14. Perché il capitalismo genera periodicamente crisi? Come cerca di superarle?

La condizione d’esistenza del capitalismo è la realizzazione di profitti, che vadano ad accrescere il capitale investito nel processo produttivo, e i profitti sono possibili solo a condizione di una progressiva estorsione di plusvalore. È questo che spinge ad un continuo rinnovamento delle tecniche e dei fattori della produzione. L’innovazione della produzione pone i singoli capitalisti in condizione di vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti, garantendo loro quindi sovrapprofitti e quote di mercato crescenti.

Tuttavia, l’introduzione di nuove tecniche è tendenzialmente caratterizzata da una maggiore incidenza del capitale costante, ossia macchinari e materie prime, rispetto al capitale variabile, ossia rispetto al lavoro salariato. La loro adozione generalizzata spinge nel complesso ad un minore impiego del lavoro umano, unica fonte del valore e dei profitti. Quindi, tendenzialmente, mentre aumenta il capitale complessivo, diminuisce la quota relativa al lavoro salariato, e diminuisce il saggio del profitto, ossia il rapporto tra plusvalore e capitale complessivamente investito.

Il capitale può dispiegare una serie di controtendenze, in primo luogo l’aumento della produttività, intesa come aumento dello sfruttamento, che permette di ottenere profitti maggiori dall’impiego di una data quantità di forza lavoro. Ma d’altra parte, se l’aumento di produttività richiede maggiore capitale costante, allora il suo effetto è contraddittorio. Spesso le controtendenze più efficaci sono l'allungamento della giornata lavorativa (che in genere non implica un aumento della proporzione di capitale costante), l'aumento dei ritmi lavorativi, la diminuzione dei salari, soprattutto quando il proletariato non dà una adeguata risposta di classe agli attacchi alle condizioni di lavoro. Comunque, queste controtendenze possono solo rallentare la caduta tendenziale del saggio medio del profitto, senza tuttavia risolvere le contraddizioni che la generano.

Quando la caduta da tendenziale diventa attuale, il capitalismo cade in una fase di crisi che possiamo definire di sovraccumulazione, da cui in definitiva può uscire solo attraverso la distruzione di capitale. Nell’epoca imperialista, le crisi sono state segnate da conflitti sempre più cruenti e distruttivi.

Le crisi si manifestano sul mercato come crisi di sovrapproduzione, o sottoconsumo (o sovraccapacità produttiva, con i metodi di produzione just-in-time). Ma la loro radice è legata ai rapporti di produzione e alle condizioni di sfruttamento, e non semplicemente alla sfera della distribuzione e ai limiti del mercato.

La questione richiede di essere affrontata e studiata con attenzione. La caduta tendenziale del saggio medio del profitto è uno dei più preziosi (e meno compresi) risultati del marxismo, cui sono dedicati vari capitoli del Capitale.