La gioventù socialista e le organizzazioni economiche

Poiché il Comitato Centrale ha modificato - molto opportunamente - la dicitura del comma 9° dell'O.d.G. del Congresso in questo modo: "Educazione e cultura della gioventù socialista, specie nei riguardi delle organizzazioni economiche", affidato a me e al compagno Casciani, credo utile di esporre brevemente le mie idee sull'ultima parte, che possono forse non essere condivise da tutti i compagni, ritenendo che un'ampia discussione al riguardo sia indispensabile.

La missione della gioventù socialista in questo campo potrebbe offrire forse la soluzione del grave problema che si affaccia oggi al partito socialista, qualora i compagni adulti accettassero la nostra collaborazione entusiasta per la propaganda nei sindacati di mestiere. E il problema a cui accenno è quello che occorre rimettere le organizzazioni operaie sulla via del socialismo, per rimediare agli errori a cui lo hanno condotto due concezioni degenerate dell'idea socialista: il riformismo ed il sindacalismo. Nella violenta diatriba accesasi tra partigiani dei due metodi, occupati a rinfacciarsi gli insuccessi del movimento proletario italiano, è stato perso di vista il fatto che pur essendo diametralmente opposti nella tattica, riformismo e sindacalismo sono entrambi una concessione all'individualismo e all'utilitarismo borghese e sono il riflesso di una mancanza di fede nel trionfo finale rivoluzionario del socialismo per effetto di leggi economiche generali, mancanza di fede indotta nei capi del movimento operaio, più che dalla vera esperienza di questo, dall'influenza abile dell'ambiente intellettuale borghese che con una sapiente critica delle previsioni socialiste, facendole proclamare sorpassate dalle cattedre ufficiali è riuscita ad indurre anche in molti teorici del socialismo e del determinismo economico il dubbio di essere su una falsa strada.

Inspirare il movimento economico nel sindacato di mestiere ad una idealità essenzialmente antiindividualista era opera lunga e difficile.

Occorreva partire dall'interesse singolo di ogni lavoratore disorganizzato, e convincerlo ad entrare nell'organizzazione, poi condurre poco a poco gli organizzati verso l'idea che l'interesse collettivo della classe operaia e non l'utilitarismo personale di ognuno dovesse inspirare la loro azione, e verso il concetto che dovesse anteporsi la conquista finale rivoluzionaria del proletariato ad alcuni minimi successi immediati, al conseguimento delle riforme. Distruggere insomma, servendosi della lotta di classe come fattore educativo, l'anima individualista dell'operaio che tutta la società borghese colpiva in lui per poter affrettare l'avvento di una società nuova basata sulla rinunzia alle lotte individuali e sul massimo della solidarietà umana.

Questo lavoro cozzava ad ogni istante con le manovre che la borghesia gli contrapponeva per paralizzarlo, si prestava all'ironia e alla critica avversaria, esponeva chi lo aveva intrapreso alle accuse di visionario, demagogo e sobillatore delle masse.

Ma il fatto del movimento operaio assumeva una importanza sempre più grande. Istintivamente, per effetto delle leggi economiche, gli operai, che prima si guardavano come nemici erano sempre più spinti gli uni verso gli altri per difendersi dallo sfruttamento. La missione del socialismo doveva essere quella di coordinare questo movimento alle sue finalità massime, centuplicandone l'effetto col renderlo cosciente di sè stesso.

Invece molti socialisti perdendo di vista le teorie da cui erano partiti, credendole forse già contraddette dalla realtà storica, e affievolendosi in essi la fede in una rivoluzione comunista, cominciarono a fare delle concessioni e a confondere il mezzo col fine.

I riformisti sostennero che tutta l'azione proletaria dovesse ridursi alla conquista di miglioramenti successivi e graduali e confusero le riforme, che non sono che mezzi per la propaganda socialista, con la finalità del socialismo; i sindacalisti per reazione limitarono tutto alla vita del sindacato di mestiere e della sua azione violenta contro la borghesia, fecero il sindacato fine a se stesso rendendolo un terreno fertile per lo sviluppo dell'individualismo invece che un mezzo di propaganda delle conquiste collettive di tutta la classe lavoratrice.

Entrambi i metodi - apparentemente diversi - ebbero analoghe conseguenze.

La maggior parte delle organizzazioni economiche italiane, sono ora sulla via dell'utilitarismo e del corporativismo. Tanto i sindacalisti che i riformisti, propugnando la neutralità politica del sindacato lo hanno reso un'accozzaglia di individui uniti solo dalla molla dell'interesse personale, indifferenti alle idealità socialiste, o addirittura seguaci di concezioni politiche borghesi.

I riformisti se ne vantano, quanto ai sindacalisti essi non sosterranno certo che tutti gli organizzati che aderiscono al comitato dell'azione diretta seguano le poco definibili teorie sindacaliste.

Ora il partito socialista deve pensare al rimedio. Non è tanto grave il fatto della neutralità elettorale dei sindacati, ma ciò che ci spaventa è la loro azione negativa nella formazione della coscienza dei lavoratori.

Noi non crediamo all'efficacia autoeducativa dell'organizzazione, quando questa è scompagnata dalla (parola non comprensibile) della coscienza rivoluzionaria e socialista. Perciò diciamo che i sindacalisti rivoluzionari nel metodo, lo sono assai poco nel fine. Riteniamo necessario provvedere alla vita educativa del sindacato parallela alla sua vita economica. Ed è qui che riattacchiamo questo problema a quello della coltura dei giovani socialisti.

Questo soffio di idealità che deve togliere all'organizzazione operaia ogni carattere utilitario e corporativista non può venirle che dai suoi elementi più giovani e più accessibili alla fede e all'entusiasmo.

Richiamare questi giovani organizzati nei nostri circoli, educarli alla propaganda indefessa del socialismo perchè coloriscano la vita amorfa e gretta di molte nostre organizzazioni facendone delle armi potenti per la rivoluzione (che è qualche cosa di più che uno sciopero generale), ecco un compito del nostro movimento.

Lo sapremo assolvere?

Da "L'Avanguardia" del 15 settembre 1912. Firmato: Amadeo Bordiga

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