loro condizione di forza lavoro subordinata e da sfruttare, misurandone l'efficacia rispetto alle necessità padronali che dettano e impongono per parte borghese il limite invalicabile del terreno delle compatibilità alla classe operaia.

Non è difficile comprendere come in questi “papelli”, l'unico escluso di fatto sia proprio il movimento operaio e i suoi interessi reali, pur trovando oramai in un lungo percorso storico la sua rappresentanza formale, quella sindacale, interna ai processi di assicurazione e gestione delle compatibilità capitalistiche.

A riprova di ciò basterebbe guardare al dato più appariscente ovvero a quante misere ore di sciopero si sono formalizzate in questo rinnovo contrattuale. Ma ancora una volta ribadiamo che ciò ha poco a che fare con il “tradimento” sindacale. Si tratta molto più semplicemente del ruolo istituzionale, che ai vari livelli e ambiti della sua azione, deve assumere il soggetto sindacale nell'assumersi le priorità delle esigenze capitalistiche, in particolar modo nella situazione di crisi del capitale.

L'apparente “scambio” che si realizza nella trattativa è quasi sempre fra elementi marginali del contratto a “vantaggio operaio” e sostanziali vittorie sul piano dello sfruttamento e del controllo sugli operai, acquisite per parte padronale.

Proprio per questo non siamo mai di fronte a semplici contratti “bidone”.

Lo stesso CCNL dei metalmeccanici è pienamente un “accordo di ristrutturazione” che assume al suo interno le necessità padronali e piega ancor più la classe operaia allo sfruttamento.

Il farlocco “aumento salariale” ha trovato all'interno del CCNL il suo contraltare nella possibilità di far largo a nuovi modelli di produzione intensiva, ad una nuova organizzazione del lavoro e dello sfruttamento che gli corrisponde , anche grazie ad una configurazione delle figure professionali, in particolare quelle operaie schiacciate verso il basso, e a una gestione flessibile di utilizzo di quote della forza-lavoro operaia rispetto alle necessità del ciclo produttivo.

Si tratta della ennesima riarticolazione e applicazione, nella materialità delle condizioni del lavoro di fabbrica, di tutti quegli istituti di sfruttamento e conseguente gestione dei lavoratori largamente sperimentati in passato, ma che oggi devono essere rivisti, aggiornati e adattati alle nuove esigenze padronali. Del resto, il fronte padronale ha espresso a chiare lettere le sue ricette per andare avanti. Che debba “pagare il lavoro” viene detto espressamente.

Questa tendenza si era già fatta largo nel periodo dell' “emergenza pandemica”, con l' utilizzazione al massimo degli impianti produttivi, pur a manodopera ridotta, e ritmi e carichi di lavoro infernali. La “variante epidemica” si è posta come terreno utile per metter mano a quei processi ristrutturativi su cui affrontare il vero nodo della questione, ovvero rispondere alla necessità di valorizzazione, di estrazione di plusvalore in modo ancor più intensivo da parte del capitale verso il lavoro. Oggi questo processo deve fare il salto di qualità, deve necessariamente trovare la sua razionalizzazione e generalizzazione nei rapporti di sfruttamento e sociali più complessivi fra le classi.

Qui, il problema della condizione operaia si fa generale.

Il contratto dei metalmeccanici, pur nella sua parzialità categoriale, diviene riflesso di come si stanno riarticolando i rapporti di lavoro fra le classi e l'intima sostanza che li guida per parte borghese.

La vicenda dei portuali genovesi, dei lavoratori Alitalia, della logistica, dei poli industriali in dismissione forzata ci dicono tutti la stessa cosa:

  1. Una classe lavoratrice sostanzialmente sulla difensiva che difende alcune prerogative lavorative.
  2. Una classe padronale che vuole il totale adattamento della produzione e della forza-lavoro alle proprie necessità nel procedere della crisi.
  3. Il collateralismo delle forze sindacali e pubbliche pronte a “mediare” intorno agli interessi padronali, che oggi più di ieri reclamano la loro centralità nelle forme brutali che può porre la crisi.
  4. L'articolazione dell'attacco portato trova il suo punto di forza e di sintesi generale nelle politiche governative. Politiche che non solo sostengono direttamente il capitale nella crisi, ma proprio in virtù di questo processo mirano ad adeguare e garantire l'ambiente idoneo all'azione del capitale nella crisi, sul piano dei rapporti economici, lavorativi e sociali della classe sfruttata. E “Garantire”, vuol dire “imporre” le condizioni dello sfruttamento e dello scontro al fronte operaio in tutte le forme possibili.

Le “Cronache Operaie” ci parlano quindi di questo scontro. E' un passaggio drammatico, perchè vede una classe pressoché assente e parcellizzata nella risposta ai colpi che prende. Lì dove si misura con questo attacco, lo fa su un piano limitato rispetto alla reale portata e significato di questo passaggio.

Le “Cronache Operaie” ci parlano quindi della crisi degli equilibri fra capitale e lavoro, sotto l'offensiva della classe borghese e padronale. Parlare di questa crisi significa dargli il nome di ristrutturazioni, licenziamenti, peggioramento delle condizioni lavorative e salariali per chi rimane, utilizzo di manodopera flessibile ricattabile e a costi ridotti, clima di fabbrica e controllo ossessivi, persecuzione per chi alza la testa ecc....

La crisi capitalistica, con il conseguente stravolgimento del terreno della mediazione possibile, è quindi il vero nodo di fondo che ad ogni passaggio determina, a partire dal terreno capitale-lavoro, il rivoluzionamento di tutti i rapporti fra le classi in ogni ambito e aspetto, fin dentro il più piccolo interstizio della fabbrica, del posto di lavoro, delle relazioni sociali e politiche, che vengono strutturate sempre più in maniera funzionale alla sopravvivenza del capitale.

E se è vero questo nodo di fondo, è altrettanto vero che ciò porta con sé oggettivamente e soggettivamente il problema dell'alternativa generale proletaria e rivoluzionaria a questo sistema.

Ma ciò è un problema lontano dalla concreta condizione di fabbrica, così come dal destino a cui sono segnati miliardi di proletari? Noi non crediamo!! Ciò non per vezzo idealistico, ma perchè purtroppo è la realtà che ogni giorno ci propina il sistema del capitale in crisi. La realtà di fabbrica vive drammaticamente dal lato operaio questo problema.

Le lotte, tutte le lotte , le rivendicazioni di classe sono momenti sacrosanti che nascono dalla spinta di difesa se non di sopravvivenza della classe lavoratrice di fronte all'attacco del capitale. Questo piano di legittimità ne costituisce al contempo il suo limite intrinseco, quale espressione contingente dello scontro interno al sistema stesso da cui si produce. Ma ad ogni passo questi momenti di conflitto portano con sé, di fronte al procedere della crisi del capitale e alla natura delle sue soluzioni a questa crisi, il problema della costruzione di una direzione e di uno sbocco da dare a questi momenti di conflitto che vada oltre il semplice terreno di fabbrica, pur partendo da questo.

Se non vogliamo che la classe operaia diventi per l'ennesima volta il “mezzo” di cui la borghesia si serve in mille modi, per risolvere i propri problemi anche sul terreno della guerra, ciò ci impone, mentre lottiamo per tutte le questioni e rivendicazioni concrete, di porre il problema politico dell'anticapitalismo , ovvero dell'alternativa a questo sistema, ovvero che la soluzione ai problemi della classe operaia, dell'iniquo rapporto capitale-lavoro, potrà darsi solo con il rivoluzionamento di questa società per parte proletaria.

Abbiamo usato il termine “costruzione” perché sappiamo concretamente, nelle condizioni stesse della classe operaia, che questo è un processo che si confronta e sconta i mille problemi, le mille contraddizioni, i mille limiti obiettivi odierni, anche di coscienza generale, oggi presenti . Ma questa situazione non nega la necessità' e la possibilità di questa prospettiva da costruire dentro il fronte proletario, come afferma qualcuno affogato nella mera logica rivendicativa o appellandosi al livello di coscienza della classe, ma casomai ne certifica la possibilità di articolazione nel confronto con la realtà concreta.

Non ci sfugge come all'oggi il problema della costruzione di questa prospettiva anticapitalista sul fronte dei momenti di conflitto, sia ancora una questione di “avanguardia”. Una “avanguardia” che purtroppo soffre e riflette a livello di coscienza soggettiva, degli stessi problemi che emergono dalla lotta di classe. Non è un problema da poco, ne siamo convinti ancor più quando vediamo gran parte di questa “avanguardia”, in nome di un mal posto concretismo, essere ripiegata al mero localismo rivendicativo o alla meglio legare lo sviluppo del terreno di classe al meccanico estendersi della iniziativa e coscienza immediata e/o “sindacale”, o casomai sparare parole d'ordine altisonanti che, confrontandosi con il quadro delle compatibilità capitaliste che hanno le loro radici ben piantate nelle necessità del sistema, dimostrano al contrario tutta la loro infondatezza e possibilità di realizzazione, fermo restando il capitalismo e le sue ferree leggi economiche.

Ciò si chiama “riformismo” che, se pur “radicale”, non è elemento di chissà quale crescita rivoluzionaria nella classe, ma la lega ancor più alla propria condizione, legittimando l'illusione di un mutamento all'interno delle condizioni e dei rapporti del sistema.

Posizioni quindi soggettivamente espresse e praticate in diverso modo, che nei fatti, ancor prima che nelle intenzioni e nelle parole, circoscrivono, per non affrontarlo, il problema della costruzione di una identità di classe funzionale allo sbocco rivoluzionario. Ciò pone queste “avanguardie” in un ruolo meramente sussidiario agli eventi della lotta di classe, e soprattutto non fa fare un passo in avanti, in fabbrica e nelle lotte, alla costruzione di una prospettiva rivoluzionaria.

O forse si pensa, più terra-terra per mille motivi, che abbracciare una prerogativa anticapitalista non sia un problema operaio, e che il suo solo da farsi sia quello di stare continuamente a prendere legnate, o migliorare la propria situazione, ma in ambedue i casi sempre legati con la catena stretta al lavoro salariato

Tutte queste opzioni, nelle diverse forme che assumono, per come si esprimono , quindi si configurano come interne ai rapporti di capitale e non ne pongono, nella lotta e nella costruzione politica, la condizione del suo superamento, nonostante il capitale per sua stessa logica abbia preparato per la classe operaia un presente, e ancor più un futuro, drammatico e fosco.

Alle avanguardie operaie, oggi più di ieri, non deve bastare più essere dei bravi compagni nelle lotte. Si tratta di lottare per la difesa dei nostri interessi nella lotta quotidiana, ma le necessità dei tempi ci pongono di fronte una esigenza inaggirabile: quella di rappresentare e costruire nella classe operaia, negli spezzoni di classe, la prospettiva dell'alternativa a questo sistema.

L'interesse generale della nostra classe non può coincidere, e di fatti non coincide, solo con un miglioramento contrattuale, anche se conquistato a suon di “lotte dure”. L'interesse generale di classe parte dalla lotta di ogni giorno, ma costantemente si pone il problema del suo superamento e avanzamento verso il Socialismo.

EG
Martedì, March 23, 2021