Verbale sintetico del dibattito

Partecipano direttamente al dibattito le delegazioni del Partito Comunista Internazionalista e della Corrente Comunista Internazionale.

La Conferenza si apre con la costatazione delle assenze di alcuni gruppi che peraltro avevano aderito alla iniziativa e con la lettura dei loro documenti, della corrispondenza tenuta in preparazione alla riunione stessa. Viene quindi data lettura delle tre lettere del P.I.C., dell'ultima lettera pervenuta dalla C.W.O. e della lettera-documento di Fomento Obrero Revolucionario e il messaggio della Forbundet Arbetarmarkt.

Considerati i rilievi critici agli aspetti organizzativi della Conferenza stessa si passa alla lettura dei documenti che P.C.Int. e C.C.I. presentano al dibattito. (Il documento della C.W.O. che riportiamo in questa pubblicazione, è pervenuto al C.E. del Partito Comunista Internazionalista il giorno successivo la chiusura dei lavori).

La seduta viene quindi sospesa per l'intervallo di colazione.

Alla ripresa, si avvia il dibattito con l'intervento della CCI.

C.C.I. Nei temi affrontati ci sono divergenze reali, ma anche caratteristiche terminologiche diverse che suscitano incomprensione. Ciò è forse dovuto anche a 50 anni di controrivoluzione che hanno chiuso in se stessi i vari gruppi rivoluzionari. È quindi necessario improntare il dibattito ad eliminare queste divergenze di forma per affrontare le divergenze politiche vere e proprie.

Le forze rivoluzionarie nel mondo non si limitano a P.C.Int. e CCI e dobbiamo mettere in discussione i problemi che interessano anche gli altri gruppi.

Rileviamo un accordo sulla definizione di decadenza del capitalismo e in particolare il rifiuto delle teorie di Hilferding (per il quale non ci sono contraddizioni insolubili per il capitalismo, che dunque può perpetuarsi all'infinito) di Pannekoek (per il quale rivoluzione è una soluzione pedagogica intesa come insegnamento agli operai); come si rifiuta la concezione di Bordiga che nei fatti nega il concetto di decadenza e parla di sviluppo costante del capitalismo in cui le crisi vengono superate. In base a questa concezione, secondo i bordighisti nel 1978-80 il capitalismo dovrebbe uscire dalla crisi, con tutto ciò che ne consegue: dall'atteggiamento volontaristico alla attività nella classe operaia.

Rifiutiamo anche la posizione di Fomento Obrero che considera la crisi come crisi di civilizzazione capitalista. Sappiamo bene che essa è conseguenza delle contraddizioni di fondo del capitalismo stesso. Rifiutiamo pure la concezione di Socialisme ou Barbarie che riconosce la crisi, ma prevede come sbocco un terzo sistema burocratico che risolverebbe in qualche modo i problemi del Capitalismo.

Riteniamo invece giusta l'analisi sia del P.C.Int. sia della C.C.I. che riafferma la visione marxista secondo cui un sistema non può sopravvivere a se stesso, per cui l'unica soluzione proletaria alla crisi è la rivoluzione socialista.

Dal 1914 il capitalismo è in crisi permanente, ha esaurito i suoi compiti storici, ha messo all'ordine del giorno il suo superamento, possibile attraverso la rivoluzione proletaria.

  1. Bisogna sottolineare l'accordo Fra i due testi nella continuità della III Internazionale con la affermazione fondamentale: una nuova epoca è in atto, è la degenerazione del capitalismo.
  2. Tutte le teorie che non individuano i motivi oggettivi della crisi non possono spiegare perché il capitalismo deve sparire e se non riconoscono le contraddizioni insite nel capitalismo sono impossibilitati a vedere la classe operaia come soggetto della rivoluzione. La rivoluzione stessa diventa un'aspirazione sentimentale e morale per cui tutti gli emarginati possono essere soggetti rivoluzionari. Sottolineiamo la affermazione fondamentale della unicità della classe operaia come protagonista della rivoluzione.
  3. C'è accordo sulla spiegazione della decadenza come fenomeno storico internazionale e non geografico. Alcuni gruppi riconoscono il declino del capitalismo, ma lo limitano ai paesi sviluppati facendo una distinzione nei confronti dei paesi in via di sviluppo. Il capitalismo è un sistema mondialmente in crisi. Questi gruppi applicano al sistema capitalistico la stessa valutazione che si poteva dare al sistema feudale la cui economia si sviluppava localmente per cui vi poteva essere una reazione a carattere nazionale o regionale. Ma il capitalismo ha unificato tutto il mondo in un solo sistema economico. Questi gruppi prevedono la possibilità di rivoluzioni solo in alcuni paesi dividendo in tal modo il proletariato; negano con ciò una affermazione fondamentale del marxismo secondo cui il proletariato è classe mondiale che ha compiti storici mondiali. Nei fatti queste concezioni portano all'abbandono dell'internazionalismo e dei canoni principali del marxismo.
  4. Ecco tre punti di comune accordo che escono dai documenti presentati dalle due organizzazioni e di cui bisogna sottolineare l'importanza. Ci sono tuttavia delle divergenze che dobbiamo analizzare. La prima concerne la spiegazione delle cause della crisi dell'economia capitalista. Non accettiamo la tesi che vede come unica causa della crisi la caduta tendenziale del saggio di profitto. Il problema è una distribuzione della produzione e della capacità di assorbimento da parte del mercato e di consumo della produzione. Nel capitalismo il problema della realizzazione del plusvalore non può essere risolto dal consumo degli operai. Non bisogna trascurare che c'è un legame tra il valore di scambio e l'uso delle merci. All'interno di questa caratteristica generale possiamo vedere la contraddizione tipica del capitalismo: mentre da una parte per tutte le altre società la contraddizione era tra il non riuscire a produrre abbastanza per i bisogni della società (crisi di penuria) il capitalismo al contrario produce troppo per le possibilità di assorbimento che il mercato capitalistico stesso rivela. Questo aspetto è stato molto dibattuto e presenta varie interpretazioni ma non può essere motivo di contrapposizione fra i rivoluzionari. Tuttavia, come si spiega la crisi storica, oltre alle crisi congiunturali, e nello stesso tempo, come si spiegano le guerre, se il problema del capitalismo, è semplicemente a livello di produzione? e quindi si pone il problema della distruzione delle merci sul mercato? Le guerre sono esattamente il mezzo con cui i vari stati capitalisti affrontano la competizione per la collocazione delle loro merci sul mercato, nel momento in cui la competizione sul mercato non è più libera, ma la situazione è tale che solo con la esclusione dei concorrenti è possibile per alcuni stati continuare la produzione. Se non si riconosce tutta una fase storica in cui le condizioni della guerra maturano, non si spiega il perché delle guerre imperialiste, della formazione di blocchi, come momento provocato da una particolare situazione di mercato.

Questa divergenza è reale. Riconoscendola dobbiamo continuare la discussione in modo da chiarire i problemi. È vero che la caduta del saggio di profitto provoca, come tentativo di opporsi a questa, un maggiore sfruttamento della classe operaia. Ma ciò non basta a spiegare il problema perché se noi immaginassimo che tutta la classe operaia subisse un abbassamento dei salari tale da far salire il saggio del profitto, resterebbe il problema della realizzazione del plusvalore prodotto. In questo caso non è la classe operaia in grado di acquistare tutte le merci. Resterebbe quindi al capitalismo il problema di trovare degli acquirenti, a meno che si voglia immaginare un sistema che «produca per produrre». Va sottolineata la contraddizione che esiste tra produzione capitalista e mercato capitalista, tra la produzione delle merci e la possibilità da parte del mercato di assorbirle. Per esempio, nella crisi del '29 un abbassamento dei salari massiccio non bastò a risolverla. Lo stesso va affermato oggi: anche se la socialdemocrazia, gli stalinisti, qualunque partito della borghesia, riuscisse a far accettare alla classe operaia una riduzione drastica dei salari, questo non risolverebbe la crisi che ha come unico sbocco la guerra per decidere chi dei paesi capitalisti riuscirà a impadronirsi dei mercati.

P.C.Int. Innanzitutto noi non abbiamo sottovalutato il problema del mercato. In una parte del nostro testo si dice

«in altri termini una delle contraddizioni fondamentali che minano il sistema dal suo interno, è quella che si presenta fra produzione di plusvalore e sua realizzazione.»

Voi affermate, e noi siamo d'accordo, che in Marx il problema della caduta del saggio del profitto è uno dei momenti peculiari attraverso il quale si manifesta il processo di accumulazione stesso. Il problema è di vedere se ciò che avviene sul mercato determina l'impossibilità della accumulazione oppure se sono i meccanismi della accumulazione che creano la crisi di mercato. Voi affermate che in tutte le società, e anche nella società capitalista, la produzione è in funzione del consumo, come momento organizzativo e produttivo. Rispondiamo con Marx:

«L'estensione della produzione non viene divisa in base al rapporto fra la produzione e i beni sociali, ma questa produzione viene effettuata in base al profitto e al rapporto fra questo profitto e il capitale impiegato, vale a dire in base al livello del saggio di profitto.»

In altri termini scopo della produzione è il profitto non il consumo. A questo punto il problema è vedere se è la sovrapproduzione che determina la saturazione del mercato, che a sua volta determina la crisi, e, come avete scritto, la impossibilità per il capitale di controbilanciare la caduta del saggio di profitto.

Per Marx è esattamente il contrario: è la caduta del saggio di profitto che determina la sovrapproduzione, quindi saturazione del mercato, esasperazione della concorrenza con tutte le altre conseguenze che ne derivano. Dice Marx:

«La diminuzione del saggio di profitto determina una riduzione di valore del capitale.»

Tutte le crisi si manifestano come crisi di sovrapproduzione, ma la incapacità da parte del mercato di assorbire beni strumentali e di consumo dipende dal processo di accumulazione, che si esprime attraverso la caduta del saggio di profitto che non rende valorizzabile il capitale a certi prezzi e a un certo grado di sfruttamento della forza-lavoro. Dunque è la caduta del saggio di profitto che determina la saturazione dei mercati e non è la saturazione dei mercati che rende impossibile al capitale bloccare la caduta del saggio di profitto.

P.C.Int. Riteniamo che ci accomuna il giudizio su questa fase del capitalismo. Ciò è importante perché costituisce il presupposto su cui lavorare in futuro per lo sviluppo di questa iniziativa in campo internazionale. Il rilevare la caduta del saggio di profitto ci permette di evidenziare che ci troviamo di fronte a un sistema che storicamente ha cessato ogni sua funzione progressiva. Anzi, questo sistema, nella misura in cui non è capace di realizzare lo sfruttamento della forza-lavoro, si presenta come antistorico. Per saturazione di mercato non intendiamo un mercato fisicamente saturo nel senso che non può assorbire la produzione. Rimarrebbero inspiegabili certe situazioni di bisogni non soddisfatti.

Evidentemente, allora, un mercato è saturo quando, dal punto di vista capitalistico, non consente più la realizzazione della produzione secondo le esigenze dei rapporti di produzione capitalistici: il fine ristretto del profitto, l'autovalorizzazione del capitale su scala allargata. La teoria del lavoro-valore insegna che il plusvalore non si realizza sul mercato, ma questo momento della estorsione avviene già nel processo produttivo.

C.C.I. Capire oggi la crisi non è solo la condizione per capire la società in generale, ma anche come dovrà essere la nuova società. La nuova società dovrà, prima di tutto rispondere alle difficoltà della società capitalista; l'umanità è bloccata dalle contraddizioni del capitalismo, la nuova società deve saperle affrontare.

  1. I compagni italiani sono d'accordo che la crisi si manifesta come sovrapproduzione, però spiegano questo non sul terreno del mercato, ma con la caduta del saggio di profitto. In se stessa la caduta del saggio di profitto non può spiegare la sovrapproduzione per il semplice fatto che una riduzione della produzione non provoca un aumento del saggio di profitto.
  2. La spiegazione delle guerre tramite la teoria di Grossman, cioè la guerra è una soluzione per il capitalismo perché diminuisce la composizione organica del capitale tramite una distruzione del capitale costante, non è esatta. Di fatto le guerre non portano a una diminuzione della composizione organica del capitale; al contrario le guerre eliminano tutti i settori arretrati del capitalismo; la produzione ricomincia con una composizione organica del capitale molto più elevata di prima. Non si può spiegare dunque il bisogno della guerra che attraverso la saturazione del mercato.
  3. È importante comprendere che la crisi del capitalismo è anche la crisi di tutti i sistemi di merci, basati cioè sulla legge del valore-lavoro. Domani la società avrà un sistema di produzione diverso, non ci sarà più mercato né merci. Per poter affermare questo dobbiamo spiegare oggi chiaramente che la crisi del capitalismo è la crisi del mercato. Se oggi possiamo dire, su base scientifica, che domani le merci dovranno sparire, è perché la crisi di oggi del capitalismo è la crisi generale della produzione delle merci, è la crisi di mercato.

C'è tutta una coerenza nella visione di Marx per spiegare che la contraddizione fondamentale del capitalismo si trova nel centro stesso del sistema capitalistico che è la merce. Questa contraddizione si manifesta prima di tutto tra valore d'uso e valore di scambio; per questo oggi, quando dobbiamo spiegare la crisi, diciamo che la spiegazione si trova in ultima istanza, non soltanto nei meccanismi specifici del capitalismo, ma più in generale nel meccanismo di mercificazione.

Il capitalismo ha reso questi meccanismi più generalizzati, tutto oggi è merce, anche la forza lavoro che non lo era in altre società. È per questo che la fine del capitalismo è anche la fine di tutte le società di mercato, ed inoltre è per questo che la crisi oggi appare prima di tutto come crisi del mercato, come crisi del sistema delle merci.

P.C.Int. La C.C.I. dice

«Il saggio di profitto non spiega la sovrapproduzione e quindi non provoca una riduzione della produzione.»

Marx ci dice che non è vero che esiste sovrapproduzione in assoluto, non vengono prodotti troppi mezzi di sussistenza in relazione alla popolazione esistente, non vengono prodotti troppi mezzi di produzione per occupare tutta la popolazione. Quindi non siamo in presenza di una saturazione fisica del mercato, ma periodicamente vengono prodotti troppi mezzi di produzione e troppi mezzi di consumo a un determinato saggio di profitto. Per cui è la condizione del saggio di profitto che determina saturazione del mercato, che a sua volta determina una riduzione della produzione.

C.C.I. Per quanto riguarda la lotta di classe e le prospettive rivoluzionarie: in diversi punti del testo presentato il P.C.Int. vede oggi il proletariato ancora come vittima della lotta di classe. La fase attuale viene vista come, ultima ora forse, ma pur sempre interna al corso storico controrivoluzionario. È una visione pessimistica delle lotte operaie. Noi affermiamo che fin dalla fine degli anni 1960, assistiamo ad una ripresa della iniziativa della lotta proletaria mondiale. Se si considera il corso attuale come periodo controrivoluzionario, dobbiamo dedurne enormi difficoltà per i rivoluzionari di agire all'interno della classe e, come la storia ci dimostra, nei momenti di crisi, di controrivoluzione trionfante si ha la frantumazione delle forze rivoluzionarie e non certo un loro consolidamento; se noi siamo qui a discutere, al contrario, ciò è un sintomo della ripresa della lotta di classe. Le manifestazioni di questa ripresa a cominciare dagli anni 1960, sono state il Maggio francese, l'autunno del 1969 in Italia, Germania, Argentina, in Africa e anche nei paesi dell'Est (per esempio la Polonia) dove c'è stata una risposta del proletariato alla crisi del capitalismo. Non si tratta di una ripresa decisa, ma di un movimento che ha scoppi improvvisi, talvolta violenti, fino ad arrivare ad uno scontro con lo Stato borghese. Non si manifesta con continuità e ascesa rapida come negli anni 1920. Ciò ci deve dare la indicazione su come i rivoluzionari devono agire all'interno della classe. Per trarre delle conclusioni: la crescita di combattività della classe di fronte alla crisi a livello mondiale, manifestatasi con bruschi soprassalti e momenti di apatia, dimostra che i rivoluzionari non si muovono controcorrente come nei periodi controrivoluzionari, ma si muovono nel senso del movimento operaio, sono fattori attivi dello sviluppo della lotta di classe. Di fronte alla ripresa della lotta di classe e alla crisi del capitalismo, assistiamo al tentativo della borghesia, che si serve di tutti i suoi strumenti ideologici, di far arretrare la classe operaia. Le cosiddette sinistre, grazie a 50 anni di controrivoluzione, hanno potuto conservare il loro peso all'interno della classe operaia quindi possono portare avanti le mistificazioni facendo passare capitalismo di stato come socialismo e organizzazione dello stato operaio, prospettando agli operai una possibilità di partecipazione al potere.

Non condividiamo la formulazione sui partiti socialdemocratici data dal P.C.Int. là dove li chiama partiti riformisti e opportunisti. L'opportunismo era considerato una malattia all'interno dei partiti operai. Oggi non possiamo più criticare quei partiti con gli stessi criteri con cui li criticava Rosa Luxembourg, perché da 60 anni questi partiti costituiscono la sinistra del capitale. Trattandosi forse solo di non chiarezza nella formulazione chiediamo ai compagni del P.C.Int. Precisazioni.

Secondo punto: i sindacati vengono definiti come «sindacati opportunisti» là dove si scrive che la classe operaia conduce le sue lotte tramite i sindacati opportunisti. Condividiamo solo la valutazione che nella fase di decadenza del capitalismo il sindacato non ha neppure più la funzione di difesa degli interessi immediati della classe operaia, come nel periodo ascendente, per conquistare riforme e avanzamenti economici. Non comprendiamo però l'affermazione che i rivoluzionari devono considerare i sindacati come organismi che raccolgono la massa dei lavoratori. Riteniamo molto importante portare la denuncia del ruolo dei sindacati fino in fondo come forza del capitale per costringere la lotta della classe operaia all'interno di certi limiti e amputarne le capacità rivoluzionarie. Non si può transigere sulla denuncia dei sindacati come ingranaggi del sistema capitalistico, strumenti borghesi.

Non comprendiamo la formazione dei gruppi sindacali citati nel testo: non si può comprendere la loro esistenza oggi che come un residuo del passato. I sindacati hanno rappresentato un fatto molto importante in seno alla classe nel passato, ma oggi la loro funzione è di sostegno all'ingranaggio capitalistico, per cui bisogna abbandonare ogni riferimento, sia pure verbale, al termine «sindacale» che può generare confusione all'interno della classe. Dobbiamo evidenziare nelle lotte di classe di questi anni la tendenza all'autonomia del proletariato. Queste lotte hanno avuto caratteristiche antisindacali in quanto si sono sviluppate fuori e contro il sindacato, essendo questo il primo ostacolo che incontrano nel proprio sviluppo. Il proletariato si dà organismi diversi da quelli sindacali per la direzione della lotta: in generale l'assemblea di fabbrica. Le forme di organizzazione esprimono una tendenza generale nella classe verso la sua unità e la sua autonomia. Ma

  1. Esse non possono essere delle organizzazioni permanenti della classe. Con la fine delle lotte che le hanno generate, scompaiono.
  2. Queste forme non possono essere ne inventate né create dai rivoluzionari.

Noi siamo d'accordo quando dite che la difesa degli interessi immediati è stata abbandonata dai sindacati perché inapplicabile nella fase di decadenza del capitalismo. Non si capisce poi però perché si conclude che deve essere il partito a portare avanti queste difese. Sembra di tornare alla visione che è questo o quel sindacato che non funziona e non il sindacalismo. L'organizzazione unitaria della classe deve portare avanti interessi unitari immediati dei lavoratori. Al partito il compito di portare avanti gli obbiettivi finali della classe. Esiste una combattività crescente della classe che si dà forme organizzative importanti; ciò ci fa capire la necessità dell'intervento dei rivoluzionari (non la loro direzione). Non siamo d'accordo sulla definizione e sul modo d'intervento dei Gruppi di Fabbrica che lavorano come cinghie di trasmissione fra partito e classe. Non si capisce il rigetto del sindacato se si ripropone una forma di mediazione fra il partito e la classe, un intervento della classe sul piano sindacale; non si capisce la differenza col sindacato.

Dalla questione dell'intervento del partito all'interno della classe operaia affiora l'altro punto di divergenza: il ruolo del partito. Non condividiamo la teoria secondo cui quest'ultimo è l'unico detentore della coscienza, là dove invece assistiamo in tutte le manifestazioni della lotta operaia alla creatività della classe, alla capacità di autorganizzarsi, alla tendenza alla presa di coscienza. Di questa presa di coscienza i rivoluzionari sono un fattore attivo fondamentale, ma non rappresentano all'esterno della classe questa coscienza. La divergenza non sta nella necessità di intervento nella classe nella maniera più diffusa possibile, e di rispondere alla richiesta pratica della classe di andare oltre le lotte immediate, ma sta nel modo e negli strumenti con cui i rivoluzionari intervengono all'interno della classe e il fine dell'intervento stesso.

P.C.Int. Quale fase viviamo rispetto alla lotta di classe? Ribadiamo quanto affermato sul documento, chiarendo che quando sosteniamo di vivere ancora una fase controrivoluzionaria, intendiamo dire che i movimenti realizzati nello ultimo periodo non sono di per sé significativi di una ripresa reale della lotta di classe. Affermiamo che esiste un arco storico, avviatosi con la controrivoluzione in Russia e con la degenerazione del Comintern che non si è ancora concluso nei suoi effetti disastrosi all'interno della classe. Lo scontro fra le classi non significa necessariamente attacco d'Ala classe operaia al sistema, iniziativa cioè del proletariato. Nei momenti di crisi la lotta di classe si fa più acuta nella misura in cui una delle due classi prende l'iniziativa: siamo nella fase in cui l'iniziativa è ancora tutta della borghesia. Rispetto al Maggio '68 e all'autunno '69, noi esprimiamo giudizi diversi. Essi sono stati originati da un disagio reale della classe operaia da tensioni esistenti al suo interno, ma tutte utilizzate nel senso della conservazione borghese. Si è verificato uno spostamento delle classi medie e l'affermazione del dominio socialdemocratico all'interno del proletariato e nell'intera società. Le tensioni del proletariato sono servite per affermare il dominio della borghesia nella forma socialdemocratica. La vittoria della socialdemocrazia coincide con una fase terminale del capitalismo, ma pur sempre controrivoluzionaria.

La crisi che effetti ha avuto ed ha tuttora sul proletariato? Esiste un crescere delle possibilità di un nuovo orientamento da parte della classe operaia, non inteso però come un processo meccanico di crescita parallela della crisi e della coscienza di classe. La compagna ha evidenziato il peso della mistificazione sul proletariato da parte della borghesia, questo significa che il proletariato è preda della mistificazione borghese e che la classe operaia non è riuscita ancora ad esprimere una forma di ripresa nel senso di lotte proprie. Quale è il momento in cui si rende effettiva una ripresa della iniziativa proletaria? È necessario lo intervento dei rivoluzionari e traumi sociali che spezzino l'assoggettamento operaio alla socialdemocrazia e alla controrivoluzione. Dai nostri documenti appare con molta chiarezza ciò che diceva la compagna: la socialdemocrazia rappresenta la sinistra del capitale. Ma ciò non fa che confermare la nostra tesi: la necessità di una lotta serrata contro la socialdemocrazia. Rispetto ai sindacati i compagni della C.C.I. sostengono che ci sia da parte nostra poca chiarezza perché affermiamo che i sindacati comprendono grandi masse operaie. È essenziale capire che la classe operaia vive all'interno del sindacato e Io considera come un momento di difesa delle sue condizioni. Il punto su cui battere è proprio questo. Noi non siamo d'accordo sulla possibilità di presa di coscienza spontanea da parte del proletariato. È vero che esistono episodi di scontro verso il sindacato, ma una lotta contro il sindacato non è sufficiente per la crescita rivoluzionaria. Le manifestazioni di lotta devono trovare continuità al di fuori del sindacato e al di fuori della stessa situazione di lotta specifica. Episodi di riunioni informali di gruppi di operai fuori dal sindacato dimostrano l'impossibilità di realizzare forme di lotta politica.

È infatti necessario un punto di riferimento strategico, un'organizzazione operaia presente nella classe: la rete dei Gruppi di Fabbrica. La prospettiva strategica viene dal partito per l'autoriorganizzazione operaia che finisce con la lotta rivoluzionaria. Ai dubbi della compagna risponde il nostro documento quando rifiuta la divisione fra gruppi politici e gruppi sindacali in quanto i gruppi di fabbrica sono le forme di presenza delle forze rivoluzionarie all'interno della classe. La nostra prospettiva su scala internazionale è quella di grossi traumi del proletariato in cui deve essere presente il partito per la ripresa organizzata della iniziativa da parte della classe operaia, stante il fatto che oggi la borghesia ha ancora l'iniziativa tramite il PCI e i sindacati. Non è vero che il partito raccoglie la lotta rivendicativa per negoziare il prezzo della forza lavoro. Esso deve agitare i temi della rivendicazione economica per porre il problema dello scontro di classe. Se non esiste continuità della classe operaia e se essa è data solo dalla organizzazione del partito, è necessario che il partito si dia gli strumenti di intervento nella classe. Non rifiutiamo la cinghia di trasmissione come tale, ma il ruolo del sindacato come cinghia di trasmissione. Da ciò deriva una concezione precisa del ruolo del partito. Il partito è il detentore del programma del proletariato. Quando si parla di autocoscienza del proletariato di cui, secondo CCI, vi è stata già esperienza storica si fa della poesia già battuta nel 1917. (Dopo breve intervallo riprendono i lavori).

P.C.Int. La visione secondo cui la classe operaia può maturare forme di autocoscienza, perdurando i rapporti capitalistici, noi la definiamo come una visione con grosse implicazioni idealiste.

Il proletariato si muove solo sulla base di condizioni oggettive, quando il capitalismo è entrato in crisi e non è più in grado di assolvere le esigenze della classe operaia e la costringe a muoversi sul piano forzatamente rivendicativo, immediato, della sua condizione di fabbrica, senza avere chiaro lo scopo tattico e strategico dell'obbiettivo finale, la sua funzione storica di classe rivoluzionaria.

Marx nella Ideologia Tedesca sottolinea:

«È necessaria la dittatura del proletariato non solo come il primo momento tramite il quale il proletariato può sviluppare la propria coscienza, ma perché per la prima volta è in grado di gestire i rapporti di produzione.»

Per noi, finché vigono i rapporti di produzione capitalistici, la classe operaia non può pervenire alla coscienza rivoluzionaria senza l'intervento del Partito. È chiaro a questo punto che cosa noi intendiamo per intervento del Partito nelle lotte operaie: la necessità di organismi intermedi Ira partito e classe che noi definiamo Gruppi di Fabbrica Comunisti Internazionalisti, che sono il momento attraverso il quale il proletariato sviluppa la coscienza rivoluzionaria che altrimenti si riaccascerebbe. Portiamo l'esperienza degli anni 1920: la crisi aveva posto le condizioni per un moto rivoluzionario, ma eccetto l'esperienza Russa che ha vista la esperienza del partito, in tutte le altre esperienze la classe si è mossa, ma ha fallito, perché questo è venuto meno.

C.C.I. Rifiutiamo l'attributo di visione idealistica: sono le condizioni di crisi che spingono la classe verso la presa di coscienza. Inoltre rileviamo una contraddizione nel compagno quando afferma che permanendo rapporti di produzione capitalistici non può esserci coscienza del proletariato, a questo punto non è mai possibile coscienza della classe se non quando sparisce come tale.

P.C.Int. Non si tratta di tempi e di modi. Si ritiene che quando la borghesia detiene il potere economico e politico, non è possibile al proletariato attraverso le lotte rivendicative arrivare all'autocoscienza.

C.C.I. Bisogna essere chiari sulla valutazione del periodo attuale e dello sviluppo della lotta di classe. Il P.I.C. dice che oggi siamo in un periodo rivoluzionario, voi non capite che sta succedendo qualcosa di nuovo piuttosto che essere in un periodo di rinculo. Va ribadito che si tratta di un lento sviluppo della risposta operaia alla crisi e quindi al sistema e siamo d'accordo con voi che è finito il periodo controrivoluzionario ed è appena iniziato il periodo di ripresa delle lotte internazionali. Ciò è stato molto dibattuto nell'Internazionale degli anni '20. Trotsky, a proposito del '33 in Germania sollecitava i rivoluzionari a muoversi, però lo stesso Trotsky negli anni '30 nel periodo controrivoluzionario, proponeva la formazione della IV Internazionale. La Sinistra Italiana rifiutò criticamente, però è caduta nello stesso errore dopo la Seconda Guerra Mondiale con la formazione del Partito. Se prima si sopravalutava il momento oggi lo si sottovaluta.

P.C.Int. Prendiamo in considerazione la fase in cui ci troviamo: ci si è rifatti alla crisi 1929-30 e alle sue differenze rispetto ad oggi nell'intervento precedente. La fase storica che si attraversava allora deve essere riferita agli avvenimenti della Rivoluzione Russa. La controrivoluzione avviatasi negli anni 1920 si svolge in un arco storico che ha come culmine la partecipazione della Russia alla II Guerra Mondiale che sancisce la natura imperialistica dell'URSS.

In questo momento, e non a caso, si inserisce la costituzione del nostro partito. La differenza sta nella fase che vive il proletariato rispetto agli avvenimenti storici. Oggi con la crisi vediamo aprirsi le possibilità di una risposta rivoluzionaria: pur dovendo ancora distruggere la socialdemocrazia, oggi esiste la possibilità di avvicinare e organizzare avanguardie che si mettono in moto sotto la spinta della crisi, nella prospettiva che sull'ondata delle lotte l'organizzazione rivoluzionaria possa fungere da punto di riferimento strategico per l'assalto. Abbiamo ma processo di crescita lento, contraddittorio, nel quale si deve inserire la piattaforma organizzativo-politica del Partito.

La discussione prosegue sui diversi modi di intendere il termine e la sostanza del riformismo. La seconda giornata si avvia con una breve puntualizzazione del P.C.Int. sulla fase attuale, come richiesto dalla C.C.I.

P.C.Int. Abbiamo affermato che nel 1929-30 il processo controrivoluzionario avviatosi con la caduta della Rivoluzione russa era pienamente in atto. Oggi siamo nella fase della gestione diretta da parte della socialdemocrazia. Nel 1968-69 gli avvenimenti hanno confermato l'affermazione di quest'ultima e dei sindacati. Questo nonostante i primissimi episodi di lotta diretta contro il sindacato. Questi episodi sono stati un elemento di contraddizione. La crisi strutturale del capitalismo avviatasi nel 1971 inizia un processo di scollamento reale fra partiti della sinistra borghese e classe operaia. Questo processo di scollamento segna la fase ultimale del corso controrivoluzionario e pone le premesse obiettive della ripresa. Su queste la azione dei rivoluzionari si può inserire con nuove possibilità di successo.

C.C.I. Il problema dei sindacati non è possibile risolverlo in un giorno. È una questione importante che i due testi presentati evidenziano con diverse interpretazioni. Il punto fondamentale è la messa in evidenza dello sviluppo del capitalismo nei due periodi in cui sono diversi gli organismi che la classe si può dare.

Constatiamo nella fase ascendente del capitalismo lo sviluppo di una organizzazione unitaria della classe nei sindacati e d'altra parte la secrezione di una parte più cosciente del proletariato che si organizza in seno al partito. In effetti in questo periodo il capitalismo può ancora accordare riforme sotto la pressione delle lotte operaie. Con il cambiamento globale di periodo (nel 1914), quando la socialdemocrazia e il sindacato passano nel campo della borghesia, essi difendono pienamente gli interessi del capitale, tanto più che le funzioni iniziali del sindacato spariscono ugualmente con questo cambiamento di periodo. Nel campo del capitalismo la fase di decadenza provoca l'impossibilità di strappare ulteriori riforme. Il capitalismo non ha più margini e il proletariato non può più lottare per strappare qualcosa al capitalismo. Ma è questo che attacca direttamente le condizioni di vita della classe operaia. Con questo fatto stesso il sindacato, che era l'organismo preposto alla difesa degli interessi immediati della classe, perde la sua funzione e inevitabilmente quando un organo perde la sua funzione esso passa ad assolvere altre funzioni; i sindacati vengono integrati allo stato borghese come difensori degli interessi diretti del capitalismo, magari spingendo per la realizzazione del capitalismo di stato.

Con questo cambiamento di fase storica la classe si dà come organizzazione unitaria un nuovo organismo più appropriato per portare avanti gli interessi della classe e che sono i consigli operai. È ciò che osserviamo in Russia e in Germania e che viene sancito nella dichiarazione del I Congresso della Internazionale Comunista che denuncia il passaggio della socialdemocrazia nel campo della borghesia. Ciò che abbiamo potuto vedere dal 1914 è appunto la funzione diversa e repressiva dei sindacati della socialdemocrazia; la repressione del tentativo rivoluzionario da parte della socialdemocrazia in Germania e il ruolo svolto dalla CNT in Spagna. Oggi è all'ordine del giorno la rivoluzione proletaria. Vediamo che la classe nelle lotte di questi anni cerca di formare nuovi organi per condurre la propria lotta. Oggi c'è la impossibilità da parte della classe di portare una lotta rivendicativa alla stessa maniera che nella fase ascendente del capitalismo. Oggi qualsiasi lotta che sia autonoma del proletariato si pone subito - anche per la reazione della borghesia - direttamente su un piano politico attraverso lo scontro con lo Stato e una parte dell'apparato statale che sono i sindacati. Con la nuova crisi del capitalismo assistiamo a episodi di riscossa della classe operaia. Per esempio nel Belgio dove dopo 13 anni di pace sociale si è avuto, con l'inizio della crisi, un nuovo sorgere di lotte proletarie autonome che manifestavano questa ripresa attraverso la formazione di nuovi organismi autonomi dai sindacati e che automaticamente si ponevano contro di essi, con episodi che arrivavano all'attacco contro gli unici sindacali. Gli organi che si da la classe in queste lotte sono i comitati operai, espressione vivente della lotta e preposti alla sua direzione, rappresentando evidentemente la punta avanzata del movimento.

Cosa succede a questi comitati operai con il riflusso della lotta? Si assiste al tentativo di questi gruppi operai di restare uniti e di continuare ad andare avanti.

Ma data l'impossibilità nel corso di questa fase di portare avanti una lotta rivendicativa organizzata in modo permanente questi gruppi arrivano a constatare l'impossibilità di creare degli organismi di tipo sindacale e tendono quindi a sparire. Sarebbe agire come fattori di confusione se si tentasse di mantenere in vita questi organismi trasformandoli in organismi politici, in organismi sindacali, in comitati di lotta ecc. Questo non significa che la organizzazione rivoluzionaria non ha da intervenire nella lotta, anzi deve intervenire per denunciare le illusioni che possono rimanere nella classe rispetto ai sindacati c alla socialdemocrazia. Questo è il ruolo dei rivoluzionari. Lotta ancora controcorrente data la fiducia della classe in queste organizzazioni ormai non più proletarie.

L'intervento dei rivoluzionari in questi nuclei è di denunciare i rischi che questi organismi corrono di divenire piccoli nuovi sindacati e portare la discussione politica che serva agli operai per la preparazione delle lotte future. Non bisogna creare cinghie di trasmissione nella classe ma fare si che le esperienze di lotta siano un momento di presa di coscienza di questi nuclei operai che possa essere portata nella lotta futura all'interno di tutta la classe. L'organizzazione non deve sostituirsi, non deve imporsi allo sviluppo della lotta né imporsi come direzione.

P.C.Int. Constatiamo che in comune c'è l'analisi sul sindacato nella fase attuale e il ruolo che esso svolge come strumento di conservazione borghese. Anche per noi l'attuale sindacato è del tutto irrecuperabile a qualunque istanza di classe, né pensiamo che l'azione dei rivoluzionari debba puntare al suo recupero in questo senso. Ma dire questo non significa affermare che i sindacati semplicemente non esistono più. Essi esistono e a noi interessano per il fatto che comunque in loro si ritrovano ancora masse consistenti, la maggioranza della classe operaia. Ma veniamo al problema ora posto.

Partendo dalle esperienze che la classe operaia sta compiendo in questo ultimo periodo e partendo dalla constatazione che la crisi ha pressoché azzerato ogni spazio per l'affermazione di qualsiasi azione sul piano rivendicativo, c'è quasi il tentativo di affermare che questo fatto possa di per sé condurre la classe operaia, con organismi che nascono e crescono sul terreno del conflitto di classe, all'assolvimento del compito finale. Certo, la classe si trova in questa situazione: da un lato essa viene quotidianamente attaccata nelle sue condizioni di vita dalla classe dominante ed è quindi istintivamente portata a reagire a questo attacco; dall'altra parte gli organismi che ha tradizionalmente usato per affermare questa sua lotta rivendicativa non solo non rispondono più a queste stesse esigenze di lotta, ma addirittura si muovono per comporre la rivendicazione sul piano delle esigenze di ristrutturazione del capitale. Ma ciò che muove la classe è comunque una istanza rivendicativa. Cioè è la pressione delle sue condizioni materiali che la spinge istintivamente contro il capitale. Gli organismi che spontaneamente possono sorgere in questa fase nascono perciò stesso su un terreno fortemente limitato. La prima conseguenza è che sono portati a vivere le stesse vicende della lotta che li ha generati. Noi sappiamo che la lotta economica ha un limite preciso che sono i medesimi rapporti di produzione capitalisti. Ogni lotta che non riesce a superare questi rapporti - e questo non può avvenire che su un piano politico - è destinata a morire. I consigli, così come il proletariato fin qui li ha espressi nella sua storia hanno mostrato di essere essenzialmente organismi del potere proletario, organismi attraverso i quali il proletariato organizza il suo potere di classe: quella che noi chiamiamo dittatura del proletariato.

Pertanto pensare che essi possano nella fase attuale ridursi a strumenti di organizzazione della lotta su base rivendicativa è per noi idealismo. Ricordandoci alcune esperienze, il compagno belga in particolare conferma questo aspetto quando dice che questi comitati di lotta rimanevano preda della confusione e mai riuscivano a comprendere fino in fondo il fine della classe operaia. Dunque da questa constatazione il compagno assegna ai rivoluzionari il dovere e il compito di intervenire perché questo fine sia chiarito alla classe operaia. Ma questo è estremamente impreciso e insufficiente. Perché? La classe operaia vive nel microcosmo della fabbrica i problemi di questa fabbrica, sul posto di lavoro e in questo ambiente è portata direttamente a vivere lo scontro tra salario e profitto, tra capitale e lavoro. Per questa stessa posizione gli operai sono impossibilitati a comprendere criticamente e globalmente tutta la società capitalistica e quindi la necessità del superamento del conflitto nei limiti del rapporto capitale-lavoro così come loro lo vivono, sul posto stesso di lavoro. Gli organismi che nascono su questo terreno sono altrettanto limitati. Quella visione generale invece appartiene ad una organizzazione che noi chiamiamo il Partito e che rappresenta l'avanguardia della classe. Soltanto il Partito per la sua natura è capace di indicare e portare la lotta del proletariato oltre i limiti del terreno economico contro tetto lo stato borghese, contro il capitalismo. Per dirla con Lenin, è il partito che assolve alla funzione fondamentale che non può essere assolta dagli organi che si esprimono sul piano della lotta economica, e che non consiste storicamente nell'ottenere il prezzo più alto della forza lavoro, ma è condurre il proletariato a distruggere il sistema dello sfruttamento.

Con questa affermazione di principio però non abbiamo fatto passi avanti nella comprensione dei nostri compiti nel movimento operaio.

Verifichiamo dunque che la classe, che vive i rapporti di sfruttamento, è portata a muoversi contro di essi, ma non a superarli storicamente. È sufficiente, perché ciò accada, che il partito dall'alto della sua torre d'avorio porti il famoso problema comunista come momento di discussione? No. La classe può pervenire alla acquisizione di questo programma e dei suoi compiti storici alla sola condizione che al suo interno esistano come tramite del partito, come lunga mano del partito, organi intermedi che partendo dalle istanze della classe sul piano della lotta economica operino politicamente per il loro superamento, per il superamento del capitalismo. Non organismi che mirano a conquistare il sindacato, ma organizzazioni politiche legate alla realtà della condizione operaia per stabilire il collegamento fra il Partito e la classe, fra il programma comunista e le lotte rivendicative.

In questa fase noi assegniamo a questi organismi, così intesi - cioè organismi del partito nella classe - un altro compito fondamentale che ovviamente si ricollega a questa esigenza: nella nostra piattaforma sindacale quando parliamo di gruppi di fabbrica noi diciamo che essi possono essere composti da elementi iscritti o non iscritti a sindacati. Parliamo di elementi operai non necessariamente iscritti al Partito. Perché questo accoglimento di elementi iscritti al sindacato? Perché l'altro compito consiste nel trovare i modi e nell'organizzare la lotta non solo genericamente contro il capitale, ma - e in questa fase in maniera particolare - un'opera che riesca a portare all'interno dei sindacati le contraddizioni che essi vivono. Il sindacato è portato a vivere tutte le contraddizioni che la crisi ha messo in essere. Di più, in quanto organismo della conservazione borghese, vivrà fino in fondo le lacerazioni della società capitalista. Nostra preoccupazione dunque è quella di operare per l'approfondimento di queste contraddizioni.

C.C.I. Siamo d'accordo sul fatto che la classe operaia è obbligata dalle sue condizioni economiche a muoversi sul terreno immediato della lotta rivendicativa. Siamo d'accordo con la impostazione fondamentalmente marxista che esiste una oggettività e una obbligatorietà della classe a muoversi e non qualche movimento ideale.

Sappiamo benissimo che la classe operaia sarà spinta a calci sulla scena della storia e che è la realtà della sua condizione nel sistema capitalista che la spinge attraverso una maturazione che parte dalle sue rivendicazioni economiche. La questione è che cosa erano le lotte rivendicative nella fase ascendente del capitalismo. Erano scuole di guerra per il proletariato, diceva Lenin, da una parte, e dall'altra erano tese a conquistare miglioramenti economici (10 ore lavorative, suffragio universale ecc.). Cosa cambia quando il capitalismo è entrato in decadenza nelle lotte rivendicative della classe? Il proletariato non può condurre una lotta continua sul piano rivendicativo ed è costretto ad inseguire quello che il capitale continuamente gli strappa.

Le leggi dello sviluppo del capitalismo stesso non lasciano spazi per una benché minima conquista reale da parte del proletariato sul piano economico, tanto meno sociale e politico. È impossibile per la classe avere degli organismi disposti a portare avanti una lotta permanente sul piano rivendicativo. Tutte le lotte rivendicative che scoppiano nella fase di decadenza del capitalismo sono lotte contingenti. Per questo gli organismi che si dà la classe sono organismi che esprimono direttamente la direzione e il momento della lotta: i comitati di fabbrica, ecc.

Qualsiasi organizzazione permanente che si dà la classe non può che operare nella conservazione delle illusioni sulla possibilità di conquistare qualcosa all'interno del capitalismo. È perciò che noi diciamo che qualsiasi organizzazione di tipo permanente che si chiami sindacato, che sia il sindacato ufficiale o il sindacatino uscito dall'ultima lotta di fabbrica, tutti questi organismi non hanno senso di esistere e oggettivamente non possono che svolgere un ruolo di mistificazione, quindi di deviazione, in seno alla classe. Viceversa quali sono gli organismi che rappresentano veramente le esigenze della autonomia di classe, le esigenze politiche della classe di superare il sistema capitalista? Sono, come la storia ha dimostrato i consigli operai, che sono si delle organizzazioni, politiche, quando la rivoluzione ha vinto sono quelle permanenti che sorgono in periodo rivoluzionario, ma che sono le organizzazioni come voi dite, attraverso cui si esprime la dittatura del proletariato. Per essere però tali presuppongono che il proletariato sia per lo meno, in fase di attacco decisivo al potere borghese. Prima non c'è nessuno spazio per una organizzazione permanente se non appunto per una organizzazione che diventa automaticamente l'ultima rotella del sistema all'interno della classe operaia. Noi siamo in periodo prerivoluzionario. Noi diciamo che proprio le manifestazioni che osserviamo, il come sorgono questi organismi, cosa succede a questi organismi dopo la lotta, mostrano ancora una volta la tendenza del proletariato a crearsi organismi nuovi. Questi sono, ma molto alla lontana, gli embrioni di quelli che domani saranno i consigli operai cioè gli organismi di autodirezione della lotta proletaria. Quale è il ruolo dei rivoluzionari in questi organismi? Nel momento della lotta i rivoluzionari, evidentemente, come tutti gli altri operai, intervengono nel modo più deciso possibile. Ma quello che li caratterizza non è il fatto di essere gli elementi più decisi. Moltissime avanguardie di fabbrica, moltissimi operai possono svolgere questo compito come in realtà fanno.

Il compito dei rivoluzionari è mettere al centro la necessità per la classe della generalizzazione della lotta e attraverso questa della generalizzazione politica. I rivoluzionari sono quelli che mettono sempre avanti i fini generali del movimento e questo sia nel momento della lotta sia in seguito. Qual'è l'intervento che i rivoluzionari devono fare in questi organismi nel momento in cui la lotta defluisce? Giustamente quello di evitare l'illusione che può permanere in questi compagni di poter continuare a restare come organizzazione permanente della classe, rappresentativa, staccata dalla classe nel momento in cui la lotta defluisce, di potere in qualche maniera rappresentare un legame di tipo organizzativo sulla lotta futura. I rivoluzionari devono sottolineare l'importanza di superare il momento contingente della lotta rivendicativa all'interno di questi nuclei che permangono proprio per cercare di esprimere una continuità. Ma poiché la lotta defluisce non può essere una continuità di tipo organizzativo, di tipo agitatorio, ma deve essere una continuità di tipo politico e quindi spingere perché questi organismi rigettino completamente il pericolo di trasformazione in nuovi organismi sindacali come ne abbiamo visti tantissimi (comitati di base, ferrovie) ma fare si che dalle esperienze che la lotta passata ha portato a questi compagni e che ha fatto si che rimanessero insieme, maturi la necessità di chiarificarsi su un piano politico, l'unico piano su cui essi potranno dare un reale contributo alla lotta futura e non solo per il raggiungimento della vittoria in quella lotta, ma per dare un contributo reale a tutta la classe. Quindi se si rifiuta l'idea della possibilità di una organizzazione permanente della classe in fase di decadenza del capitalismo, non si capisce perché i rivoluzionari dovrebbero intervenire all'interno delle organizzazioni sindacali che esistono anche con l'intenzione e la pratica concreta di rompere queste organizzazioni. Non crediamo che compito dei rivoluzionari sia di dire che i sindacati hanno le corna, cosa che gli operai ogni volta che cercano di muoversi sul terreno rivendicativo verificano sulla propria pelle, ma di dire che non c'è la possibilità di creare nessun tipo di organizzazione permanente alternativa che non siano domani i consigli operai.

Nei fatti l'intervento dei sindacati, con tutta la buona volontà e le buone intenzioni che possono avere i rivoluzionari, non può che conservare l'illusione nel proletariato o di conquista di questi sindacati o di rifondazione di un sindacato. E tanto più pericoloso è che questo venga fatto dai rivoluzionari, da quei compagni che hanno una visione più chiara delle cose, che hanno una intransigenza maggiore rispetto a tutti gli altri. È lo stesso ruolo che vengono a svolgere le cosiddette sinistre sindacali, gli extra parlamentari all'interno della classe. La differenza evidentemente è che questi hanno un programma di sostegno all'interno del capitalismo; i rivoluzionari hanno un programma ben diverso, ma quello che vogliamo dire e vedere non sono le intenzioni ma il ruolo oggettivo che vengono a svolgere all'interno del sindacato che è di avallo alle illusioni di ricostruirlo. Dato che l'intervento viene fatto per spezzare il sindacato non comprendiamo perché ciò non possa essere fatto in tante altre organizzazioni borghesi, come partiti ecc. Questa evidentemente non è una proposta ma una contraddizione che oggettivamente non fa che lasciare nella classe l'illusione di creare organismi che possano ottenere riforme all'interno di questo sistema.

P.C.Int. C'è un equivoco di fondo sulla natura degli organismi che noi proponiamo. I compagni della CCI presentano i nostri gruppi come se noi li proponessimo come organizzazioni della classe. Viceversa dal nostro documento risulta chiaro che i gruppi sono Gruppi Comunisti di operai che operano politicamente, quindi gruppi organizzati dal Partito, come sue teste di ponte nella classe; strumenti di lavoro politico del partito sulla base della Piattaforma dei gruppi medesimi, costituiti da iscritti o meno.

C.C.I. Non capisco come possano persone non iscritte al partito e perciò che hanno capito a metà o non hanno capito cosa è il partito e il suo lavoro, possano essere i portaparola del partito in suoi organismi.

P.C.Int. Si tratta di gruppi retti sulla base del nucleo fondamentale che è il compagno del partito. Il fatto che siano elementi che hanno compreso a metà nulla toglie al fatto che siano elementi in maturazione che si muovono sul piano di massa. È un problema di lavoro concreto che abbiamo affrontato non da oggi nello sforzo di darci gli strumenti perché il programma comunista possa circolare effettivamente all'interno della classe operaia. Nella posizione della C.C.I. c'è una frattura fra la necessità dichiarata di operare all'interno della classe contro le illusioni sindacaliste e il rifiuto o difficoltà a trovare gli strumenti di lotta. Voi riconoscete che il proletariato è costretto a muoversi ma non può trovare sul piano rivendicativo una soluzione, ma non arrivate a vedere la necessità di avere all'interno della classe una rete rivoluzionaria. Il problema non è dentro o fuori il sindacato, ma essere all'interno della classe operaia per agitare il programma su cui essa deve maturare e crescere a partire dalla constatazione che dal movimento della classe di per sé, spontaneo, non può svilupparsi una coscienza e un programma rivoluzionario.

Ultimo punto: perché allora non agire all'interno di altri organismi? Perché questi, non sono preposti alla deviazione della lotta della classe (che in essi avrebbe fiducia) verso la conservazione del sistema. Quindi il problema della rete organizzativa dei gruppi internazionalisti è un problema tattico di mezzi di cui il partito si fornisce per operare concretamente all'interno della classe.

Con quali scopi? Dal documento:

«Agitare i principi del comunismo e del movimento rivoluzionario all'interno e in profondità della classe operaia netta prospettiva di essere punto di riferimento per organizzare e condurre la lotta contro il capitale.»

Questo per quanto riguarda la chiarificazione da parte nostra. A voi rivolgo la domanda. Quali strumenti si danno i rivoluzionari per agire all'interno della classe sia quando la classe si muove sia quando non si muove ma resta la necessità di agitare il programma comunista?

C.C.I. Bisogna essere chiari nella denuncia dei sindacati. Non bisogna commettere l'errore di pensare che i sindacati siano un terreno privilegiato per l'intervento dei rivoluzionari perché in qualche maniera gli operai sindacalizzati che hanno la tessera stanno un pochino più avanti e quindi bisognerebbe intervenire decisamente su questo terreno per far si che questi compagni superino questa illusione ecc.

Non è compito dei rivoluzionari quello di distruggere i sindacati, questi sagiato per poter parlare. I rivoluzionari possono parlare davanti alla fabbrica, in metropolitana. ecc.; per portare le loro posizioni. Un altro fatto fondamentale è che non c'è nessun bisogno di essere dentro i sindacati per distruggerli dall'interno.

Non è compito dei rivoluzionari quello di distruggere i sindacati questi saranno distrutti dal proletariato al di fuori dei sindacati stessi nel momento in cui sarà chiaro all'intera classe cosa sono i sindacati. Perciò i rivoluzionari che hanno presente cosa la classe farà domani non possono stare al di dentro, fare opera di formazione di nuclei, ecc. conservando così le illusioni della classe.

Come spiegate ad un operaio che noi non crediamo ai sindacati ma ci siamo dentro?

Come gli spiegate perciò la necessità per la classe di distruggere i sindacati e di costruire la propria autonomia che per definizione è la organizzazione autonoma al di fuori di qualsiasi organismo che sia organismo dello stato borghese? Come si può denunciare i sindacati standoci al di dentro?

I sindacati sono la polizia della classe, come non si può distruggere la polizia o il parlamento dal di dentro, non si può distruggere i sindacati dal di dentro.

Noi diciamo che in fase di decadenza del capitalismo nessuna lotta rivendicativa ha un senso in sé, ma è solo un momento in cui la classe prende coscienza di sé e si muove verso i suoi lini storici ed è perciò che gli organismi che la classe si è data in periodi di decadenza del capitalismo, organismi che organizzano la classe in quanto tale non sono dei nuovi sindacati ma sono organismi che esprimono la tendenza della classe in fase di decadenza a legare insieme la lotta rivendicativa e la lotta politica, a passare dalla lotta rivendicativa alla politica.

Ci sembra che voi abbiate una visione statica, una foto, pessimista per la classe di superare il livello puramente rivendicativo. Noi diciamo che invece bisogna cercare di vedere la classe nel suo movimento di passaggio dal terreno rivendicativo al politico, i consigli operai che la classe si dà autonomamente esprimono effettivamente questo superamento dal piano rivendicativo al piano politico dei fini storici che il proletariato ha. Questa visione si ritrova sulla questione degli strumenti ecc. I consigli operai sono stati creati spontaneamente dalla classe ed esprimono la tendenza della classe verso un piano politico. I rivoluzionari non hanno il compito di creare gli organismi per la classe ma devono fecondare questo processo di coscienza a porsi dal terreno rivendicativo a quello politico.

P.C.Int. Siamo al centro del dibattito e la mia convinzione è che ci troviamo di fronte a due posizioni diametralmente opposte. Sono opposte perché partono da posizioni opposte. Quindi bisogna andare alla base dottrinaria. Voi vedete i problemi dall'esterno e rimanete all'esterno. La nostra posizione invece è una posizione dialettica all'interno del fenomeno operaio. Non ho mai sentito da parte vostra usare, come impostazione, il problema della dialettica, non solo come interpretazione in astratto ma come applicazione politica quindi reale d'una premessa basata su una visione dialettica della storia. Infatti vi preoccupate di una libertà delle masse all'auto formazione sia in sede di elaborazione teorica sia in sede di elaborazione pratica. È un dibattito che mi ricorda lo scontro tra noi e gli americani della Raya Dunayskaya. Perché siamo nelle forme del puro idealismo hegeliano sulla funzione delle idee (cioè l'importanza puramente esteriore del pensiero) e quindi sulla formazione teorica senza entrare nel cuore dei fenomeni.

È una malattia fortemente generalizzata e che è operante soprattutto dagli avvenimenti delle giornate rosse di Parigi (che non erano poi rosse) del 1968-69.

Si vuol capire che il 1968-69 non è l'inizio di una nuova epoca e la chiusura di un'epoca passata? Dialetticamente bisogna ritornare al contenuto sociale dei movimenti. Se qualche cosa è caduto nel 1968 è proprio la teoria della scuola di Francoforte che relegava a funzione subalterna il proletariato e privilegiava la funzione delle forze emergenti degli intellettuali e della piccola borghesia.

Non basta scendere in piazze, spostare forze anche massicce di giovani provenienti da classi spurie o da residui di classi, senza prospettive storiche, per giocare alla rivoluzione. Il risultato lo abbiamo sotto gli occhi. Del resto abbiamo avuto anche noi una esperienza simile, prodotta da un certo tipo di opportunismo ideologico che già Gramsci aveva teorizzato ed è diventato poi il patrimonio di tutti i gruppi extra-parlamentari e di coloro che si sono a questi accodati. È mancato nel campo internazionale un esame critico marxista al movimento del 1968. Noi abbiamo atteso che fossero i compagni francesi ad assumere questo compito di una critica degli avvenimenti ma non potevamo aspettarci che coloro che avevano il dovere di questa critica si fossero accodati alle forze dirigenti degli avvenimenti del 1968. Per essere più precisi voi portate la responsabilità di richiamarvi come momento storico proprio agli avvenimenti del 1968.

Seguendo la linea d'una interpretazione dialettica passiamo ora all'esame del fenomeno sindacale che non è soltanto sindacale; è sindacale e insieme politico; è rivendicativo e contiene in sé tutte le premesse delle grandi masse nello slancio verso la conquista del potere. Ma l'errore teorico è di rimanere all'esterno degli avvenimenti e non entrare nel loro interno. È una cattiva applicazione della dialettica; si rimane cioè nella dialettica formale dell'idealismo, al di fuori e contro la dialettica marxista. Evidentemente c'è scarsa esperienza di conoscenza operaia. Perché tentare di suddividere le fasi del movimento operaio dalla fase cosiddetta legale in cui il sindacato ha la sua funzione in confronto con quella attuale in cui il capitalismo è in crisi e in cui il sindacato continua ad essere quello di sempre?

Sindacato di sempre perché non è vero che il sindacato abbia disatteso al suo compito storico.

È stato necessario il pungolo costante di un partito rivoluzionario per spingere il sindacato a rispondere alla funzione che gli è propria.

Come andate alla classe, con quali mezzi? Voi non rispondete se non attraverso un enunciato generale che compito dei rivoluzionari è di fare propaganda rivoluzionaria, il che non è certo una novità.

La caratteristica del P.C. d'Italia negli anni 1920 era quella di riconquistare il sindacato, cosa allora possibile, attraverso unzione dall'interno basata sui gruppi di fabbrica. Riferirsi all'esperienza del movimento tedesco è scarsamente caratterizzante, non ha storia. Per noi la storia del P.C. d'Italia è vita vissuta ed è su questa esperienza che bisogna affondare la nostra analisi. Il P.C. d'Italia ha formato le proprie ossa sul piano della conquista del proletariato dal punto di vista politico e sindacale proprio attraverso un'azione condotta dai gruppi di fabbrica contro la politica riformista di tutte le confederazioni che si sono susseguite e contro la stessa breve e idealistica esperienza dei consigli di gramsciana memoria, ciò che ci porta a precisare il ruolo degli intellettuali nel movimento operaio. L'intellettuale rimane intellettuale di sempre, legato cioè alla sua matrice socio-economica se non si inserisce nella classe, se non diventa un elemento formativo portando il suo contributo nell'ambito della classe. L'intellettuale diventa l'operaio intellettuale che deve lavorare nella e per la classe.

Deve superare la funzione avuta fino ad ora dell'intellettuale organico «gramsciano». Allora si capisce perché gli intellettuali immedesimati nella classe elaborano ed operano da operai intellettuali. Il male che è stato fatto dal 1968 in poi dal mondo della piccole borghesia da cui proviene l'intellettuale e incalcolabile. Chi ha immiserito e ridicolizzato il marxismo sono quegli intellettuali che hanno operato da «intellettuali organici» con la pretesa di essere essi soli l'intelligenza del proletariato rivoluzionario. Ecco perché in base alla dialettica rivoluzionaria dobbiamo operare fuori e dentro il fenomeno. Spezzare il nesso tra questi termini si finirebbe o nell'idealismo assoluto o nell'opposto materialismo meccanicistico; nell'un caso come nell'altro si finirebbe nella contro rivoluzione.

C'è pericolo che attraverso la presenza dei nostri gruppi di fabbrica si dia motivo ad una credenza di rifondazione? È una preoccupazione intellettualistica. Sentire i problemi degli operai e tradurli in termini di elaborazione teorica sul piano del marxismo e della rivoluzione, questo è il nostro compito che conduciamo da anni e che porteremo fino alla conquista del potere.

C.C.I. Non è vero che non abbiamo fatto una critica al 1968. Siamo anche venuti a Milano per discutere con i compagni cosa era il 1968. Per voi il 1968 era un fenomeno puntuale risultato della piccola borghesia francese. Oppure non c'era niente. Noi diciamo che il 68 è la prima espressione della reazione della classe operaia alla crisi del capitalismo che oggi comincia. Nessuna ha visto che il 1968 era l'inizio di una crisi mondiale. Contro tutti abbiamo detto: qui comincia lo sviluppo della lotta di classe a livello mondiale; si vedranno nuove lotte operaie. Battaglia diceva che non c'era niente di nuovo. Nel 1969 in Italia e in Argentina avemmo lotte operaie, poi in Polonia e in Spagna, ecc. Per quanto riguarda la impressione che noi stiamo all'esterno del movimento: nel 69 siamo venuti alla Fiat di Torino ma non abbiamo visto Battaglia. Voi dite che la classe operaia non c'era, noi diciamo di sì. Se vogliamo vedere allora chi era dentro al movimento della classe bisogna dire che è dentro chi capisce almeno che la classe è a lottare.

Ci dite che noi siamo all'esterno della classe operaia perché non siamo nel sindacato. Ma bisogna vedere dove è la vita della classe operaia, è forse nella polizia che è il sindacato? La coscienza della classe è prima di tutto in questi compagni che hanno capito anche confusamente che i sindacati non sono più quelli del secolo scorso ma sono la polizia all'interno della classe operaia. Chi allora è all'interno della classe operaia, coloro che sono all'interno dei sindacati o coloro che sono i compagni già contro i sindacati? Dove è la classe operaia, negli scioperi selvaggi del 1968-69 o negli scioperi sindacali? Noi pensiamo che si debba operare là dove la classe è vivente. Non quindi nei sindacati che sono la morte della classe operaia. Oggi perciò i rivoluzionari non debbono fare un lavoro nei sindacati perché sono il cimitero della classe operaia e quando diciamo questo diciamo che noi siamo all'interno della classe operaia. Oggi non esiste la possibilità di creare un organo intermedio permanente all'interno della classe operaia senza farlo diventare sindacale anche se si pensa che non abbia il ruolo di un sindacato.

Per prima cosa sappiamo che non possiamo creare un organo con una posizione non chiara come si è visto qui. Noi siamo dentro i gruppi spontanei che si formano nella classe. In Spagna, ad esempio, noi lavoriamo all'interno di gruppi operai dove si incontrano operai non di una sola ma di più fabbriche alla ricerca di risposte ai problemi generali che si pone la classe. Questo genere di organismi costituisce un esempio di strumenti che si può, in certi momenti, dare la classe, ma non siamo noi ad averli creati. Questi sono gli strumenti che si dà la classe nel suo sforzo, noi possiamo solo fecondarli questi strumenti. Crearli è impossibile.

P.C.Int. L'autocritica non la si accetta ed è logico. Per quanto riguarda la nostra esposizione per dimostrare di essere all'interno del fenomeno, il fenomeno è generale e non è solo le barricate degli studenti di Parigi. Chi ha diretto in realtà il movimento di Francia? Il proletariato? No, erano i figli della piccola borghesia, gli intellettuali, la forza dirigente del movimento, tanto in Francia quanto in Italia. Quando siete venuti a Milano non c'è stato un contatto approfondito, ma non abbiamo nascosto la nostra posizione di allora. Se andare con gli operai significa andare sotto una direzione politica che non è rivoluzionaria non ha alcun significato essere con gli operai. «Programma Comunista» che si riferisce ancora - più o meno bene - a Bordiga come «Lotta Comunista» (altra organizzazione estemporanea dell'esperienza italiana) si sono accodati alla manifestazione del 25 Aprile e dicono che là dove ci sono gli operai loro vanno e non si preoccupano se quella manifestazione, se quella iniziativa parte da una forza estranea al movimento rivoluzionario.

Nell'episodio di Francia non c'è stata una direzione rivoluzionaria perché non c'è rivoluzione dove c'è solo un tentativo di rivolta. Noi siamo con gli operai e li portiamo là dove c'è una direzione, una finalità di classe e non ci preoccupiamo se ciò può essere anche lesivo dal punto di vista quantitativo, non ci preoccupiamo cioè di andare a raccattare adesioni per ingrandire il partito deformando la linea storica del partito. I bordighisti fino a ieri si sono astenuti e oggi intervengono, che cosa è mutato? Niente. Ciò che è reale è che sono entrati nell'area dell'opportunismo. Avete detto di essere stati a Torino ma di non avere trovato gli Internazionalisti. Vi siete preoccupati di chiedere quale era la ragione dell'agitazione? Sono movimenti che non hanno né l'impostazione del combattimento né ragioni di classe, né obiettivo di carattere rivoluzionario. Partecipare in modo indifferenziato ad agitazioni anche quando sono condotte da operai sotto la guida dell'opportunismo è fare dell'opportunismo. Quando affermate di lavorare nell'ambito delle fabbriche vi siete accorti di cozzare contro organizzazioni che vi impediscono di fare propaganda? e non basta consegnare ad un operaio un giornale perché possa capire qualcosa.

P.C.Int. Sgombriamo il campo da quello che ci sono apparse fondamentalmente le incomprensioni che voi avete espresso sul ruolo e la funzione dei nostri Gruppi sindacali o gruppi di fabbrica.

Evidentemente per non avere compreso la funzione di questi gruppi avete addirittura usato il termine di «organizzazione bastarda» come di un organismo raccogliticcio senza la necessaria chiarezza e su una precisa base politica. Ciò è falso.

I gruppi sono i nostri organismi intermedi, lo ripetiamo, con un compito preciso che è un compito politico. I nostri gruppi non si nascondono politicamente, né quando parliamo di pratica intendiamo la manovra subdola di chi comunque vuole aggregare forze operaie, ma del modo concreto di muoversi sul terreno delle lotte che scaturiscono nel posto di lavoro in tutte le manifestazioni dello sfruttamento capitalistico per affermare una linea e una strategia di classe.

Ma noi sappiamo che la classe operaia intanto si muove sul piano della frattura di classe, sul piano quindi del partito, in quanto il partito ha vissuto e vive con essa i suoi problemi e le sue lotte e ha sempre operato costantemente perché queste lotte pervenissero alla necessità politica dell'attacco al sistema.

Sul posto di lavoro ci facciamo carico dei problemi della classe operaia sul terreno dell'anticapitalismo e ci scontriamo faccia a faccia con i sindacati opportunisti e con la socialdemocrazia. Se noi rinunciassimo ad operare politicamente sulla base delle esigenze della classe non basterebbe stampare la carta di tutto il mondo col programma comunista per portare gli operai sul terreno della lotta contro il capitale. Dunque non sono gruppi sindacali, perché quando noi affermiamo che lavoriamo anche all'interno dei sindacati noi non intendiamo che lavoriamo sul piano del sindacato e come sindacalisti, non siamo sindacalisti, ma operiamo come tribuni del proletariato. La risposta alla nostra azione è quasi Sempre l'espulsione dal sindacato e il rafforzamento delle posizioni politiche del partito all'interno della classe.

P.C.Int. Noi sosteniamo in modo dialettico che il movimento della classe spinto dalla crisi stessa va incontro a sconfitte e quindi a momenti di riflusso. È allora esatto affermare come fate voi che la crescita delle prospettive rivoluzionarie passa necessariamente attraverso sconfitte ma è qui che sta il punto. Dalle sconfitte non nasce spontaneamente la ripresa della classe se manca all'interno del movimento stesso una rete organizzativa dei rivoluzionari: ripeto all'interno del movimento stesso degli operai. È esattamente questa rete operaia che garantisce che, alla ripresa della lotta, la classe operaia si riappropri del programma comunista. La nostra rete dei gruppi di fabbrica ha esattamente questo scopo ed è quello che vogliamo costruire.

C.C.I. Un intervento generale sui due punti essenziali che mi sembrano importanti nella discussione sul partito. Oggi, la concezione del partito più completa è di fatto una concezione che integra nel suo seno tutta l'esperienza dei rivoluzionari dopo due secoli di lavoro. Bisogna sottolineare che la discussione qui non è di sapere se il partito è una necessità operaia, necessità importante o no.

Il partito è un organo della classe operaia indispensabile per la stessa, senza cui non è possibile per la classe prendere il potere.

Le divergenze sono sul come si spiega il ruolo del partito nei confronti della classe. Per voi la classe è il partito o il partito è la classe. Dite che il partito è l'incarnazione del programma comunista, in altri casi si è detto che il partito è la coscienza della classe operaia. Dite che non basta avere un movimento operaio, bisogna sapere chi dirige questo movimento, se un movimento operaio non ha una direzione rivoluzionaria non è un movimento rivoluzionario, ma opportunista.

Dunque il partito sarebbe l'essenza della classe, la vera espressione della classe è quando non c'è il partito non c'è un movimento operaio. Per noi invece il partito non è la classe non è neanche la coscienza della classe né l'incarnazione dell'Idea. Il partito è una parte della classe, fondamentale, ma non si identifica nella classe operaia, e non può sostituirsi alla classe.

Voi dite che la classe rivoluzionaria esiste solo attraverso il suo partito. Che il movimento del 1968-69 non era niente perché non era diretto da una organizzazione rivoluzionaria e allora cosa era la Comune di Parigi? La Comune non aveva partito, la direzione della Comune era dei Proudhoniani, allora secondo quanto dite voi la Comune non era niente perché non aveva partito. Non è perché un movimento operaio è trionfante che è operaio, il fatto di vincere non è il criterio per definire un movimento operaio. Marx ha detto che la Comune è la dittatura del proletariato. Marx ha detto che questo movimento andava sicuramente alla sconfitta senza partito e sottolineava che la Comune ha dimostrato la sua immaturità non solo per la mancanza del partito ma perché era immaturo tutto il movimento operaio. Nel 1905 in Russia abbiamo lo stesso problema, quando la classe operaia per la prima volta ha fatto il Soviet, il partito bolscevico diceva che i consigli operai non sono l'organizzazione operaia e in più ha chiesto la dissoluzione dei soviet e l'integrazione degli operai nel partito. Marx diceva che i rivoluzionari sono sempre indietro di una rivoluzione ma ciò non toglie niente al fatto che sono rivoluzionari. Se dobbiamo giudicare il 1905 per la direzione che aveva, dobbiamo dire che non era un movimento operaio.

Nel Febbraio 1917 è ancora peggio: gli operai chiedono ai menscevichi di prendere il potere. Cosa fa la direzione rivoluzionaria? Appoggia Kerensky e partecipa alla guerra. Nel 1919 in Germania la direzione non prende decisioni su cosa fare. Se prendiamo questo punto di vista dovremmo dire che non è mai esistito un movimento operaio, forse solo nel 1917 perché il partito era influente nella classe operaia. È una visione idealista dire che la classe operaia esiste solo attraverso il suo partito che è la sua coscienza. La coscienza è nella classe anche se nel partito trova la forma più sviluppata. Ma non si può dire che il partito è l'incarnazione della coscienza proletaria. Quali sono le conseguenze sul piano del lavoro e la tattica del partito? Se pensiamo che la classe operaia di per sé stessa può essere solo trade-unionista e che non può arrivare ad una coscienza rivoluzionaria che solo può venire dal partito come elemento estraneo della classe, con questa concezione dobbiamo concepire la relazione tra partito e classe come è stata tra partito e resto della società nella società borghese. Lenin dice che un rivoluzionario comunista è un giacobino legato alla classe operaia. Noi pensiamo che la relazione tra un partito operaio e la classe non può seguire le stesse concezioni. La concezione di un partito borghese è quella di un partito che sa dove va, e di una massa che non sa dove si va. La concezione borghese del partito è che il partito è il pastore e le masse le pecore, e così si pensa che il partito è la coscienza, la classe è trade-unionista e che non potrà mai arrivare a capire il programma comunista. Se questo è il pensiero, il lavoro deve essere coerente: noi siamo i pastori e la classe le pecore. Essa deve riconoscere il partito come capo del movimento. Quando pensiamo che tutto il problema è quello di farsi riconoscere come capi si capisce perché Lenin diceva noi dobiamo lavorare nei sindacati anche se siamo obbligati a non dire la verità, il punto è riprendere la direzione di questa organizzazione.

Noi andiamo al parlamento per conquistare la fiducia della classe che ci riconoscerà quali pastori. Noi non la pensiamo cosi. Non pensiamo ad una relazione pastore e pecore e non per una questione di democrazia. C'è un punto fondamentale, cosa è la rivoluzione proletaria. La rivoluzione non è l'opera di una minoranza ma della classe intera. Tutta la classe operaia è il perno della rivoluzione perciò il ruolo del partito per noi non è di essere riconosciuti come capi, come pastori, ma di contribuire effettivamente, di giocare il ruolo per la classe per il quale è stato creato e cioè di essere un acceleratore e catalizzatore del processo di presa di coscienza della classe operaia. Se pensiamo che domani non saremo più in pochi ma domani l'insieme della classe sarà su posizioni rivoluzionarie, non possiamo pensare di andare a convincere ogni singolo lavoratore. La coscienza della classe si sviluppa all'interno della classe e il ruolo del partito che è una parte di questa classe è di accelerare e catalizzare questo processo. Perciò il ruolo del partito non è quello di essere riconosciuto come capo ma di riuscire a sviluppare nella classe la coscienza rivoluzionaria. Perciò con questo punto di vista siamo all'interno della classe operaia, fecondatori della classe e prodotto di un bisogno della classe operaia.

Quando parliamo della questione sindacale non è se dobbiamo guadagnare o no la fiducia ma è per sviluppare la chiara coscienza nella classe delle sue posizioni.

Facciamo una domanda, una organizzazione «sindacale» permette o no lo sviluppo del partito e della coscienza della classe operaia? Quando andiamo al parlamento il problema non è se dal parlamento saremo o no riconosciuti dalla classe? Il punto è: andare al parlamento permette o no lo sviluppo della coscienza? Crea confusione per la classe operaia? Questa è la differenza tra una concezione che viene definita leninista e una concezione rivoluzionaria. Il primo è un pastore con le sue pecore, il secondo è un elemento fecondatore.

C.C.I. Gli esempi fatti fanno vedere come il partito è sempre stato in ritardo rispetto al sorgere dei problemi della classe. Perciò non è vero che la classe non può sollevarsi al di sopra di una coscienza trade-unionista. Questo in riferimento alla concezione generale di quello che è il movimento della classe e la concezione generale di quello che significa coscienza comunista e quello che in termini più filosofici è definito il problema del rovesciamento della prassi che secondo la concezione leninista viene operata dal partito. Questa concezione non può che essere completamente falsa e non è dialettica perché pensa che una parte del tutto può operare un rovesciamento della prassi al posto del tutto. Se questo fosse vero dovremmo pensare che nel 1917 tra il febbraio e l'ottobre è stato fatto questo rovesciamento della prassi, che è il prodotto di tutto un movimento storico che arriva al suo culmine e che deve essere il portato di tutta la classe. Pensare che deve essere stata l'azione del partito dopo la venuta di Lenin in Russia significa pensare che un avvenimento quale la formazione di una classe cosciente possa essere fatta in sei mesi e da una parte del tutto.

P.C.Int. Per comodità parto dal fondo. Dite la coscienza di classe nasce e si sviluppa all'interno, della classe stessa. Il ruolo del partito qui è di acceleratore di questo processo di maturazione rivoluzionaria. Se così fosse potremmo andarcene a casa, nel senso che cade la necessità assoluta del partito. In altri termini se riduciamo il molo del partito a quello di acceleratore di un processo che è la realtà a mettere in atto, che è la lotta stessa a generare, possiamo anche pensare che questo processo giunga alla conclusione senza catalizzatore in tempi più lunghi. È la contraddizione in cui si cade quando pur parlando di dialettica si insiste in una visione meccanicista della storia. Dite che per i leninisti la classe si identifica con il partito, che esiste in quanto esiste il partito. Ciò non è vero, ciò è bordighismo se volete, non è leninismo né è della sinistra italiana.

Per noi c'è una presenza permanente della classe come insieme sociologico. C'è una parte della società legata alla sua condizione di classe nei rapporti di produzione. Non c'è identità tra la classe come insieme sociologico e la sua coscienza di classe. In altri termini abbiamo un movimento operaio che può andare in due direzioni: una rivoluzionaria, l'altra di conservazione o di controrivoluzione. Il problema è come la classe rivoluzionaria va in senso rivoluzionario? Quando ha un programma rivoluzionario, quando ha fatto proprio il programma rivoluzionario. Dove vive il programma rivoluzionario? All'interno della classe ma è cristallizzato nel partito. La classe va quindi in senso rivoluzionario quando c'è una direzione rivoluzionaria, un partito dietro al quale c'è la classe. Voi dite che per i leninisti non è la classe che fa la rivoluzione. Questo forse è vero per i bordighisti, per noi la rivoluzione è il prodotto della classe stessa, ma quando ha all'interno un programma rivoluzionario rappresentato dal partito che ha la guida del proletariato. In questo senso diciamo che il partito è l'incarnazione della coscienza di classe, e l'organizzazione dove vive la coscienza di classe. Nel «che fare» Lenin dice che la classe nel suo insieme sociologico non può andare al di là del trade-unionismo perché vive la condizione di classe operaia cioè è necessaria la presenza d'una organizzazione all'interno della classe stessa, che viva nella classe, che porti in tutte le situazioni rivoluzionarie e controrivoluzionarie il programma comunista. Quando si viene a creare la possibilità oggettiva di una rivoluzione? Quando la classe si riconosce in questo programma cioè quando riconosce come guida il partito rivoluzionario. Questa è la posizione leninista e marxista e nostra riguardo il partito.

Pensiamo che rigettare il «Che fare» di Lenin è pericoloso perché porta al consigliarismo del KAPD e di tutti i gruppi che sono stati sconfitti della III Internazionale nel suo periodo migliore, quello rivoluzionario.

Il processo dal febbraio all'ottobre è una conferma. Abbiamo visto un partito bolscevico che ha seguito il movimento della classe e l'ha organizzata in primo luogo rispetto al febbraio. Aveva lavorato all'interno della classe aveva organizzato la sua rete operaia. Quando abbiamo visto la vittoria del programma comunista? Quando i consigli operai, il proletariato nella sua maggioranza si è riconosciuto nel programma del partito bolscevico e nel partito, una organizzazione separata dalla classe come insieme sociologico. Non è un problema allora di presenza del pastore, se la classe non è capace di raggiungere spontaneamente il suo programma, si tratta di dare la presenza attiva del programma comunista attraverso l'azione del partito rivoluzionario che opera nella classe perché questa si riconosca nel suo programma. Penso al contrario che ci sia del pedagogismo quando analizzate il processo che va da ora alla rivoluzione. Non vedete cioè il processo complessivo che arriva alla generalizzazione della lotta, alla condizione in cui vedremo i consigli operai come organi del potere. Dove ciò e possibile - dite - è un fatto oggettivo della rivoluzione. Non ho mai sentito alcuna altra analisi dell'azione dei rivoluzionari di fronte all'assalto rivoluzionario. Voi vedete la crescita del movimento spontaneo della classe che segue ad una maturazione attraverso Fazione semplicemente pedagogica profetica da parte dei rivoluzionari. Non prevedete una presenza organizzatrice dei rivoluzionari all'interno della classe che possa far riconoscere la guida dell'organizzazione politica, militare della rivoluzione e della dittatura del proletariato.

Per concludere bisogna considerare il rapporto dialettico tra la classe e la sua coscienza. Se abbiamo un insieme sociologico e abbiamo una coscienza di classe, abbiamo anche il problema di connettere classe e coscienza di classe, classe in sé e classe per sé. Non possiamo vedere semplicemente una trascrescenza a partire dalla lotta rivendicativa quotidiana.

Ritorniamo quindi al problema centrale del partito che deve cristallizzare la coscienza rivoluzionaria e non la classe. Voi attribuite a noi e in generale al leninismo il concetto secondo cui classe e partito di classe si identificano.

No, coscienza di classe e partito di classe si identificano.

P.C.Int. Ci si accusa di essere idealisti quando noi pensiamo ipoteticamente un partito esterno alla classe che per grazia di dio ha la coscienza del fine storico del proletariato e quindi del programma comunista.

Non è così: perché noi diciamo che la classe operaia non può andare oltre la lotta economica e che questo compito è invece dei partito? Per rispondere a questa domanda ci dobbiamo calare nella realtà del movimento di classe. E cosa ci dice l'esperienza di classe? Ci dice che la classe è divisa in categorie e al suo interno esistono 1000 sfaccettature che addirittura da operai di una fabbrica e operai di un'altra fabbrica esistono problemi diversi e ci dice anche che sono queste esperienze queste realtà che la classe vive. Queste realtà per loro natura portano al conflitto tra gli operai di una fabbrica e i propri padroni, tra una categoria di lavoratori e i padroni di quel settore, ma pur potendo questi momenti essere momenti anticapitalistici (e non sempre lo sono), ciononostante la classe operaia non perviene per questa sua condizione materiale a vedere con estrema chiarezza la ragione unica - che risiede nelle contraddizioni del sistema nel suo insieme - della sua stessa condizione. Il partito non è in questa o in quella fabbrica o in un luogo particolare ma è un organismo che vive in tutta la complessità l'insieme dei problemi della classe e dunque per questa ragione e per il fatto che raccoglie al suo interno gli elementi più avanzati del proletariato ha gli strumenti materiali di comprendere e elaborare la crisi complessiva del sistema capitalistico. E quindi di fornire alla classe nel suo insieme le indicazioni strategiche tattiche per risolvere quest'unico fine che è l'abbattimento del sistema capitalistico. Il problema non è quello di farsi riconoscere come capi, quasi per dire siamo i più bravi, ecco i vostri capi. Sappiamo perfettamente che se fosse solo il problema di farsi riconoscere come capi evidentemente e probabilmente avremmo già risolto il problema della classe operaia con un buon demagogo dell'ultima ora.

Il problema evidentemente è nella capacità dell'organizzazione politica di legare la classe operaia a questo programma che è nel partito per queste ragioni materiali.

Dunque il partito non è depositario per definizione di nessun programma prestabilito; nella sua concezione che parte dal presupposto che le idee sono il prodotto della realtà e non il contrario, questo programma lo deriva dall'esame della realtà. Non c'è dunque niente di hegelismo o di idealismo in noi. C'è invece - ci pare - nei compagni di C.C.I. Certamente rileviamo uno spessore di idealismo quando invece sentiamo dire che il partito è un fecondatore di geni che si sviluppano all'interno della classe senza una più precisa specificazione degli strumenti di questa fecondazione e del legame nella realtà con la classe operaia. In noi è presente la preoccupazione dei limiti materiali e obiettivi in cui la classe vive non per sua volontà o perché a noi piace così, ma per il suo collocamento nella società capitalistica.

Vi siete riferiti a movimenti in cui la classe è arrivata nel 1905, vi posso ricordare l'occupazione delle fabbriche in Italia.

Cosa accadde nell'occupazione delle fabbriche in Italia? Gli operai quando erano giunti all'occupazione di fabbriche sono giunti all'organizzazione di consigli e disponevano delle armi. Damen che ha vissuto l'esperienza dice che erano pochine (le armi), ma gli operai non uscirono dalle fabbriche. Cosa significa? Che evidentemente anche il consiglio, anche la forma più avanzata non risolve il problema che può risolvere il partito. Voglio ricordare, forse non la conoscete, una delle cose più lucide di Bordiga degli ultimi anni riguardo questa esperienza, quando ricordando quegli episodi e riferendosi all'esperienza gramsciana di allora disse che mentre per qualcuno (ordine nuovo e gramsciani) il problema era il consiglio in cui la classe avrebbe costruito la sua educazione, il problema reale era di uscire dalla fabbrica e di portare l'attacco allo stato, al cuore del sistema capitalista.

Questo attacco noi possiamo dire oggi non venne portato perché mancava l'organizzazione rivoluzionaria della classe. Il partito che non è un fatto staccato dalla classe ma per questa sua stessa funzione è dialetticamente legato alla classe, quindi non una parte, ma dialetticamente sintesi delle esigenze della classe. Il partito come organizzazione che per sua natura può esprimere le istanze della classe e può esprimere politicamente la necessità di uscire dalla fabbrica, organizzare questa uscita perché non si esce solo con le parole ma con l'organizzazione per portare l'attacco al cuore del sistema capitalistico, allo stato. Allora la classe venne sconfitta, le conseguenze della sconfitta sappiamo tutti cosa hanno significato, cosa oggi significano; quindi il partito non può così essere ridotto ad un pene fecondatore ma è qualche cosa di molto importante. È veramente, come affermavate prima, l'organizzazione indispensabile per condurre l'attacco al sistema capitalistico.

Se c'è una forza politica che ha fatto pulizia di tutte le degenerazioni del materialismo dialettico che hanno toccato la classe sul problema del partito è proprio il nostro partito. Siamo noi, - non lo rivendichiamo per amore di parte o di partito, ma perché è la verità - che abbiamo regolato i conti con la degenerazione bordighista.

Vi invitiamo a leggere l'ultima parte del libro di Damen su Bordiga dove questo problema è affrontato e le risposte non lasciano spazio a confusione almeno per quello che ci voleva attribuire il compagno della

Non è il caso che si riprenda tutta l'esperienza di Bordiga su questo punto dove il partito diviene addirittura una entità metafisica. È chiarito quello che noi intendiamo per partito. Il necessario approfondimento spero possa avere luogo solo perché voi, anche voi, riconosciate l'importanza di questo strumento. Senza partito non c'è rivoluzione.

C.C.I. Non basta dire che la classe operaia ha bisogno di un partito. Bisogna dire anche cosa è questo partito. Ritorniamo a Lenin e alla sua concezione del partito, non per fare dell'esegesi di Lenin ma perché Lenin ha magnificamente sviluppato l'idea sbagliata nei primi anni del 1900, di ciò che è il partito del proletariato. In questa concezione Lenin riprende le tesi di Kautsky e dice che tra il proletariato e il socialismo non c'è una identità.

La coscienza del socialismo e portata dall'esterno e iniettata alla classe. Per Kautsky dunque la coscienza socialista non è un prodotto della classe ma una coscienza che non si sa da dove venga, Kautsky dice che viene da coloro che sanno riflettere sulle leggi della storia. Per il marxismo la coscienza non viene alla classe che dal riconoscere i propri interessi. Non ci sono altre coscienze.

Marx diceva, noi non veniamo a portare la verità né un ideale. Noi non facciamo che tradurre agli operai quello che succede sopra di loro. La coscienza non viene portata agli operai, è un prodotto della resistenza, la coscienza è un prodotto dell'esistenza (Marx).

L'esistenza della classe produce inevitabilmente una coscienza di classe.

Contrariamente alla visione di Lenin, nella visione della Luxembourg e prima ancora di Marx, i rivoluzionari non portano alcuna «verità», ma non fanno che mostrare i risultati stessi della lotta di classe. È l'esistenza della classe che produce una coscienza di classe, è l'esistenza della classe che comporta una lotta di classe e quindi una coscienza di classe. Noi rigettiamo il problema del programma che viene portato alla classe dall'esterno, esso è un prodotto della classe e Marx lo diceva chiaramente. Egli non faceva che riprendere in qualche maniera gli insegnamenti della lotta di classe stessa e li riportava nuovamente all'interno della classe. Marx diceva che i rivoluzionari non sono che il prodotto di un movimento che si svolge sotto i nostri occhi. La classe è essa stessa, attraverso le sue lotte ed esperienze che secerne la sua coscienza e i suoi militanti più avanzati. Nella concezione di Bordiga ma anche nella vostra anche se con sfumature di differenza c'è la concezione che il programma è sì un prodotto della classe ma è un programma che una volta prodotto sta lì (e il proletariato non c'entra più niente) e che invece bisogna portare dall'esterno alla classe. Bisogna rigettare questa posizione che vede il programma come Bibbia chiusa, il programma non è dato ma è il risultato di un movimento continuo della classe dell'esperienza storica della classe che chiarisce, modifica, completa questo stesso programma. Quindi bisogna ben guardarsi sia per quanto riguarda il partito, sia per il programma, dall'idea cristiana che dio ha creato Gesù e in seguito non bisogna che accettarlo. Dio ha creato una sola volta, è un segno di impotenza. Il proletariato invece crea tutti i giorni.

P.C.Int. Tu dici che Lenin non ha compreso quei punto a cui ti riferivi. Lenin però ha avuto una situazione che è sfociata in una rivoluzione. La Luxembourg nel 1919 non ha capito proprio la necessità del partito che invece aveva capito Lenin e che ha consentito la rivoluzione russa. Troppo tardi la Luxembourg l'ha accettata, quando ormai i proletari erano sulle barricate.

C.C.I. Parto da questo ultimo punto che non mostra altro che i rivoluzionari più preparati non sono infallibili e che non hanno la verità in tasca da tirar fuori al momento opportuno. Se andiamo a vedere il movimento della classe vediamo una continuità storica, vediamo i primi balbettamenti della classe allo inizio dello sviluppo del capitalismo, poi esperienza come quella di Babeuf, poi gli arricchimenti che sono stati portati in Inghilterra e in Italia e arriviamo a Marx che non è che un momento di questo sviluppo anche se un momento più ricco raggiunto dal proletariato. Marx stesso ha modificato le sue posizioni. Nel 1848 Marx pensava alla possibilità per il proletariato di allearsi con frazioni della borghesia, 3 anni dopo in base all'esperienza della classe riconosceva invece l'impossibilità di questa supposizione. Prima del 1871 Marx ed Engels non avevano risolto, compreso il problema della presa di potere e di come il proletariato effettua la presa del potere. Dopo la Comune di Parigi Marx ed Engels, facendo tesoro giustamente dell'esperienza del proletariato e riportando in maniera più chiara la stessa, riconoscevano l'impossibilità per la rivoluzione proletaria di riuscire senza la distruzione dello stato capitalista. Per completare questa posizione - e cioè che i rivoluzionari hanno arricchito la propria esperienza e le soluzioni per il proletariato nel corso degli anni - vediamo il problema degli organi del proletariato. Questo problema è stato risolto dalla classe stessa nel momento in cui si è posto il problema della presa del potere. Quando c'è stata l'ondata rivoluzionaria degli anni 1920 è il proletariato stesso che si è creato questi organi del potere e cioè i consigli operai. Anche i bolscevichi in Russia hanno avuto difficoltà a comprendere il significato e l'importanza di questi organi come organi del potere proletario. Ciò è avvenuto anche in seguito, i consigli non li hanno creati né Lenin né la Luxemborurg ma la classe stessa, dappertutto, ed è Lenin che riconosce al proletariato di avere trovato la risposta alla presa del potere da parte degli organi della sua dittatura e si è dato questi organi.

Questo perché è il proletariato che crea il programma, il partito non fa che metterlo per iscritto, chiarificarlo. Il programma è il risultato del movimento della classe, della ricerca della classe nella sua esperienza storica, di una coscienza e chiarezza dei suoi fini. Lenin considerava esclusivamente la classe in sé, come entità sociologica e non come classe storica, cioè come una classe con un destino storico che doveva realizzare con la coscienza necessaria per fare ciò, una classe storica. Il programma non è una bibbia che Mosé porta al popolo eletto. I marxisti non scelgono la classe operaia e le portano il programma. È il contrario: è la classe che secerne dei marxisti. Lenin non capiva il fatto che la classe operaia è allo stesso tempo classe sfruttata e classe rivoluzionaria, non capiva come nelle lotte poteva trovare come scopo ultimo la soluzione dei problemi dell'umanità, l'assunzione delle contraddizioni che il sistema capitalista ha creato. Noi non rigettiamo Lenin e ciò che ha significato all'interno del movimento operaio. Ma il peggior servizio che potremmo fare a Lenin e al partito bolscevico è quello di considerarli un vangelo. Lenin stesso prima e nel momento della rivoluzione riconosceva di avere esagerato la sua posizione sul partito negli anni 1903 perché gli altri spingevano troppo al contrario. Lenin e i bolscevichi stessi hanno lottato perché tutto il potere andasse ai Soviet. Ciò che Lenin non è riuscito a fare è di correggere fino in fondo la sua posizione quando, dopo la rivoluzione, il partito ha permesso che si ritornasse alla vecchia posizione.

Il partito era il nucleo che il proletariato doveva accettare come guida, posizione che ha portato all'identificazione tra partito e stato, che ha portato ad un ritorno della concezione giacobina del partito che può essere valida per un partito borghese ma non per quello proletario. Noi non siamo antileninisti ma critichiamo quelle concezioni di Lenin che l'esperienza storica ha mostrato come errate. Il fatto è che la coscienza è un prodotto della classe stessa che si sviluppa con il movimento di classe. La classe non è un insieme di individui chiusi nelle fabbriche: questa è solo una difficoltà per il proletariato verso una presa di coscienza. Ma non dimentichiamo che è questo stesso proletariato che deve fare la rivoluzione.

La nostra concezione di classe vede la classe come un tutto unico che occupa all'interno del modo di produzione una posizione che gli permette di comprendere che la difesa dei suoi interessi alla fine coincide con la soluzione del problema storico dell'umanità.

Dicevate ieri che parlare di autocoscienza del proletariato è idealismo perché non è possibile per il proletariato sviluppare all'interno del sistema capitalistico una coscienza di classe. Non è importante quello che ogni operaio pensa ma è importante quello che la classe sarà costretta a fare e il posto particolare che ha all'interno dei rapporti di produzione. Se la classe operaia non è spinta da questa situazione a comprendere i fini generali e storici della sua lotta non basteranno tutti i geni marxisti a fare la rivoluzione. Se il passaggio dal feudalesimo alla borghesia poteva venire fatto da una classe che non aveva coscienza dei propri fini è perché questa classe aveva un potere economico che automaticamente portava la rivoluzione sul vecchio sistema. Ciò non è possibile per la classe operaia perché questa all'interno di questa società non possiede altro che la propria coscienza e unità e senza questo il proletariato non potrà fare la rivoluzione. Il partito non è la testa né altra parte del corpo. Ogni parte del corpo è necessaria per la sopravvivenza del corpo stesso, ciò è valido anche per il proletariato. Senza partito non si avrà rivoluzione così come senza consigli operai non si avrà rivoluzione, senza coscienza non si avrà rivoluzione. Tutto va considerato nella sua unità. Non è compito del partito guidare o organizzare la classe che d'altra parte, carne dimostra la storia si crea essa stessa quegli organi unitari della classe a cui il partito deve partecipare e non è neanche la guida militare. È una concezione Ché Guevarista che basta inquadrare la classe perché la rivoluzione sia possibile.

P.C.Int. Abbiamo parlato di Marx, di Lenin, di Bordiga, abbiamo chiarito cosa intendiamo per partito, quali distanze abbiamo assunto nella degenerazione partitica di Bordiga, e quindi è emerso chiaro che noi non consideriamo partito come scatola chiusa da aprire al momento della rivoluzione e riscaldarla, ma che il partito proprio perché deve vivere dialetticamente il problema della classe elabora continuamente il proprio programma tattico e strategico. Perché se dobbiamo seguire la falsariga che ci avete proposto sul problema della coscienza e del partito, ci appare confusa. Se il proletariato è in grado autonomamente attraverso lo sviluppo della lotta di classe non solo di pervenire ad una coscienza ma è capace di darsi una organizzazione ci si deve chiedere il perché dell'esistenza del partito di classe e voi a questa domanda avete già risposto che compito del partito è quello di fare lo scribacchino di un programma tattico e strategico che il proletariato si è già dato. È una posizione che non possiamo accettare. Non è possibile che nell'ambito dei rapporti di produzione capitalistici, dove la borghesia detiene il potere economico e politico, la classe possa autonomamente sviluppare fino in fondo la propria coscienza rivoluzionaria. Il problema della coscienza e del partito è per noi un problema di natura dialettica. Se è vero che attraverso le lotte parziali che il proletariato è costretto a vivere sotto la spinta delle condizioni oggettive la classe matura le sue esperienze, è anche vero che le esperienze che può maturare il proletariato, la coscienza che può maturare è solo parziale, settoriale e che quasi mai riesce a superare il piano della rivendicazione per assumere una coscienza politica. Compito del partito è di riprendere e elaborare le istanze che provengono dalla classe e riproporle alla classe sotto forma di programma politico. Non è quindi il proletariato che elabora autonomamente la propria coscienza e programma ma questi vengono portati al proletariato come sintesi delle stesse esperienze del proletariato.

Ci si è rifatti a Marx e questi dice chiaramente nel Manifesto del partito comunista del 48 che il proletariato si muove contro la classe dominante non quando ha assunto la piena coscienza rivoluzionaria, ma solo quando non avrà da perdere che le proprie catene. E Marx dopo l'esperienza della Comune di Parigi a proposito della coscienza e sviluppo della coscienza del proletariato affermerà che la dittatura del proletariato è la forma attraverso la quale si organizza il potere del proletariato, è il primo momento nell'ambito della storia della lotta di classe nella quale il proletariato può sviluppare una propria coscienza autonoma, nel quale per la prima volta è in grado di poter gestire autonomamente i rapporti di produzione. Quindi noi rigettiamo la visione secondo la quale esiste una coscienza che si sviluppa autonomamente e alla quale il proletariato perviene come se esistesse ad un certe punto del suo cammino e non deve fare altro che percorrere questo cammino. A questo punto sarebbe inutile parlare di ruolo del partito perché non servirebbe a nulla. Dobbiamo invece vedere il rapporto tra sviluppo della lotta di classe limitato dalle condizioni in cui la classe operaia è costretta a vivere e la funzione del partito che porta alla classe operaia la sintesi di queste esperienze sotto forma di programma politico, tattico e strategico.

P.C.Int. Abbiamo sentito contro Lenin le stesse formulazioni critiche di quelli che furono allora gli avversari di Lenin. Si vuole quasi fare apparire che questo venire dall'esterno provenga dalla luna. Avete parlato del «Che fare». Non è questo il modo di intendere il problema della coscienza dall'esterno visto da Lenin.

Prima di leggere Lenin a commento della posizione di Kautsky, dove questo parla della necessità di portare dall'esterno la coscienza al proletariato, premetto che comunque noi non abbiamo un Talmut né che consideriamo Lenin San Lenin ma al contrario un rivoluzionario il cui contributo sulla concezione del partito è fondamentale, per noi.

Dal «Che Fare»:

Naturalmente non si tratta di dire che gli operai non partecipano a questa elaborazione. Essi tuttavia, vi partecipano non come operai ma come tecnici del socialismo, come il Proudhom e i Weitling, in altre parole solo in quanto riescono a impadronirsi in varia misura delle conoscenze del proprio secolo e a farle progredire. Ma perché gli operai vi riescano più spesso è necessario avere la massima cura di elevare il livello della loro coscienza in generale, è necessario che essi non si segreghino nei limiti artificialmente ristretti delle «pubblicazioni per operai» ma imparino a padroneggiare sempre di più le pubblicazioni in generale...

Ripetiamo che la classe operaia per la condizione materiale in cui vive nella società capitalista non può sostituirsi e assolvere il compito che è invece del partito. È soltanto in questo senso che il partito supera i limiti della classe per sua natura. La coscienza è portata dall'esterno alla classe, come sintesi dei processi che avvengono nella classe ma che la classe non può tradurre in sintesi.

P.C.Int. (un delegato legge un brano da Revolution Internationale dell'aprile 74):

«La tesi di Lenin della «coscienza socialista iniettata agli operai» dal Partito in opposizione alla tesi di Rosa (Luxembourg) della «spontaneità» della presa di coscienza, prodotta nel corso del movimento a partire dalla lotta economica per culminare nella lotta socialista, rivoluzionaria, è certamente più esatta.
La tesi della «spontaneità» in apparenza democratica, ha in fondo una tendenza meccanicista di un rigoroso determinismo economico (...). La concezione di Lenin restituisce alla coscienza socialista e al Partito che la materializza il loro carattere di fattori e principi essenzialmente attivi. Essa non la stacca (la coscienza socialista) ma la include nella vita reale e nel movimento.»

Crediamo dunque che si tratti di un problema di maturazione delle posizioni non chiare nella C.C.I.

C.C.I. Dite che voi non vedete una identità tra classe e partito, ma tra partito e coscienza. Ma cosa è partito, cosa è coscienza? Se il partito si identifica con la coscienza della classe mentre la classe è dall'altra parte, allora quando la classe è attiva allora si identifica nel partito. Dite che la classe non può avere una coscienza rivoluzionaria perché vive nelle fabbriche, è isolata, chiedo allora: cosa differirebbe la classe operaia se non il fatto che è rivoluzionaria?

P.C.Int. Marx ha detto che la classe diventa rivoluzionaria quando diventa da classe in sé a classe per sé e si organizza nel partito.

C.C.I. Allora perché diciamo che la classe è rivoluzionaria? Perché per prima cosa è sfruttata, perché fa un lavoro collettivo, ecc. Dire che non è cosciente per le sue condizioni materiali è esattamente l'inverso. Voi confondete. Dite che la classe operaia è una somma di operai singoli e dimenticate invece cosa è la classe operaia quando esce dalla fabbrica e fa un movimento generale. Perché chiamate classe operaia quando questa è divisa, vinta, isolata? Perché non ne parlate quando sono tanti operai insieme. Sono questi operai che hanno fatto la Comune di Parigi e che hanno dato lezioni a Marx su questo punto. Questa è la vera classe operaia. Perché non si parla mai di questa classe? La concezione sociologica della classe operaia è quella che vede la classe operaia come una somma di individui vinti. I borghesi non vedono nella classe che la sua miseria, noi vediamo la classe rivoluzionaria.

Per voi la classe è una concezione sociologica più il programma storico. Noi non siamo d'accordo. Per noi la classe è quella da cui Marx ha imparato la concezione di classe. Perché ,la classe ha fatto la Comune di Parigi? Per le sue condizioni di vita.

P.C.Int. Non è soltanto per le sue condizioni di vita. Il proletariato è figlio del capitalismo, cresce come sua forza antagonista, vive del suo stesso sviluppo. Vero è che in questo processo di sviluppo c'è un crescente accumulo di autocoscienza delle masse operaie, ma sarebbe illusorio e suicida affidare unicamente e aprioristicamente ad una generica crescita di autocoscienza delle masse la soluzione di quella complessa e vasta ingegneria politica in cui si incontrano i problemi di tattica e di strategia che è poi la condizione prima e indispensabile perché l'atto rivoluzionario si realizzi: la presenza e permanenza del partito di classe.

C.C.I. Voi fate esempi nei quali la classe non ha avuto successo perché il partito era debole e noi abbiamo fatto esempi nei quali la classe ha fatto passi avanti e il partito era debole, vediamo cosa c'è dietro; noi non vogliamo dire che la classe non ha bisogno di un partito, noi non vogliamo fare della megalomania sul ruolo del partito. Nell'attitudine di Lenin verso i soviet, che poi ha cambiato, c'è tutta la megalomania in cui si vede che nel partito solo c'è la coscienza e fuori dal partito niente. Dobbiamo tener conto della coscienza che appare nell'insieme della classe.

PC.Int. Voi ci considerate come se parlaste con Bordiga, ma noi non abbiamo le posizioni di Bordiga. Noi abbiamo elaborato i problemi di classe, partito, coscienza dal 1927.

La presidenza, constata l'ora tarda e l'esaurirsi dei terni di discussione, sospende il dibattito chiedendo ci si avvii alle conclusioni.

La C.C.I. Legge un «Progetto di dichiarazione comune della Conferenza» che però il P.C.Int. respinge come improponibile con la motivazione più oltre riportata.

Progetto di dichiarazione comune della conferenza presentata dalla C.C.I.

  1. I partecipanti alla riunione si rammaricano che i gruppi che dicono di far parte della sinistra comunista - come i vari gruppi del bordighismo e il P.I.C. - invitati a partecipare alla discussione non abbiano giudicato necessario di venire. La riunione ritiene che questo rifiuto di partecipare è una manifestazione del loro settarismo, del loro spirito di bottega così come della loro profonda incomprensione del fatto che la situazione attuale impone ai rivoluzionari il compito di stabilire contatti reciproci, approfondire il confronto e porsi il problema del loro raggruppamento. La riunione si rammarica che questo rifiuto di partecipazione insieme alle defezioni e agli impedimenti materiali di altri gruppi abbiano ridotto l'incontro ad un semplice confronto fra il P.C.Int. (Battaglia Comunista) e la CCI che sono lungi dall'essere i soli gruppi rivoluzionari esistenti attualmente.
  2. La riunione constata l'accordo sul concetto di decadenza del capitalismo che trova le sue radici nell'irrimediabile aggravamento delle contraddizioni economiche inerenti al modo di produzione capitalista..Essa considera che questa decadenza non è fatto relativo ad «aree geografiche» particolari della società, ma riguarda l'insieme del capitalismo in quanto modo di produzione sociale. Essa stima che tutte le concezioni che parlano di esistenza di aree geografiche dove il capitalismo si presenterebbe come progressivo, sono non soltanto errate, ma sfocianti, se pienamente sviluppate, nell'abbandono dell'internazionalismo e nella nozione di «socialismo in un paese solo» o in un «area geografica».
    Di contro, i partecipanti alla riunione rilevano le proprie divergenze sulla analisi dei fondamenti economici della decadenza. Se tutti pensano che la caduta tendenziale del saggio di profitto costituisce una contraddizione essenziale che permette di spiegare questa decadenza, la C.C.I. ritiene, da parte sua, che il problema della saturazione dei mercati costituisca un'altra contraddizione fondamentale del sistema, la sola che permetta di spiegare l'esistenza di antagonismi e di guerre interimperiatiste, mentre il P.C.Int. esprime delle riserve su tale implicazione.
  3. Sull'analisi del presente periodo di vita del capitalismo e della lotta di classe la riunione constata un accordo sul fatto che il capitalismo è entrato in una fase di crisi acuta della sua economi; e sfociante sulla sola alternativa: guerra imperialista o rivoluzione proletaria. Seppur con differenze essa considera che l'approfondimento della crisi ha determinato una ripresa delle lotte operaie dopo un periodo cinquantennale di controrivoluzione nel corso della quale ogni tentativo di scontro aperto del proletariato contro il capitale era impossibile, il che impediva ogni effettiva incidenza dei rivoluzionari nella lotta di classe.
    Le divergenze vertono sul grado di rottura della classe con il periodo di reazione. La CCI ritiene necessario insistere sul cambiamento fondamentale del corso storico impresso da questa ripresa - sebbene lenta e ondeggiante - della lotta di classe.
    Diversamente il P.C.Int. ritiene che questa rottura è ancora estremamente lenta e parziale, al punto che, da parte sua, considera la fase attuale come la ultima ora», ma pur sempre interna al corso storico controrivoluzionario.
  4. La riunione constata il suo accordo sull'analisi tanto dei partiti stalinisti e socialdemocratici quanto quelli della estrema sinistra extraparlamentare (maosti, trotskisti, ecc.) come la frazione di sinistra dell'apparato politico del capitale.
    Il P.C.Int. ritiene che si può definire questi partiti come riformisti e opportunisti, mentre la C.C.I. considera, da parte sua, che la nozione di partito opportunista non si può applicare che ai partiti della classe operaia nel periodo ascendente del capitalismo, quando il sistema era di fatto in grado di accordare a questa riforme reali. La C.C.I. ritiene che tale nozione di partito «riformista» e «opportunista» applicata agli organi di estrema sinistra del capitale è non soltanto arretrata, ma tale da mantenere pericolose illusioni in seno alla classe operaia.
  5. La riunione è d'accordo nel considerare che nel periodo di decadenza del capitalismo, i sindacati non possano in alcun modo essere uno strumento di lotta di classe, che essi costituiscono un organo dello stato borghese nell'ambiente operaio che non possono essere ne «conquistati» né «riformati» a beneficio del proletariato e che questo dovrà distruggere.
    Tuttavia, mentre la C.C.I. ritiene che non è in alcun modo possibile lavorare in seno ai sindacati, neppure per distruggerli (come non si può distruggere il Parlamento o la Polizia dall'interno), il P.C.Int. afferma che i rivoluzionari devono sempre considerare i sindacati come le organizzazioni che raccolgono masse considerevoli di lavoratori e che, per questo, devono agire nel loro seno per contribuire alla loro distruzione.
    Peraltro esiste una divergenza sul problema dei gruppi di fabbrica. Il P.C.Int. ritiene che, visto l'abbandono da parte dei sindacati della difesa degli interessi immediati del proletariato, spetta al partito il compito di raccogliere questa difesa attraverso i suoi gruppi di fabbrica per farne uno strumento di agitazione e di organizzazione della rivoluzione comunista. Il P.C.Int. ritiene di conseguenza che questi gruppi di fabbrica o gruppi sindacati comunisti internazionalisti» debbano costituire la cinghia di trasmissione, la testa di ponte del partito nella classe. Da parte sua la C.C.I. respinge ogni concetto di cinghia di trasmissione del partito nella classe. Ritiene che tra l'organizzazione generale della classe - i consigli operai - che appare in periodo rivoluzionario, e la sua organizzazione politica - il Partito - non c'è spazio per una istanza intermedia o altre cinghie di trasmissione. Circa i gruppi operai che possono apparire nel periodo montante dette lotte come manifestazione embrionale dello sforzo di organizzazione e di presa di coscienza detta classe, il ruolo dei rivoluzionari è di intervenirvi per difendere le posizioni comuniste, insistendo sul carattere necessariamente limitato e temporaneo di questi tipi di organismi piuttosto che tentare di congelarli ed istituzionalizzarli in questa forma.
  6. Sulla questione del partito, la riunione constata l'accordo sul carattere indispensabile di quest'organo nella rivoluzione proletaria. Constata ugualmente l'accordo sul fatto che non c'è identificazione fra il partito e la classe e che il primo, in quanto parte della seconda, non può sostituirvisi nella presa del potere durante la rivoluzione. Constata tuttavia l'esistenza di serie divergenze sul problema della presa di coscienza della classe e sul ruolo del partito in questo processo. Il P.C.Int. considera che nel quadro dei rapporti di produzione capitalista la classe non può di per sé stessa sviluppare la sua coscienza ed elaborare il suo programma. Il P.C.Int. ritiene che il partito si identifica con la coscienza comunista e parimenti debba assumere un ruolo di pilota, di guida della classe di fronte alla quale deve esercitare una «funzione di prestigio e di guida». Dal canto suo la C.C.I. ritiene che la classe secerne costantemente un processo di presa di coscienza dei suoi interessi e dei suoi compiti storici, processo di cui il partito è esso stesso una manifestazione ed il fattore attivo e fondamentale. In questo senso respinge i concetti sviluppati da Lenin nel Che fare su «l'introduzione della coscienza rivoluzionaria dall'esterno». Al tempo stesso respinge l'idea che il partito si identifichi con la coscienza comunista ovvero debba assumere funzioni di capitano, di guida o di prestigio. Considera che il compito essenziale del partito è di intervenire attivamente nelle lotte della classe al fine di generalizzare e approfondire la presa di coscienza della classe di cui è parte integrante.
  7. In conclusione la conferenza ritiene che il confronto che essa ha permesso si iscrive nello sforzo di chiarificazione fondamentale delle posizioni politiche dei rivoluzionari e che costituisce un primo passo in questo senso. Se ritiene che nelle attuali condizioni, la formazione di un comitato di coordinamento dei gruppi della sinistra comunista sarebbe ancora prematuro, insiste nondimeno sulla necessità di perseguire, stimolare a approfondire i processi di confronto e di chiarificazione fra questi gruppi su scala internazionale.

A questo fine scaturisce dalla discussione la necessità di:

  1. mantenere e allargare i contatti e la corrispondenza fra i gruppi partecipanti;
  2. prevedere altri incontri e nei limiti del possibile allargarli ad altri gruppi collocantisi su posizioni comuniste;
  3. prevedere la pubblicazione dei documenti di questo primo incontro e di eventuali testi ulteriori riferentisi a questo dibattito;
  4. allargare il più possibile lo scambio della stampa affinché il maggior numero di militanti possa conoscere e seguire i pensieri, le posizioni e gli sviluppi degli altri raggruppamenti.

Il Partito comunista internazionalista rifiuta la necessità di mettere in discussione il documento proposto dalla C.C.I. con le seguenti motivazioni:

  1. la conferenza ha avuto soltanto un carattere di confronto e non è pervenuta ad alcuna conclusione concernente i temi del dibattito politico;
  2. appare privo di senso politico e fuori luogo discutere un documento di conclusioni che vada al di là del riconoscimento comune della necessità di proseguire ed allargare il dibattito su scala internazionale;
  3. il P.C.Int. propone al contrario il breve comunicato che segue e che chiude la conferenza.

Risoluzione finale presentata dal P.C.Int.

La riunione si conclude con il riconoscimento della necessità di approfondire il processo di confronto e di chiarificazione tra i gruppi della sinistra comunista a livello internazionale. A tal fine si afferma la necessità di:

  1. mantenere e allargare i contatti e le corrispondenze dei gruppi partecipanti;
  2. prevedere altre riunioni e per quanto possibile allargarle agli altri gruppi che si trovano sulle posizioni della sinistra comunista;
  3. mettere in atto uno scambio quanto più largo possibile della stampa con il fine di far conoscere e seguire le proprie concezioni e posizioni e gli sviluppi della iniziativa presa e sulla base di questi documenti aprire un dibattito a livello internazionale.

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.