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Home ›L'olocausto, fra negazionisti e assertori
Immagine - L'ingresso del campo di Auschwitz
Se P. Rassinier (L'esperienza vissuta e_ quella degli altri_ - in La menzogna di Ulisse, Graphos 1996) aprì una porta al cosiddetto "revisionismo olocaustico", R. Faurisson è il padre delle tesi che negano i misfatti nazisti contro gli ebrei, oggi sostenute nella destra più estrema e dal fondamentalismo arabo. Rassinier (ex "comunista", deportato a Buchenwald e a Dora) denunciava una sordida complicità fra carcerieri e carcerati, un meccanismo perverso che nei lager, in cambio di privilegi, trasformava alcuni deportati in burocratici agenti dei nazisti. Le descrizioni di auto-amministrazione dei campi da parte degli stessi detenuti, a fianco delle SS, sollevò scandalo. Ma oltre la macabra contabilità delle vittime o le disquisizioni sulle tecniche di eliminazione, l'attenzione si concentrò sulle intenzionalità e responsabilità.
Per i filo-nazisti si trattava di fatti accidentali o semmai imputabili alla brutalità di alcuni gradi inferiori delle SS. Se vi furono vittime, lo si doveva al freddo, fame, tifo o... noia! La contrapposta tesi ha fatto del nazismo un accidente abominevole ma eccezionale, collocabile al di fuori della storia e irripetibile.
Non una forma specifica e bestiale del dominio capitalista, del dispotismo della classe borghese che scatena e impone la propria violenza reazionaria per la necessità, in determinate circostanze, di una organizzazione "razionalizzata" volta a schiacciare il proletariato e intensificarne lo sfruttamento. Con l'interpretazione del "nazismo-mostro", invece che di un preciso prodotto storico, scompaiono i concreti rapporti di classe e le esplosioni di contraddizioni insanabili, come quelle che con la crisi del primo dopoguerra avevano messo in pericolo le basi stesse del modo di produzione capitalistico e dello sfruttamento della forza-lavoro. La nascita del Terzo Reich e il trionfo dell'ideologia nazionalsocialista confermarono la sconfitta della classe operaia tedesca, già messa in ginocchio dalla socialdemocrazia. Anche chi sollevava qualche dubbio sulle carneficine perpetrate nei lager, finiva con l'oscurare il loro inserimento nelle logiche capitalistiche, semmai attribuendo gli eccidi ad un capitalismo e regime borghese da considerarsi "satanici" in confronto ad altri, "liberal-democratici", incensati sugli altari di una civile convivenza annullante ogni determinazione di classe. D'altro canto, indicando nel nazismo la Bestia, il Male assoluto, e negando lo stretto legame col capitalismo, la salvaguardia del Bene e della Civiltà si affidavano ad anglo- americani e stalinisti, fino a giustificare i bombardamenti sulle città tedesche e le atomiche sul Giappone. Le colpe naziste furono fatte ricadere sul particolare Dna del popolo tedesco; la sacra unione fra classi e Stati "democratici" incolpò il nazi-fascismo per il massacro bellico scatenato da tutte le potenze imperialistiche. A destra, invece, si giustificavano eventuali eccessi nazisti perché non conosciuti in "alto loco", dove mai si sarebbe autorizzato un piano di sterminio degli ebrei: una invenzione dei "liberatori" per demonizzare la Germania, schiacciandone il proletariato sotto il tallone dei vincitori. Un accenno meritano gli stalinisti del tempo; opponendosi alle denunce di Rassinier contro i contempo-ranei lager russi, difendevano l'esistenza degli stessi perché più... umani e necessari per... abbattere il capitalismo! Una verità misconosciuta ai più è che in molti lager si agiva come in una impresa capitalistica finalizzata al profitto, con forza-lavoro schiavizzata e a bassissimo costo, nelle vicinanze di grandi impianti produttivi industriali come il Lager di Auschwitz associato al complesso chimico Farbenindustrie. Vi si raccoglievano agli inizi disoccupati e comunisti schedati; gli emarginati erano divisi su basi biologiche, con reparti "psichiatrici" praticanti sterilizzazioni forzate e interventi di "eugenetica".
Un processo di selezione sociale oltre che razziale. A questi "estranei alla comunità" si aggiungeranno poi ebrei e prigionieri di guerra russi, polacchi, italiani dopo il settembre 1943. Si completava così un progetto di "utilizzazione", specie per l'industria bellica, e insieme di "distruzione" non soltanto razziale.
A mettere in dubbio verità ed entità del cosiddetto Olocausto si è cimentato anche qualche epigono bordighista, o ritenuto tale, andando ben oltre ciò che Bordiga denunciava come "scandalosa mistificazione e posizione tipicamente borghese", cioè l'attribuzione al "sadismo nazista" della colpa di morti e distruzioni (Auschwitz, il grande alibi - Programme comuniste n. 11, 1960). Vero è che il nazismo non fu fenomeno razzista bensì di classe, ma chi poi cavalcò quelle affermazioni finì col portare acqua al mulino che si voleva abbattere, con la scusa che la "turpe leggenda di guerra, la propaganda di tipo atrocista", costruita dai "liberatori" e dai sionisti, doveva essere respinta da ogni buon marxista per poter apparire come il vero smascheratore delle ipocrite falsificazioni dell’antifascismo.
Ciò che rimane fondamentale è per noi la denuncia di responsabilità che ricadono sul capitalismo, sulla guerra scatenata dai due blocchi imperialistici, criminali gli uni quanto gli altri; ed è pur vero che dell'Olocausto ci si sta abbondantemente servendo per tacitare - con l'accusa di antisemitismo - qualsiasi critica alla borghesia israeliana. Per questo respingiamo le "disquisizioni" pretestuose degli uni e degli altri e denunciamo e combattiamo gli imperialismi giovani e vecchi, d'Oriente e d'Occidente.
DcBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #2
Febbraio-marzo 2009
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