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Home ›Critica della critica - Sul libro “La guerra in Ucraina e l’internazionalismo proletario” edito dalla Tendenza Internazionalista Rivoluzionaria (TIR)
Abbiamo acquistato fresco di stampa il libro al convegno “La guerra in Ucraina, la crisi economica e il grande caos in arrivo” tenutosi a Roma il 16 ottobre e animato dalle differenti correnti politiche che sostengono il SiCobas. Il libro è composto da una serie di articoli redatti dalla TIR e da Pagine Marxiste tra il gennaio e l’ottobre 2022. Il suo principale pregio è di svolgere una serie di approfondimenti ricchi di dati relativi ad alcuni aspetti importanti del conflitto in corso quali: le condizioni di sfruttamento dei proletari Ucraini, del Donbass e migranti/profughi; la storia del nazionalismo ucraino; la descrizione degli investimenti, relazioni politiche e interventi militari dei paesi Nato e italiani nei confronti di Russia e Ucraina; l’analisi delle ricchezze e delle ingenti risorse del territorio e del sottosuolo ucraino.
Nel corso della lettura emerge inoltre un parziale progresso rispetto alla questione dell’autodeterminazione nazionale nel conflitto in corso. Da principio (marzo) si afferma che
siamo al fianco del popolo ucraino… per il diritto all’autodeterminazione dei popoli… contro ogni sopraffazione e negazione dei diritti di tutte le nazioni… anche per le minoranze di lingua russa in Ucraina… [per] una sistemazione pienamente rispettosa dei diritti democratici e nazionali [attraverso la] costituzione della Repubblica socialista sovietica balcanico-danubiana.
p.53-54
Sia notato per inciso, quest’ultima soluzione riprende tale e quale quella proposta dal manifesto dei comunisti balcanico-danubiani del 1920, ma il medesimo manifesto aveva il pregio di porre al centro del ragionamento il problema della “conquista del potere e la creazione dei soviet”, ossia la prospettiva della costruzione delle condizioni concrete per il rovesciamento rivoluzionario, condizioni di cui nel libro si parla invece poco e in maniera vaga.
L’iniziale posizione sull’autodeterminazione, dicevamo, evolve verso la fine del libro quando si afferma, in maniera condivisibile, che il necessario disfattismo e la denuncia di entrambi i fronti bellici devono
riportare lo scontro in atto in Ucraina e nel mondo alla sua contraddizione principale: quella tra capitale e lavoro, tra borghesia e proletariato, e – al fondo – tra capitalismo e socialismo. Si tratti dell’Ucraina o di altri contesti.
p.168
Tra le due posizioni la contraddizione è solo apparente, il ragionamento ha infatti una sua coerenza interna: per la TIR
è solo la rivoluzione sociale proletaria a poter sbrogliare l’intricatissima matassa_ [nazionale in Ucraina – d’altra parte] il mondo attuale è pieno di questioni nazionali… irrisolte. Ma… non hanno il carattere novecentesco.
p.68, p.71
In effetti dopo due guerre mondiali e la completa spartizione dell’orbe terracqueo in sfere di influenza afferenti alle differenti potenze imperialiste, la questione nazionale non solo non ha più “carattere novecentesco” ma rappresenta ormai solo uno strumento ideologico nelle mani delle borghesie nazionali per dividere e sottomettere il “proprio” proletariato. Il conflitto in Ucraina ha aiutato la TIR a maturare definitivamente questa posizione? Non proprio: se la TIR abbraccia il disfattismo contro entrambi i fronti della guerra in Ucraina, questo è argomentato dal fatto contingente che in quel contesto le legittime (per la TIR) posizioni di auto-determinazione e i conseguenti appelli al “popolo” (invece che alle classi) sono soffocate dalla dinamica bellica inter-imperialista:
non nego l’attualità di istanze di auto-determinazione contro forme di oppressione nazionale, ma… solo se fanno parte di un processo di sollevazione degli sfruttati… Se il conflitto in atto fosse la continuazione di una ‘lotta nazionale’ per la propria unificazione, per l’indipendenza… allora saremmo in presenza di una lotta per l’autodeterminazione ed avremmo il dovere di appoggiarla… [come parte] di [una] rivoluzione democratica… ma la guerra in corso non rappresenta… una soluzione… [perché] l’elemento principale [qui] è lo scontro interimperialista.
p.71-77
Quindi per la TIR:
- si vedono ancora spazi per “rivoluzioni democratiche” progressive (!!);
- le istanze di auto-determinazione nazionale sono legittime, ma in Ucraina sono soffocate dallo scontro inter-imperialista;
- la posizione nazional-popolare che costantemente mischia e confonde popoli e classi ritorna immancabile nella necessità di stare “dalla parte del popolo ucraino di tutte le nazionalità” (p.94);
- e si finisce immancabilmente per appoggiare la tesi per cui
battersi per l’egemonia del proletariato nella lotta della nazioni oppresse è parte integrante della lotta contro l’imperialismo e per la rivoluzione socialista internazionale.
p.75
Emerge insomma una sostanziale e complessiva incomprensione delle caratteristiche dell’imperialismo oggi e dei compiti dei rivoluzionari. Anche quando si riconosce che è in atto
un grande scontro tra due schieramenti di potenze – Stati Uniti, Unione europea, NATO, etc, contro Russia, Cina, Iran
_p.155
non si arriva mai alla conseguente conclusione che gli stessi schieramenti (più altri attori) finanziano, armano e sostengono (e non da oggi!) tutte le diverse borghesie nazionali in lotta per l’“auto-determinazione”: Kurdistan, Palestina, Uiguri, Tigrai, etc. La divisione del mondo tra le grandi potenze ha da tempo messo la parola “fine” alla progressività delle lotte nazionali dell’'800 e anti-coloniali dell’inizio del secolo scorso; l’epoca delle rivoluzioni progressive democratiche è tramontata da oltre un secolo e la borghesia “democratica” ha il solo interesse di sottomettere il proletariato alla propria ideologia prima e, in alleanza con i conservatori, bastonarlo poi; i comunisti devono denunciare, non “egemonizzare”, i movimenti democratici borghesi perché questi usano i proletari come carne da cannone prima e li reprimono poi, almeno se la sanguinosa storia del movimento operaio ci ha insegnato qualcosa. Non prendere consapevolezza di tali lezioni riporta i compagni della TIR a ripetere i vecchi slogan sull’auto-determinazione della Terza Internazionale, senza considerare che il secolo che è trascorso nel frattempo ha fornito numerose lezioni riguardo la loro dannosità ai fini della rivoluzione proletaria.
Se per la questione dell’auto-determinazione nazionale l’armamentario politico della TIR è rimasto fermo ad un secolo fa, purtroppo non va meglio per l’analisi e la comprensione della crisi strutturale in atto. In effetti nelle 200 pagine del testo non vi è una riga dedicata a spiegare come è possibile che oggi si sia arrivati a questo livello di gravità della crisi. Due sono le “categorie analitiche” utilizzate: “il Grande Caos in arrivo” e la “crisi dell’egemonia mondiale occidentale” (p.160).
In che rapporto stiano questi fenomeni con la fase che vive il ciclo di accumulazione capitalista, come la caduta tendenziale del saggio medio di profitto (questa sconosciuta, eppure definita come “La più importante tra le leggi del capitale” da Marx) sia in rapporto con la crisi, come attraverso di essa si spieghino il co-presentarsi delle crisi economica, bellica, sociale, ambientale… e le loro ricadute sulla classe non è dato di sapere. L’approccio presentato è prettamente fenomenologico nel senso che si limita (a volte anche con pregevole dovizia di dati) a descrivere i fenomeni senza però andare mai al fondo delle cause. Ne consegue che, non cogliendo lo stretto nesso causale tra leggi del capitale e le manifestazioni delle crisi, anche la proposta politica poi sviluppata è debole. Per gli autori la crisi è
crisi degli equilibri mondiali… la più grande crisi della storia del capitalismo… l’ultimo atto di una catena di eventi finanziari, economici, sanitari, climatici, politici, militari che compongono il gigantesco caos in cui il capitalismo globale sta precipitando e ci sta precipitando dall’inizio del XXI secolo… [una] crisi complessiva/storica del sistema capitalistico.
Questa fase è ripetuta ben tre volte nel libro e segna il massimo livello di analisi critica che si raggiunge (p.13, 30, 95 e 136). La descrizione fenomenologica in luogo dell’analisi materialistica ci ricorda quella di Lotta Comunista, per entrambe il tutto si riduce allo scontro tra
la difesa del vecchio ordine capitalistico a egemonia occidentale e a guida statunitense di fronte all’emergere di un nuovo ordine mondiale, altrettanto capitalistico.
Non è un caso che per l’una e per l’altra organizzazione tale mancanza analitica di base sia il fondamento sul quale si sviluppa una politica da Seconda Internazionale (la quale si fondava sulla medesima assenza di una teoria della crisi). Per quanto riguarda Lotta con una proposta esclusivamente sindacale; per la più combattiva TIR con una serie di rivendicazioni radicali ma prive di reale contenuto rivoluzionario. Vediamole.
In termini di “che fare” la TIR sta di fatto ripercorrendo le vie già mille volte battute dal riformismo radicale di sempre: ritiro delle truppe italiane all’estero; azzeramento delle spese militari (p.31); contro la Nato e la sua espansione a est (p.56); lotta contro il carovita e la disoccupazione; forti aumenti salariali; scala mobile; blocco delle tariffe; salario garantito ai disoccupati; riduzione degli orari di lavoro; stabilizzazione di tutti i precari (p. 156).La stessa TIR proponeva fino a poco tempo fa la tassa del 10% al 10% più ricco della popolazione, qui non c’è però.
In conclusione, l’assenza della comprensione delle caratteristiche dell’imperialismo oggi porta la TIR ad appoggiare una posizione correttamente disfattista in Ucraina ma a ritenere ancora centrale il discorso dell’auto-determinazione dei popoli costituendo così una base molto debole per l’orientamento rispetto ai futuri problemi che si porranno ai rivoluzionari e confondendo spesso i concetti di popolo e classe. La crisi viene affrontata solamente in termini fenomenologici, la non comprensione delle caratteristiche della crisi capitalista porta a vedere quanto accade oggi come “grande caos” e “crisi degli equilibri imperialisti”, tale mancanza fa da base all’avanzare di una serie di proposte rivendicative vecchie, che mai hanno funzionato, utopiche e lontane da quello che dovrebbe essere il compito dei comunisti oggi. I compagni della TIR sembrano insomma non rendersi conto che il soddisfacimento di ognuna delle loro “rivendicazioni radicali” richiede preliminarmente un atto rivoluzionario e non il processo di riforme che sembra indicare il loro programma.
Il compito dei rivoluzionari oggi può essere riassunto da un lato nella necessità di ricollegare immediatamente le diverse manifestazioni della crisi strutturale capitalista (guerra, miseria, licenziamenti…) alla crisi stessa e alla prospettiva anti-capitalistica, per sostenere la nascita di organismi indipendenti di lotta della classe, assembleari, volti a superare il deleterio frazionismo sindacale, coerentemente attestati su parole d’ordine non velleitarie e calate dall’altro ma incentrate sulla individuazione e difesa dell’interesse immediato e generale di classe. Si tratta insomma di partire dal concreto delle problematiche della classe per arrivare, nell’esperienza, a ricomporle in una visione generale di sviluppo che sia direttamente collegata alla questione della conquista rivoluzionaria del potere attraverso gli organismi rivoluzionari della classe. Per questo rilanciamo con forza la proposta dei comitati No War But the Class War che si caratterizzano proprio per questo tipo di approccio: se non si mettono al centro del ragionamento i problemi materiali della prospettiva rivoluzionaria anche la stessa declamazione della rivoluzione e dell’anticapitalismo si riduce a mero esercizio retorico.
Dall’altro si tratta di costruire solidi nuclei politici verso il partito di classe, nuclei che non possono poggiare la loro proposta politica sulle debolezze di impostazione qui delineate (e che ricacciano le acquisizioni del movimento rivoluzionario indietro di 100 anni e più) ma che devono fare propria una piattaforma che abbia fatto i conti con le lezioni tratte dalla storia del movimento di classe, traendo da tali lezioni la soluzione dei problemi dell’oggi e gli attrezzi politici, analitici e organizzativi per affrontare quelli di domani.
Il fatto che questi compagni, nelle loro analisi e proposte, siano rimasti fermi a un secolo fa è confermato dalla pubblicazione in appendice dei discorsi di Liebnecht, dei manifesti di Zimmerwald e Kiental senza alcuna introduzione o commento. Come se fossero in tutto e per tutto validi anche oggi. Come se, nel frattempo, due guerre mondiali, una rivoluzione proletaria, 70 anni di ciclo economico post II GM e 50 anni di crisi strutturale non avessero dato corpo a scenari di crisi e di guerre in larga parte inediti e come se questi nuovi scenari non richiedessero alcuna nuova indicazione alle forze internazionaliste rivoluzionarie.
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