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Home ›Chi protesta è “fuori”!
Sembra prepotentemente ritornato in voga il tristemente noto motto maoista, “colpirne uno per educarne cento”, ripreso dagli epigoni borghesi in chiave destrosa, se mai sia possibile darne un’altra interpretazione, che riporta il lezzo dell’olio di ricino e della reclusione alla più stretta attualità. Dai cinque operai licenziati dallo stabilimento FCA di Pomigliano, vittime di provvedimenti disciplinari di chiara valenza politica, al licenziamento di una maestra antifascista militante e soprattutto... “incazzata” (giustamente, aggiungiamo noi).
Alla classe operaia il coraggio non è mai mancato, certo oggi piuttosto latente, ma se oggi viviamo in una società i cui rapporti sociali garantiscono perlomeno una parvenza di civiltà, lo dobbiamo alle lotte operaie condotte ai danni della borghesia. Nessun istituto, associazione o “raccolta firme”, peraltro iniziative sempre calate dall’alto e istituzionalizzate, sono mai stati in grado di difendere la cosiddetta “conquista democratica”. La società può migliorare solo con la lotta di classe, non rappresentata da deleghe ad organizzazioni sindacali favorevoli al dialogo tra classi, ma dall'agire del proletariato diretto protagonista della lotta politica, che abbia dunque ben presente l’obbiettivo dell’abolizione del lavoro salariato, tanto per intenderci.
La politica di difesa, vera, degli interessi di classe non si concilia con alleanze interclassiste tra i vari soggetti sociali, al contrario, essa può darsi solo quando si esprime avendo come prospettiva la conquista rivoluzionaria del potere: nessun patto, alleanza, accordo o mediazione con chicchessia, che possano inquinare quella prospettiva stessa. La politica è l’esercizio unilaterale del potere, altrimenti non è che un surrogato fittizio. Correttamente dovrebbe essere infatti chiamata dittatura borghese e non democrazia, cosi come la dittatura del proletariato, sulla minoranza borghese, non è una sorta di piccolo borghese “tutti liberi”, ma l’esproprio coatto e la socializzazione dei mezzi di produzione.
Le vessazioni di cui sono oggetto alcuni degli appartenenti meno “addomesticabili” del proletariato testimoniano la vittoria della linea politica di fondo imposta dalla borghesia, i cui funzionari, regolarmente eletti dal “popolo”, svolgono mansioni parlamentari di routine amministrativa e di mera trattativa diplomatica. I teatrini elettorali rappresentano un simulacro della politica: povero illuso chi crede che nel parlamento risiedano le “leve” del potere, rassegnato a lavorare alla conquista maggioritaria, perché “bisogna anche sporcarsi le mani”. Il potere si trova nei consigli di amministrazione, nei circoli esclusivi dove l’alta borghesia internazionale si da appuntamento, che possono disporre di arsenali colmi di armi ed eserciti pronti ad imbracciarle per imporre la propria di politica.
Al cambio di passo della politica borghese - per altro in corso da tempo - non è corrisposta, per ora, la risposta sul piano della lotta da parte del proletariato, ferma su di un terreno difensivo, forse confidando nel solito “accomodamento” sindacale (?). E’ infatti CUB a scrivere le pagine peggiori sulla vicenda della docente, che trasudano prudente servilismo, senso di responsabilità e di giustizia in chiave borghese, con dei “ma però” sconcertanti.
Lo faceva in modo discutibile, certo, usando toni alti.
... riferito alle frasi urlate all’indirizzo delle forze di PS, ma rincara subito dopo la dose insinuando che:
Con parole sconnesse, chiaro segno di uno stato emotivo alterato.
...manca solo la prova del palloncino.
Insabbia poi la discussione trascinando il lettore nelle secche legislative, trascurando l’unico dato politico realmente importante: che le ragioni della persecuzione sono di classe, e che la borghesia fa come le pare, sul suo stesso piano giuridico, anche e soprattutto quando ha torto!
Classica azione di pompieraggio, ma giudicate voi:
Dal punto di vista sindacale ci preoccupa, come si evince dagli atti del provvedimento disciplinare, il confondere elementi che hanno a che fare con il provvedimento amministrativo con altri che attengono al piano penale, in modo che gli uni gettino la loro ombra suggestiva sugli altri.
Completamente assente una proposta di lotta unitaria del corpo docenti che rispedisca al mittente ogni pretesto punitivo all’insubordinazione politica e alla pretesa che i diktat parafascisti padronali vengano rispettati. Opportunamente il licenziamento arriva al termine dell’anno scolastico, il che permette a tutti, sindacati in primis, ma anche ai colleghi di lavoro, di svincolarsi da una scomoda situazione di ricatto padronale.
Il movimento rivendicativo sembra essere giunto al capolinea, inadatto a rispondere al cambio di passo politico della borghesia, deve necessariamente essere sostituito da una identità politica genuinamente proletaria, intransigente, con fini rivoluzionari in discontinuità con il presente, pena la sconfitta e il degrado delle condizioni di vita e lavoro del proletariato, ben oltre il più tragico pessimismo. Va da sé che tale prospettiva per realizzarsi deve essere condotta in modo inversamente proporzionale alle mire elettoralistiche con cui si cerca di attirare, o meglio “distogliere” dai veri interessi, l’attenzione dei lavoratori, blandendoli con fantomatiche promesse di comodo reddito e subdolo protezionismo in chiave anti-immigrazione.
O la classe operaia riesce, attraverso le avanguardie di classe presenti tra i lavoratori, a scrollarsi di dosso i sogni di gloria nazionalistici, razziali o sovranisti e ritrova la propria unità di classe e il proprio partito rivoluzionario, oppure finirà col divenire strumento imperialista nelle mani borghesi, sacrificando la propria esistenza su di un fronte di guerra qualunque, in un anonimo, sconosciuto campo di battaglia.
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