Sulla manifestazione pro Palestina 18 maggio 2024 Torino. “I nodi irrisolti dello stalinismo”.

Pubblichiamo il breve resoconto dei nostri compagni intervenuti alla manifestazione.

Partiamo dalla concentrazione sul ponte Mosca da dove ha preso il via la manifestazione di solidarietà al “popolo” palestinese che sta subendo le ritorsioni di Israele per l’attacco del 7 ottobre, organizzato da Hamas, e che hanno prodotto fino ad ora, stando le stime ufficiali, oltre 35.000 vittime di cui la metà bambini. Altre fonti sostengono invece un numero di vittime intorno ai 100.000 che Hamas, insieme a Israele, cerca di tacere ridimensionando il numero per giustificare la strategia fallimentare messa in atto.

Manifestazione discretamente partecipata, stimiamo circa 2.000 presenze, composta principalmente da giovani “antagonisti” (secondo il linguaggio dei mass media) con immancabile kefiah di ordinanza; in coda una minoranza di personale politico stalino-maoista quali Pci, Rifondazione, Potere al popolo, sinistra anticapitalista, dirigenza del Si Cobas senza bandiere, che ha poi preso la parola dal camioncino in testa al corteo.

Slogan: “intifada fino alla vittoria”, “free Palestine” sia in inglese che in italiano, questi primi due ripetuti in continuazione, “nakba”, “fuori Israele dalle università” (senza menzionare la collaborazione con l’industria bellica del Politecnico). “Palestina libera, Palestina rossa” lanciato dal Si Cobas durante l'intervento ai microfoni nel goffo tentativo di forzare la convergenza tra rivendicazioni nazionali palestinesi e lotta di classe.

Il corteo è partito passando attraverso il mercato di Porta Palazzo densamente frequentato e abitato da lavoratori migranti, dove ha raccolto consensi anche grazie agli interventi in arabo dal microfono. Potrebbe sembrare positiva la ricerca e il coinvolgimento dei lavoratori, ma tutto si è sviluppato attorno a temi nazionalisti dalla forte connotazione stalinista, a prescindere dall’appartenenza politica dei manifestanti.

Rispetto ad una riflessione generale sulla protesta in sé, l'idea trasmessa pare essere quella di voler formare una “massa critica” politicamente egemonizzata da una sinistra di stampo stalinista e/o sindacale, il cui opportunismo viene fatto passare come una sorta di tattica entrista.

L’impossibilità, nell’attuale regime imperialista, di formare partiti operai di massa (che è altra cosa da quella dell'indispensabile radicamento dell'avanguardia comunista nella classe!) è negata da questo personale politico autoreferenziale, alla perenne ricerca di spazi di agibilità, finendo per rappresentare nient'altro che articolazioni politiche borghesi declinate in forma di dissenso che, per quanto radicale, rimane sterile. L’idea di poter riproporre tale e quale lo schema dell’ottobre 1917 fa comodo a tutta una schiera di formazioni politiche - anarchismo compreso - che non hanno fatto i conti, e non li faranno mai, con il crollo dell’Unione Sovietica e con la complessità degli imperialismi di oggi.

Il cosiddetto “dissenso” espresso da questa area politica rimane, allora, legato alle concessioni democratiche che la borghesia ammette (se le ammette) per la gestione della propria pace sociale, provvedendo a istituzionalizzare le istanze dei vari gruppi, il cui ritorno in termini elettorali viene riscosso puntualmente ad ogni chiamata alle urne: si veda, ad esempio, l’appoggio ottenuto dai 5S con l’opposizione alla TAV.

Non ci si rivolge ai lavoratori salariati in quanto sfruttati, ma si pongono questioni di “principio” (diritti, autodeterminazione dei popoli ecc.), viene posto in secondo piano il conflitto capitale/lavoro e ignorata la necessità imperialista di ripartizione del plusvalore globalmente prodotto, che ha condotto la società intera alle soglie della terza guerra mondiale.

Domenica, May 19, 2024