Fra un caposaldo teorico e una invarianza di comodo

Ecco Programma comunista (settembre/ottobre 2022) dove, cercando di individuare “la direttrice degli eventi”, si ricorre ai “capisaldi di un marxismo rivoluzionario” di cui – a nome della “Sinistra comunista italiana” (quel modello specifico che nel secondo dopoguerra riproponeva Bordiga), ci offre esempi sorprendenti. Siamo davanti, trascorsi più di 70 anni, ad una rinnovata glorificazione delle valutazioni esternate da Bordiga sul tema di un differente peso fra gli imperialismi russo e americano.

Va detto che per Bordiga l’imperialismo era una sovrastruttura del capitalismo (1956); una linea politica che la Russia – avendo in corso “un processo economico di impianto del modo di produzione capitalistico” – non avrebbe avuto interesse a concretizzare. Tanto più che, come scriveva il 31 luglio 1951 a Damen: la Russia presenta “evoluti caratteri socialisti della economia sociale…”.

Nell’ottobre 1951 sosteneva poi che “il capitalismo russo non è la stessa cosa di quello di ogni altro paese”; quindi, per lui (Programma, n. 3, 1953), la Russia si trovava nella “fase (“rispettabile”, scriverà) in cui il capitalismo sviluppa le forze produttive e ne spinge l'applicazione oltre antichi limiti geografici, formando la trama della rivoluzione mondiale socialista”.

Perciò la Russia, “non essendo ancora un grande concentramento di capitale, né avendo forza di produzione e potere” (così scriveva), andava trattata con un giusto riguardo soprattutto rispetto a quello che era da considerarsi il “concentramento n. 1” dell’imperialismo, cioè gli Usa. La rivoluzione anticapitalista avrebbe vinto soltanto colpendo Washington: questa – “in senso storico” – la sentenza bordighista, per cui si era dei “perditempo” (o dei “fessi come i battaglisti”) nel mettersi contro Mosca senza prima annientare Washington.

Invece quei “fessi” ritenevano e ritengono che l’imperialismo rappresenti quella che si può considerare come una fase terminale del capitalismo nel suo sviluppo monopolistico, sia privato che statale. Ne è coinvolto tutto lo schieramento mondiale del capitale, al di là degli ineguali livelli di crescita nazionale e di espansione geografica. Tutti costretti a seguire la pratica comune di un sempre più accentuato sfruttamento della classe operaia, approfondendo al tempo stesso (e proprio con gli espedienti della sfera finanziaria) la crisi strutturale che rode il cuore del capitale.

Invarianze teoriche

Dagli anni Cinquanta ad oggi, Programma si è accreditato il merito di aver individuato (con la potenza delle sue “invarianti” elaborazioni teoriche) le “forze storiche della conservazione del modo capitalista di produzione”. Sarebbero le “formazioni statuali anglosassoni, Stati Uniti in primis”, con i loro capitalistici vassalli. Punti interrogativi invece per una Russia a cui si attribuivano (almeno fino alla morte di Stalin) “tratti capitalistici”, sì, ma ancora suscettibili – prospettiva marxista? – di una virata di bordo verso altri lidi….

A nome sempre di una “Sinistra” doc che il tardo bordighismo si vantava di continuare a rappresentare con pretese esclusive (sia chiaro: sul precedente passato di Bordiga molte più luci che ombre) – sostenendo che l’imperialismo andava sottoposto ad un profondo esame di quelli che sono i “connotati di potenza” di ciascun centro. Dopo di che, individuato l’imperialismo più debole, si sarebbe dovuto aver per esso dei riguardi, mascherati verbalmente da dichiarazioni che pur escludendo ogni possibile patteggiamento (in questo caso con Mosca), affermavano che “non si poteva essere indifferenti alla vittoria dell'uno e dell'altro contendente”.

Andava scelto un vincitore delle contese fra centri imperialistici… e Bordiga optava per una soluzione – quella di una vittoria di Mosca contro gli Usa – che dava la possibilità (“prevedibile e calcolabile”…) di favorire poi(?) una azione del movimento rivoluzionario. Questo senza ulteriori approfondimenti e chiarimenti su quali sarebbero i vantaggi che la lotta di classe avrebbe – in favore del proletariato - qualora l'imperialismo più debole (quando mai!) vincesse sul più forte. Si avrebbe un passaggio del dominio imperialista nelle mani di Mosca e Pechino che diventerebbero il centro imperialistico n.1 prendendo il posto di quello americano sconfitto. Di nuovo, punto e a capo… con il proletariato internazionale sempre sfruttato, imbonito da un falso anti-imperialismo confezionato da quelli ex deboli contro quello ex più forte.

Simpatie… opportuniste

Per evitare fraintendimenti e il pericolo di scivolare nell'opportunismo, sarebbe bastato che il Partito mantenesse ufficialmente una posizione disfattista pur non rinunciando ad apprezzamenti “autonomi e indipendenti”, sempre in favore del più debole…

E qui va detto quanto contraddittoria apparisse la scelta per una vittoria dell’Asse nazifascista anche contro una Russia allora ritenuta “in marcia” per la costruzione delle basi del socialismo in un solo paese…

Quindi, allora e di nuovo oggi, si accusa chi seguiva Damen di avere posizioni “indifferentiste” poiché considerava l’Urss come un centro imperialista e non riconosceva (di nuovo “fesso”) la necessità di un trattamento più riguardoso da adottarsi nei confronti degli eserciti di Mosca in un eventuale scontro con quelli dell’imperialismo Usa, ritenuti “vera forza controrivoluzionaria”. I seguaci del superiore verbo invariante, negavano che la Russia fosse una compiuta “forza capitalista”; lo era solo in parte, si sosteneva, ma non del tutto (“tendente al capitalismo” per Bordiga) e comunque bisognava prima abbattere e liquidare il centro del dominio capitalistico nel mondo, gli Usa.

Questa leggera simpatia per il “cammino dell’Urss e dei suoi arretrati Stati satelliti _verso il socialismo” (Programma_ n. 19/1955), comprendeva una approvazione per quanti “costruivano le basi mancanti o incomplete” per un passaggio al socialismo. Si meritavano perciò le velate adulazioni del “cervello” di Programma per… “la politica economica del potere” e si rimproverava soltanto il partito russo per la sua politica anti-classista che travisava la realtà dei fatti.

Indirizzi tattici e strategie astratte

Dunque, ecco l’indirizzo tattico di un Bordga, furbescamente differente per l’uno e l’altro degli imperialismi: “Sconfessione di ogni appoggio al militarismo imperiale russo. Aperto disfattismo contro quello americano” (Il programma comunista, n. 18/1957). Il crollo successivo dell'URSS, avrebbe confermato ai programmisti la diversa “natura dell'imperialismo sovietico”, ovvero la sua debolezza che tanto preoccupava Bordiga. Per il quale, ricordiamolo, se la politica dell’URSS sembrava imperialista, tuttavia mostrava una scarsa consistenza sia sul terreno economico-commerciale sia in quello finanziario.

Con un grosso merito – che Programma attribuisce e riconosce a Mosca con un velato compiacimento (pronta poi a negare il tutto): quello di aver per decenni arginato “l'espansione mondiale del capitalismo atlantico ed esercitato una influenza politica ed ideologica oltre che economica (quindi benefica?) su Paesi appena agli albori di un moderno sviluppo”. Dunque – sempre per Programma – arginando e proponendo come alternativa (udite bene!) “una influenza politica ed ideologica, oltre che economica contro la soggezione occidentale”…. Contro, cioè, la caccia che conducevano “i capitali occidentali affamati di valorizzazione”, e con una pratica di “forsennata conquista e predazione” contro quello Stato (russo) che venne invaso dalla corruzione ma era pur sempre “nato dalla rivoluzione d'Ottobre”… ed ora stava per essere “comprato dalla _massima organizzazione capitalistica nel mondo_”. Cioè sempre quegli Usa che in seguito avrebbero – con tutto l'Occidente capitalista - saccheggiato la Russia liberando il suo mercato dai “lacci e laccioli” del controllo pubblico di… Mosca! Questi sono i testuali commenti di Programma il quale ha sempre rimproverato la Russia (con la propria “ancor fragile struttura capitalistica”) per la sua “genuflessione definitiva all'unico imperialismo dominante il globo”.

Tutto “chiaro” per la corrente degli epigoni di Bordiga che non mancano di lanciare invettive alla “civiltà occidentale”, tacendo su quella orientale considerata in una “fase inferiore dell’imperialismo” e perciò con una “forza minore”. Un “imperialismo debole” come quello russo, si trovava in difficoltà soprattutto per la sua “inadeguata base economica”… Bene, comunque, il forte contrasto all’imperialismo USA il quale mira, fra l’altro, al “saccheggio delle risorse agricole, minerarie ed energetiche ucraine, allo sfruttamento bestiale del proletariato di quel Paese, e in quanto tale ha connotati pienamente imperialisti”. Questo fa inorridire Programma, poiché si toglierebbe pane ai denti di Putin, costringendolo verso nuove prospettive strategiche sviluppate tra gli scenari eurasiatici.

Direttrici storiche

Con una sua notevole “lucidità quasi profetica”, Bordiga e i suoi epigoni avevano tracciato le future direttrici storiche lungo le quali l’imperialismo americano avrebbe scatenato, contro gli altri capitalismi… non imperialisti, “aggressioni, invasioni, oppressioni e schiavizzamenti” di inaudita ferocia. Sorpresi da simili valutazioni e atteggiamenti, ci si chiede: ma al proletariato rivoluzionario, quale vantaggio deriverebbe da una “attrazione” per più… rispettosi rapporti inter-imperialistici fra potenze capitalistiche che coi loro rapporti di produzione soggiogano e tormentano i proletari in ogni parte del mondo? La risposta di Programma sembra essere quella che tutto dipende dallo slancio imperialista del capitalismo americano. In fondo la Russia non farebbe che interporsi a tutto ciò e quindi – per Programma - essa va vista come l’“estremo baluardo europeo contro l'espansione dell'imperialismo USA” e contro una Nato che continua a mettere in pericolo i capitalismi emergenti.

Programma non nasconde il proprio compiacimento perché, a suo parere, la Russia non risulterebbe affatto “isolata”: lo sarebbero – e qui la gioia traspare tra le righe dei vari articoli (ispirati dal sito di “Sinistra in rete”…) - gli “Usa e i loro vassalli occidentali” dagli atteggiamenti guerrafondai in opposizione (e qui la piaggeria trapela chiaramente) ai desideri di “pacificazione” che sarebbero espressi dall’Oriente. Dove anche la Cina sarebbe coinvolta dall'espansionismo imperialista di Washington e quindi “costretta” a mostrare i muscoli…

A questo punto, “la soluzione più auspicabile rimane la stessa che la nostra corrente indicava nel lontano 1950” – afferma Programma riferendosi a quando il pensiero di Bordiga aveva partorito l’idea che nella seconda guerra imperialista una vittoria di Hitler su Londra avrebbe avuto “utili conseguenze rivoluzionarie”. Ora gli epigoni ritengono auspicabile “il crollo (anche se ammettono “disgraziatamente improbabile”) della potenza americana, in una eventuale terza guerra”. Questi auspici idealistici erano rivendicati (quasi 80 anni fa…) come pieno diritto per un “marxista” che si divertiva a giocare in privato su di una immaginaria scacchiera mondiale. Identici sono, ancora oggi, anche i pezzi in movimento e con i quali giocano e si divertono (a quanto pare) gli epigoni.

dc
Sabato, August 5, 2023