Melfi: evitato il caso dei tranvieri milanesi... grazie alla Fiom

Metalmeccanici, Fiom e gabbie salariali

Melfi avrebbe potuto ripetere l'esperienza dei tranvieri milanesi. Il "rischio" c'era ed è questo che ha portato la FIOM a sbilanciarsi così a sinistra. Perché in effetti a Melfi e su Melfi si è un po' sbilanciata, rispetto alla tradizionale linea delle "compatibilità " e di fatto della cogestione.

Ma andiamo con ordine. Da dove quel "rischio"? Ormai sono note ai nostri lettori le condizioni in cui si lavorava (o lavora?) a Melfi e che potremmo riassumere con locuzione imprecisa ma comune, da Terzo mondo. Tali situazione esiste nella Fiat Sata dalla sua apertura e sappiamo tutti benissimo, anche se troppi fingono di dimenticarlo, che essa era la condizione richiesta dalla Fiat per decidere di impiantare a Melfi una sua fabbrica. Ma era anche più che legittimo, naturale che lungo dieci anni montasse la rabbia di chi chiamato "innanzitutto italiano", soprattutto quando deve per ora solo commuoversi per i cosiddetti nostri ragazzi in Iraq, è trattato in realtà a Melfi come sono trattati gli operai nei paesi dell'Est Europeo o di altri paesi.

Forse non è chiaro a tutti, ma 12 turni notturni consecutivi sono massacranti. Se poi sono imposti a uomini e donne indifferentemente, la violenza diventa davvero insopportabile.

La consapevolezza di essere pagati il 25-30% in meno rispetto agli stabilimenti del nord Italia, era ormai maturata a livello generale.

In più, recentemente forse più che in passato, si è aggiunto un inasprirsi della repressione interna (con un numero elevatissimo di contravvenzioni contestate a lavoratrici e lavoratori di Melfi).

Questi tre aspetti insieme hanno da subito costituito la piattaforma di una mobilitazione forte e generalizzata che, se non cavalcata subito da una sindacato, minacciava di assumere forme e toni spiacevoli per padroni governo e sindacati, e molto simili a quelli emersi in dicembre-gennaio fra i tranvieri milanesi.

Cisl e Uil, che evidentemente o hanno perduto personale politico adeguato o hanno ritenuto più importante per loro entrare più direttamente nelle grazie di mamma Fiat (ma l'alternativa non è tale), hanno pensato bene di condannare in anticipo quello che avrebbe potuto succedere e che loro non cercavano affatto di impedire e, fingendo indignazione per il danno arrecato alla Fiat con i blocchi, sono andati alla trattativa. Questa ha partorito solo un accordo separato di scarsissimo valore ma contenente un termine - "grave nocumento" - che appunto i blocchi avrebbero arrecato alla Fiat - che è pericoloso per gli operai. La Fiat potrebbe infatti trovare lì la "giusta causa" per successivi licenziamenti di rappresaglia.

Non sappiamo se quell'accordo separato sparirà, ma di certo si aggiunge alle pesantissime responsabilità di scoperti traditori e venditori degli operai, che questi sindacati si sono assunti.

Quando poi la Fiat si è decisa a riprendere la trattativa anche con la Fiom, la Cisl ha pensato bene di interromperla subito, accampando la risibile scusa di una presunta e molto dubbia aggressione a una sua esponente presso lo stabilimento di Melfi.

È evidente il tentativo di delegittimare con mezzucci e bassa politica la Fiom e di accreditarsi come il solo sindacato (insieme alla UIL) con i quali si può trattare. Considerato che stiamo parlando di organismi e persone use alle basse cucine della politica, una simile manovra potrebbe anche avere un minimo di senso, per quanto fetente. Ma solo se si accetta per data e immodificabile la passività operaia, dalla quale invece si comincia faticosamente a uscire.

L'ha capito la FIOM che, fin che può, si presta a cavalcare la tigre per riportarla in gabbia, specialmente dopo la lezione a Milano dei tranvieri che si è ritrovata a condannare insieme a CISL e UIL.

Nel momento in cui scriviamo, i blocchi sono appena stati tolti sulla base della trattativa iniziata e interrotta e la Fiom si è impegnata con gli operai a difendere quanto rivendicato.

D'altra parte la Fiat ha già abbondantemente fatto sapere che, se si può rivedere la faccenda dei turni, sui salari non è possibile. Pur senza mai aver presenziato a una trattativa di quel genere possiamo benissimo prevedere che la Fiat porterà delle argomentazioni a questa impossibilità di aumentare il salario e portarlo a livello... torinese. E possiamo anche prevedere che dopo qualche storcimento di naso e qualche tira e molla anche la Fiom sarà portata ad accettar l'idea. Come dicevamo all'inizio, sanno benissimo in Fiom e in Cgil, che la Fiat ha aperto a Melfi solo perchè poteva fruire di salari notevolmente più bassi; e la Fiat ha aperto con l'accordo dei sindacati che, zitti zitti, contribuivano così alla ricostruzione di quelle gabbie salariali abbattute 30 anni fa (20 anni prima della apertura della Fiat-Sata). Dovranno allora far digerire l'accordo agli operai, magari attraverso il referendum.

A meno di repentine svolte della situazione complessiva di classe, possiamo scommettere che il referendum ratificherà qualsiasi straccio di accordo che i tre sindacati e la Fiat riusciranno a raggiungere e verrà cantata vittoria. Saremo - e siamo - lontanissimi da qualunque vera vittoria, ma torniamo a sottolineare il fatto nuovo che, fra queste mille difficoltà, fra diecimila timidezze, pur emerge: la questione salariale che torna di fatto di attualità e per riconoscimento quasi universale, torna a scuotere i proletari dal torpore, che da tempo e per mille ragioni da noi riconosciute li aveva presi.

È un fatto che ha grandi implicazioni e che le avanguardie - e quanti si pretendono tali - devono saper riconoscere per quel che comporta sul piano dell'impegno a preparare le migliori condizioni politiche possibili per la ripresa.

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.