Il ghetto di Varsavia e il vero costo della guerra imperialista

Nel settembre 1939 la Polonia fu invasa dalla Germania nazista dall'ovest e dalla Russia stalinista dall'est. Varsavia - una città con una grande popolazione ebraica che fu ulteriormente ingrossata da profughi ebrei in fuga o espulsi da altre città e paesi - passò sotto il controllo dell'amministrazione nazista. Nell'ottobre 1940 fu istituito il ghetto di Varsavia, dove la popolazione ebraica, circa 450.000 individui, doveva essere concentrata su soli 3,4 chilometri quadrati (1,3 miglia quadrate). Sottoposti a terribili condizioni di vita e lavori forzati, nei due anni successivi circa 100.000 persone morirono di fame e malattie. Una volta che la Germania iniziò la prevedibile invasione dell'URSS e gli Stati Uniti si unirono ufficialmente alla guerra, le prospettive di una vittoria tedesca diminuirono. La situazione sempre più disperata al fronte non fece che intensificare la repressione nei territori occupati.

Nel luglio 1942 iniziò il rastrellamento degli ebrei del ghetto di Varsavia che nei mesi successivi furono sistematicamente inviati nei campi di sterminio.

La rivolta nel ghetto di Varsavia, scoppiata il 19 aprile 1943, fu la risposta all'ultimo atto della deportazione degli ebrei rimasti nei campi di sterminio. L'annientamento del ghetto durò un mese, durante il quale morirono circa 13.000 persone a causa dei combattimenti. La maggior parte dei sopravvissuti fu poi deportata.

In questo contesto, presentiamo di seguito una traduzione di un documento scritto da un socialista partecipante alla rivolta. Non trae conclusioni politiche, ma come resoconto di un testimone oculare è di interesse storico per la presentazione degli eventi. Naturalmente, l'idea che piccoli gruppi di lavoratori che partecipano alla rivolta equivalgano al proletariato ebraico che la "guida" in un senso o nell'altro, ignora alcune delle forze politiche coinvolte e deve essere vista soprattutto come un tentativo di dare un'impronta positiva a una realtà altrimenti tragica. Il documento originale proviene dalle pagine di Robotnik, il giornale del Partito Operaio dei Socialisti Polacchi (Robotnicza Partia Polskich Socjalistów, RPPS) di cui abbiamo scritto in precedenza e di cui abbiamo criticato i limiti (vedi: leftcom.org). Come organizzazione, fungeva da orfanotrofio politico per gli ex membri del Partito "Comunista" ufficiale (che era stato sciolto) e in particolare del Partito "Socialista" (da cui erano stati esclusi). L'RPPS riconobbe la necessità di far fronte alla guerra mondiale con la rivoluzione mondiale, ma alla fine non riuscì a sfuggire alle proprie origini social-patriottiche (il coinvolgimento del gruppo in una coalizione di fronte popolare avrebbe portato alla sua distruzione come forza politica indipendente proprio quando la lotta di classe aperta in Polonia stava nuovamente emergendo dalla guerra).

In particolare, in quello stesso numero di Robotnik, l'RPPS commenta un altro evento mondiale avvenuto appena un giorno prima della definitiva soppressione del Ghetto di Varsavia: lo scioglimento dell'Internazionale Comunista (Comintern). Gli autori lo videro chiaramente come un tentativo di Stalin, che nelle loro parole "rinunciava alla rivoluzione mondiale anche prima del primo piano quinquennale", per placare i suoi nuovi alleati in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. Riconobbero che mentre inizialmente il Comintern era un organismo rivoluzionario, "dopo la caduta dell'ondata rivoluzionaria... vinse la tesi della costruzione del socialismo in un solo paese... al Comintern fu dato il principio guida della mobilitazione delle masse contro la guerra con il URSS". Invece, richiamando lo spirito originale del Comintern, proposero la loro alternativa:

Noi, fin dall'inizio di questa guerra, abbiamo scommesso su un buon cavallo. Abbiamo scommesso su una strategia rivoluzionaria indipendente, su una tattica rivoluzionaria indipendente. ... Non abbiamo dubbi che il proletariato rivoluzionario dell'Occidente stia prendendo la stessa strada. Non abbiamo dubbi che questa guerra finirà con una trasformazione rivoluzionaria. Non abbiamo dubbi che sulle rovine del fascismo, dell'hitlerismo e di tutti gli altri imperialismi, così come sui resti appassiti di tutte le internazionali opportuniste, fiorirà di nuovo la vittoriosa bandiera rossa della rivoluzione socialista con l'appello indelebile: lavoratori di tutto il mondo, unitevi!

Komintern Rozwiązany, Robotnik

Alcuni dei lavoratori che parteciparono alla rivolta nel ghetto di Varsavia potevano nutrire speranze simili. Come ha ricordato Marek Edelman, un altro partecipante alla rivolta e membro del Bund:

[Il 1° maggio 1943] i partigiani si rivolsero brevemente ad alcune persone e venne cantata l'Internazionale. Il mondo intero, lo sapevamo, quel giorno celebrava il Primo Maggio e ovunque venivano pronunciate parole forti e significative. Ma mai prima d'ora l'Internazionale era stata cantata in condizioni così diverse, così tragiche, in un luogo dove un'intera nazione era stata e stava ancora morendo. Le parole e la canzone riecheggiavano dalle rovine carbonizzate e indicavano, in quel momento particolare, che la gioventù socialista stava ancora combattendo nel ghetto e che, anche di fronte alla morte, non abbandonava i propri ideali.

Il ghetto di Varsavia: il 45° anniversario della rivolta

Sappiamo cosa è successo. Sulle rovine del ghetto di Varsavia fu aperto il campo di concentramento di Varsavia. Dopo un'altra sfortunata rivolta nel 1944, la stessa Varsavia fu rasa al suolo. La guerra si concluse con una nuova suddivisione del mondo tra le grandi potenze imperialiste che costituì le fondamenta dell'ordine internazionale che vediamo ancora oggi. La rivolta del ghetto di Varsavia non fu la scintilla di un movimento di classe generalizzato. In realtà, come ha sottolineato sobriamente Edelman, fu un atto di disperazione:

Sapevamo perfettamente di non avere alcuna possibilità di vincere. Abbiamo combattuto semplicemente per non permettere ai soli tedeschi di scegliere l'ora e il luogo della nostra morte. Sapevamo che saremmo morti. Proprio come tutti gli altri che furono mandati a Treblinka... La loro morte fu molto più eroica. … Era più facile morire combattendo che in una camera a gas.

Resistere all'Olocausto: la lotta nel ghetto di Varsavia

A 80 anni di distanza, durante le commemorazioni, è probabile che varie fazioni della classe dominante, tra cui quelle già coinvolte nelle guerre attuali e quelle che stanno pianificando quelle future, facciano leva sulla resistenza del Ghetto di Varsavia. Spogliata del contesto e ridotta semplicemente a una rappresentazione di "eroismo", chiunque e tutti possono trovare conforto in essa [difatti, è avvenuto proprio così, ndt]. Per noi, mentre le minacce di guerra, la propaganda bellica e la produzione militare si intensificano ancora una volta, questo "episodio storico", come lo riassumono gli autori del documento tradotto qui sotto, è un promemoria tempestivo del costo reale della guerra totale imperialista. Solo la classe operaia può prevenire gli orrori che devono ancora venire, ponendo fine al sistema capitalista che li genera.

Dyjbas, CWO, aprile 2023

L'insurrezione del ghetto sotto la guida del proletariato ebraico. Ricordi e commenti di un partecipante alla lotta

L'eco degli spari ebraici provenienti dalle strade del Ghetto di Varsavia non può passare senza essere conosciuto su ampia scala. Dovremmo tutti conoscere l'origine, lo svolgimento e il significato di quest'ultimo atto delle relazioni tedesco-ebraiche.

Alla conferenza di tutte le aziende che impiegano lavoratori ebrei, convocata poche settimane prima dell'inizio della "contesa finale", fu annunciata la totale "de-ebraizzazione" di Varsavia, con una scadenza molto ravvicinata. I Kulturträger fascisti (1) raccomandarono alle loro vittime ebree di adottare un atteggiamento che evitasse "l'inutile spargimento di sangue". Quindi già allora ci si aspettava una resistenza.

Il vecchio bandito, ma giovane generale, Stroop (2) fissò un termine di tre giorni per l'esecuzione dell'azione, eppure per cinque settimane avemmo l'opportunità quotidiana di verificare il reale valore dell'esercito della svastica. Perché in tutto questo sanguinoso filone emerge un aspetto fondamentale: i fascisti tedeschi ebbero così tanti problemi a sottomettere definitivamente il ghetto non per l'eroismo degli ebrei, ma per la loro stessa codardia. L'hitleriano può essere minaccioso solo come carnefice in un campo o in una prigione, e preferisce di gran lunga questo ruolo al combattimento aperto con un nemico coraggioso. Dobbiamo ricordarlo, e anche il più lungo elenco dei loro successi non ci ingannerà.

Ma cerchiamo di rispondere al perché gli ebrei non hanno combattuto quando il loro numero contava quasi mezzo milione di persone.

Quasi subito dopo la comparsa dei manifesti dello Judenrat, firmati da Czerniaków (3), il suo presidente di allora, sul "reinsediamento della popolazione ebraica all'Est", fu chiaro che gli "sfollati" non sarebbero mai tornati. Le informazioni relativamente accurate provenienti dal ghetto di Treblinka (4) non facevano che confermare questa ipotesi. All'epoca, tuttavia, nessuno degli ebrei assunse una postura di resistenza attiva. Inoltre, nella prima fase dell'azione i tedeschi non si occuparono direttamente della "liquidazione". Furono sollevati da questo compito dalla cosiddetta Polizia ebraica, che stava rapidamente crescendo di numero. Bisogna ammettere che svolse i compiti a lei assegnati con lo zelo della maggior parte degli "eroi blu-marino"! (5) Ad esempio, scoprirono molti nascondigli che i tedeschi non avrebbero mai potuto rintracciare da soli. In una parola, queste "guardie di sicurezza" dimostrarono ancora una volta che la psicologia di un poliziotto è composta da elementi comuni a tutti i poliziotti del vecchio ordine sociale. Nei rapporti tra le persone del ghetto prevaleva un atteggiamento che potrebbe essere descritto come la ricerca personale della sopravvivenza, a qualsiasi prezzo e con qualsiasi mezzo a disposizione dell'individuo.

In tempi record, le persone si adattarono alle mutate condizioni di vita, occuparono i posti di lavoro tedeschi. Tentando di salvarsi la vita, accettarono di vegetare in baracche sovraffollate; pur di ricevere la loro porzione, nemmeno giornaliera, di zuppa di scarsa qualità ed estremamente "magra", prestarono il loro lavoro e acconsentirono alla partenza delle persone più vicine verso morte certa. La gente accettava tutto questo rapidamente e docilmente. Sembrava che la società ebraica fosse cresciuta in queste nuove condizioni pur di ricevere una carta d'identità (6), testimoniando l'utilità di alcuni individui per l'organizzazione bellica del Terzo Reich.

Nonostante questo atteggiamento, la deportazione degli ebrei non risparmiò nessuno strato sociale. In primo luogo furono liquidati i poveri e una parte significativa dell'intellighenzia, che non era adatta alla lotta per la sopravvivenza in qualsiasi condizione. Il fatto che su 400.000 persone ne fossero rimaste solo circa 30.000, meno del 10%, dimostra la portata dell'eliminazione.

Quelli che rimasero furono senza dubbio gli elementi più intelligenti, da un lato capaci di adattarsi alle mutevoli condizioni di vita, dall'altro pronti a tutto. Un piccolo ma organizzato gruppo di lavoratori del trasporto (carrettieri, facchini, ecc.) svolse un ruolo importante.

Apparentemente la corrente della vita, solo cambiando canale, stava tornando al suo livello. C'era una stabilizzazione. La piccola borghesia ebraica, materialmente più ricca, rilevando i beni degli "sfollati" (nonostante le confische tedesche e l'attività speciale della Werterfassung) (7), si impegnò per facilitare la sopravvivenza.

La prima dissonanza in questo nuovo stato di cose fu l'incidente nella zona di Niska-Dzika-Stawki (8). Un gruppo di lavoratori del settore dei trasporti, avvicinato, oppose resistenza. Ci furono vittime da parte tedesca. I lavoratori ebrei si procurarono allora delle armi dai tedeschi. Tuttavia, nella lotta impari, furono costretti a ritirarsi. Per confondere gli inseguitori, fuggendo attraverso rovine che solo loro conoscevano, appiccarono incendi difensivi e localizzati. La prima battaglia fu vinta.

Nel mezzo di una vita per lo più monotona, cominciarono a circolare notizie, talvolta elevate a leggenda eroica. Gli ulteriori episodi di lotta sono ben noti nel ghetto. Si verificano assassinii, mirati soprattutto a tedeschi particolarmente odiati (alcuni - come quelli contro Kirchenmayer e Fischer del cosiddetto Sonderdienst - purtroppo falliscono) (9) e per l'acquisizione di mezzi materiali. Ci si affrettò a creare i rifugi più necessari (alcuni con pozzi profondi, gallerie e persino dotati di linee elettriche scoperte).

Al momento dell'offensiva tedesca principale, gli ebrei erano quasi pronti. In ogni caso, nella misura in cui potevano esserlo da soli. Gli assalti dei lavoratori dei trasporti, il contrattacco organizzato degli operai costruttori di spazzole [nel ghetto c'erano fabbriche di spazzole di industriali tedeschi], i carri armati e le autoblindo bruciate, il disarmo degli uomini delle SS: queste furono le fasi della lotta condotta dal proletariato ebraico. A causa della passività della società ebraica piccolo-borghese e della mancanza di sostegno, e persino di una parziale disinformazione, dall'altra parte del muro, la rivolta ebraica si costretta ad essere solo un episodio storico.

Anonimo, Robotnik, giornale dell'RPPS, 20 giugno 1943

Note:

(1) Un "Kulturträger" è colui che trasmette gli ideali culturali da una generazione all'altra.

(2) Jürgen Stroop era il comandante delle SS responsabile della soppressione del ghetto di Varsavia.

(3) Fino al luglio 1942 (quando si suicidò), Adam Czerniaków fu a capo dello Judenrat, un organo amministrativo che faceva da tramite tra gli ebrei e le autorità naziste, agli ordini di quest'ultimi.

(4) Il ghetto di Treblinka era, come poi si scoprì, un campo di sterminio dove furono uccisi tra i 700.000 e i 900.000 ebrei e 2.000 rom.

(5) Riferimento al colore delle uniformi indossate dalla polizia polacca nella Polonia occupata dai tedeschi.

(6) Inizialmente gli ebrei impiegati nei luoghi di lavoro tedeschi ricevettero carte d'identità che li risparmiavano dalla deportazione. Alla fine anche questo non contò più nulla.

(7) La Werterfassung era un'unità tedesca per la confisca di beni di valore ai detenuti del ghetto (oro, gioielli, pellicce, vestiti, mobili, ecc.).

(8) Strade nelle vicinanze dell'Umschlagplatz di Varsavia, il punto di raccolta vicino alla stazione ferroviaria dove gli ebrei venivano radunati per la deportazione.

(9) Ludwig Fischer divenne governatore del distretto di Varsavia sotto l'occupazione tedesca e supervisionò l'istituzione del ghetto di Varsavia. Il Sonderdienst era la riserva della polizia paramilitare nazista nella Polonia occupata.

Sabato, April 22, 2023