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Home ›Illusioni finanziarie e realtà di un capitalismo in crisi agonica
Di fronte al gonfiarsi della bolla inflazionistica, la Federal Reserve – nonostante un secolo e più di amare esperienze - ha risfoderato l’illusoria arma dei tassi di interesse, rialzandoli dopo averli azzerati e inondato di denaro i portafogli dei vari speculatori.
Gli anni del credito a buon mercato stanno finendo, dopo aver favorito gli acquisti di montagne di varie obbligazioni, molte appartenenti alla categoria “spazzatura”. Oggi gli scenari stanno diventando più che mai – di fronte a una crisi che si approfondisce - quelli delle concentrazioni di capitale, aumenti dell’inflazione, investimenti nell'industria militare e tendenze protezionistiche
Anche la esternalizzazione della produzione di manufatti in paesi con bassi salari ha solo finito col protrarre, ma non risolvere, un’agonia che il capitalismo sta trascinando da decenni, da quando l’abbassarsi della redditività nella produzione di merci, con la competizione internazionale sempre più tesa, ha spinto le aziende stesse a ricercare guadagni nella sfera finanziaria. Il mercato azionario si è gonfiato e i profitti che il sistema ottiene attraverso lo sfruttamento della forza-lavoro continuano a calare man mano che aumenta il capitale investito in macchine, tecnologie e materiali mentre diminuisce il vivo-lavoro.
Di fronte alle crisi succedutesi nell’ultimo trentennio (in Asia, America, Europa e considerate di natura quasi esclusivamente finanziaria) si è creduto di trovare una soluzione con la stampa e la distribuzione (alle Banche) di nuova moneta. Si sperava di rianimare i processi produttivi di merci, ma con la caduta dei saggi di profitto industriale la massa cartacea è finita nei mercati finanziari per sostenere affari più che foschi, davanti agli altari di una ricchezza sempre più fittizia. Nessun riscontro con la produzione e circolazione – entrambe in forte calo – delle merci; ci si preoccupava di poter evitare il collasso generale dei mercati finanziari, ma la realtà è stata ben diversa.
Intanto, dopo la bolla dei tecnologici e quella immobiliare, e il tacito rastrellamento di terre coltivabili in Africa e Asia sud-orientale o l’acquisto di scorte di petrolio e gas in attesa che i prezzi aumentino e con essi i guadagni, si fa finta di ignorare quello che in realtà accade. Quando poi il denaro si rovescia sui mercati dove si vendono – speculando - le materie prime già pronte (o i diritti su quelle che in futuro arriveranno…), sulle merci si scaricheranno in generale i più alti costi. Le speculazioni si sovrappongono una sull’altra generando bolle incontrollabili e gigantesche che con l’aumento dei tassi di interesse si gonfieranno maggiormente.
L’illusione che con una politica monetaria restrittiva si possa contrastare l’inflazione, svanisce in breve e si moltiplicano gli effetti di una finanziarizzazione che si è espansa a seguito delle emissioni, in poco più di due anni, di ben 9.000 miliardi di dollari di credito a tasso quasi zero e finiti per lo più nel sistema bancario mondiale.
Le Banche Centrali di Usa, Inghilterra e Giappone ne sono state gli artefici; il debito pubblico statunitense ha toccato i 30 trilioni di dollari (dati del Dipartimento del Tesoro), aumentando di circa 7 trilioni di dollari dalla fine del 2019. La Fed ha soccorso Wall Street acquistando 120 mld di dollari al mese in titoli del Tesoro USA o altri garantiti da ipoteca. (Ricordiamo che un trilione equivale a 1000 miliardi.)
Con l’amministrazione Biden si è poi iniziata la elargizione di milioni di dollari per uno “stimolo” all’economia, e il debito federale statunitense è passato dal 35% del PIL nel 1980 a oltre il 129% oggi. Solo il Quantitative Easing della Fed, con l'acquisto di trilioni di debito pubblico e ipotecario statunitense e portando i tassi quasi a zero, hanno reso finora possibile tutto ciò.
Circa il 70% del debito ha un rating appena superiore alla "spazzatura"; quello delle imprese non finanziarie ammontava a 9.000 mld di dollari nel 2006 e oggi supera i 18.000 mld. Un gran numero di queste società marginali non sarà in grado di rinnovare il vecchio debito, e nei prossimi mesi si verificheranno dei fallimenti a catena.
Ed ora tocca all'energia guidare il crollo - La Fed sa bene che l'inflazione sta solo iniziando a dilaniare l'economia globale: all’aumento dei prezzi del gas naturale si è aggiunta la carenza globale di fertilizzanti e gli scarsi approvvigionamenti di grano. La siccità globale, in parte, e la guerra in Ucraina, soprattutto, hanno fatto traboccare il vaso… Ed ora l'aumento dei tassi di interesse dopo quasi 15 anni significa il crollo del valore delle obbligazioni che reggono il sistema finanziario globale. I tassi ipotecari statunitensi sono raddoppiati in soli 5 mesi superando il 6%, e le vendite di case stanno crollando. Cresce la montagna di titoli "subprime", prestiti con leva finanziaria, cartolarizzazioni di auto, carte di credito, case, prestiti in franchising, credito privato, criptocredito. Anche le speculazioni sulle criptovalute si sono diffuse e la loro valutazione complessiva, che pochi mesi fa toccava i 3.000 mld di dollari, sta oggi scendendo a meno della metà.
E se scoppia la bolla? *-* La rottura di quella leva finanziaria che nelle millantate previsioni degli economisti del capitale avrebbe dovuto favorire una ripresa della economia sempre più in difficoltà, porta a crolli dei titoli azionari e obbligazionari, fra l’altro con una polverizzazione dei risparmi pensionistici privati di decine di milioni di proletari, specie negli Usa. Dove inoltre vi sono in gioco i 4.300 mld di dollari in debito accumulati dai consumatori americani con carte di credito. Ora – dopo le ultime mosse della Fed - i tassi di interesse di questi debiti subiranno ulteriori aumenti e la crescita delle insolvenze sarà inevitabile. (Da notare che gli interessi dei debiti federali avranno ora un costo di 30.000 mld di dollari.)
Se diamo uno sguardo al mercato americano delle obbligazioni sovrane, nel 2020 in esso si agitavano oltre 22mila mld di dollari. Al suo seguito la Cina (20mila milioni di dollari) e il Giappone (12mila milioni di dollari). Globalmente, gli scambi furono di 128,3mila mld di dollari di obbligazioni, per più di due terzi riguardanti debiti del settore pubblico. Tutti ora cercano di vendere obbligazioni, quelle Usa in particolare.
In conclusione, l’aumento dei tassi di interesse (dopo la Fed messo in atto da tutte le Banche Centrali) invano cerca di frenare il collasso che minaccia il settore finanziario (e il pericolo di una svalutazione del dollaro Usa…). E tremano i mercati delle obbligazioni (governative, societarie e di agenzie) con i loro fittizi valori. Globalmente si tratta di circa 250.000 miliardi di dollari: scendendo i loro prezzi, perde valore il capitale bancario. Poi ci sono i derivati fuori bilancio…. Complessivamente, tempi duri per la sfera finanziaria che guarda con notevole preoccupazione a quella catasta di debito globale circolante nelle diverse aree del mondo e che secondo il Global Debt Monitor (International Institute of Finance) ammonterebbe, nel secondo trimestre 2022, a più di 300 trilioni di dollari. Per i cosiddetti “paesi emergenti” – con un debito di circa 99 trilioni di dollari - il loro rapporto debito/Pil supera il 252%.
A questo punto, con i tassi del denaro in aumento e la persistente e aggravantesi decrescita economica, l’inflazione sta per diventare “nemica dei debitori” e non certo “amica” come certi esperti la ritenevano, cianciando in favore – appunto – di una inflazione “ben controllata” (con un particolare riferimento al costo del lavoro, diretto o indiretto…). Sarebbe bastato “raffreddare” quest’ultimo e si sarebbe creato un “sano equilibrio di mercato” tra la domanda e l’offerta di merci!
Intanto i debiti societari e quelli pubblici sono ovunque in aumento. L'Italia, con un debito nazionale di 3.200 mld di dollari, ha un rapporto debito/PIL del 150%. Con la BCE che ha fino a ieri mantenuto tassi di interesse negativi, tutti hanno tirato avanti ma ora si teme il peggio. Al di fuori dell’Europa, c’è poi il Giappone, con un livello di debito del 260% (oltre 7.500 mld di dollari) che potrebbe avere ripercussioni in tutta l'Asia.
Si sono dunque sfaldati i tentativi di gestire la crisi che attanaglia il capitale, ricorrendo fino a ieri ad una politica monetaria espansiva che ha solo gonfiato – né poteva essere altrimenti – una gigantesca bolla di liquidità. Ed ora ci si dibatte fra recessione e inflazione.
Cominciata nel 2008, l'enorme inondazione di denaro ha solo provocato un'inflazione dei prezzi dei titoli che affollano la sfera finanziaria. E’ diventata una accumulazione di denaro che non può diventare capitale e si dà alla caccia di interessi e dividendi con la frenetica mobilitazione dei gestori di fondi e di ricchezze che gonfiano i portafogli dei manager dei gruppi finanziari industriali e commerciali.
Nel tempo si è formata una serie di bolle finanziarie gonfiate dalla notevole liquidità circolante, specie nei mercati azionari, al punto tale che l’attuale inversione di politica monetaria potrebbe portare ad un disastro vero e proprio. Se la liquidità si prosciuga, cominciano a tremare anche i mercati obbligazionari e dei cambi. La stessa pandemia e la guerra in Ucraina hanno accelerato il boom speculativo da tempo in atto e pronto a sconvolgere una “economia reale” che da tempo arranca aggrappandosi a saggi medi di profitto il cui calo si fa sempre più costante. La liquidità accumulatasi nella sfera finanziaria finisce per riversarsi sempre più nell'economia "reale", accelerando l'inflazione dei prezzi, che negli Stati Uniti potrebbe arrivare a raggiungere tassi di crescita a due cifre.
Quanto alla “lotta contro l’inflazione” è più che evidente come le manovre finanziarie provochino solo la crescita di ondate di turbolenze di tale portata che gli “argini” appena creati saranno in breve polverizzati. Lo spettro di una bancarotta generale grava su tutto e tutti. Certo un collasso generale del capitalismo non è ancora vicinissimo ma molto dipenderà dalle reazioni delle masse salariate sulle quali cadranno dolorosamente gli effetti della crisi.
Le montagne del debito stanno tremando e un loro crollo sarebbe tragico per il capitale. Riuscirà a controllare le inevitabili proteste sociali – militarmente, inutile le illusioni pacifiste – al fine di evitare (sia pure momentaneamente) le conseguenze sociali che per l’attuale ordine economico potrebbero essere fatali? Molto dipende dalla presenza – è questo l’obiettivo al quale dedichiamo tutti i nostri sforzi – di una organizzazione politica (il partito di classe!) che sia all’altezza dei compiti rivoluzionari che attendono il proletariato internazionale.
DC
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