La crisi, il liberismo hanno messo in ginocchio l’Argentina - Le masse proletarie hanno rialzato la testa

La crisi economica e finanziaria che da qualche anno travaglia le borse e le strutture produttive del ricco occidente sta avendo effetti devastanti nei paesi della cosiddetta periferia. Prima fra tutti l’Argentina che dopo il Messico, Brasile, Colombia e Filippine sono precipitati nel baratro della crisi e della disperazione sociale.

Già negli anni ottanta l’economia argentina ha dovuto fare i conti i primi esperimenti del neo liberismo e con l’arroganza finanziaria americana. L’imperialismo americano, nel tentativo di riciclare i pertro dollari ha giocato sull’aumento dei tassi di interesse interni rinegoziando tutti i debiti contratti in dollari dai paesi in via di sviluppo nei confronti del Fmi. La conclusione è stata che per l’Argentina un debito contratto negli anni settanta al tasso d’interesse del 5%, negli anni ottanta ha dovuto adempiere a un servizio sul debito del 15%, con il risultato di non poter restituire il debito stesso e di vederlo aumentare per gli incrementi maturati. Il tutto su di una economia che subiva il peso delle conseguenze della cosiddetta crisi petrolifera.

Negli anni novanta l’accoppiata delinquenziale Menem - Cavalo, pur di continuare a ricevere finanziamenti dal Fmi, si è aperta alle indicazioni del più ottuso ultra liberismo. Si è operato l’abbattimento delle barriere doganali consentendo alle merci americane di invadere il mercato argentino mettendone in crisi i già precari equilibri. Con le privatizzazioni di tutti i servizi e di alcune imprese di importanza nazionale si è aperta la strada al più sfrenato e rampante dei capitalismi privati, che in nome del profitto immediato, ha mandato in crisi quel poco di economia che ancora rimaneva in piedi. Lo stato sociale è stato completamente smantellato e, sempre secondo le ricette del Fmi, sono aumentate le tasse e il costo del danaro, completando l’opera di distruzione della economia argentina.

I risultati si sono ben presto fatti vedere. L’inflazione, nonostante le ricette monetariste, è rimasta a tassi elevati, la disoccupazione è arrivata al 30%, il debito pubblico ha superato del 20% il Pil e il debito estero è salito a 135 miliardi di dollari, che per una economia disastrata come quella argentina, è un peso assolutamente insopportabile. L’imbecillità finanziaria di Cavalo di equiparare il valore del pesos a quello del dollaro ha fatto il resto. Sul fronte delle condizioni di vita della popolazione argentina le cose sono andate ancora peggio. Oltre al già citato 30% di proletari espulsi dalla produzione senza nessuna possibilità di rientrarvi, nemmeno in nero o in condizione di maggiore precarizzazione, le statistiche dicono che il 45% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà. In termini numerici milioni di famiglie sopravvivono con meno di 480 pesos al mese ( nemmeno un milione di lire per un nucleo famigliare di cinque persone). Il presidente Della Rua, preoccupato di tamponare le possibili fughe di capitali all’estero ha bloccato anche i conti correnti bancari dei piccoli risparmiatori, condannando la gran parte della popolazione al baratto e all’accattonaggio. La fame, la miseria economica e sociale, la disperazione per la realtà quotidiana e per le prospettive future sono cresciute di pari passo con la rabbia e la volontà di esprimerla con la violenza.

Spontaneamente nelle piazze si sono rovesciati giovani e studenti, operai, disoccupati e piccolo borghesi, prima proletarizzati e poi pauperizzati. Obiettivi della rabbia i soliti santuari del capitalismo, la banche, gli uffici commerciali ma soprattutto i supermercati e i negozi in generale che sono stati assaltati come i forni del pane di manzoniana memoria. La fame e la rabbia nei confronti di una classe politica inetta, corrotta e al servizio delle grandi concentrazioni capitalistiche interne e internazionali, sono state alla base delle sollevazioni di questi giorni; dietro la tragica regia della crisi del capitalismo nella versione neo liberista. Il governo del dimissionario presidente, come da copione non ha trovato di meglio che scatenare una selvaggia repressione con morti e migliaia di feriti.

Uno degli anelli più deboli del capitalismo internazionale si è rotto. Masse di proletari e di diseredati sono scesi nelle piazze di tutta l’Argentina. La reazione borghese ha svolto il suo vile lavoro. Tutto come in una trama già scritta, mille volte recitata ma con due grandi assenze: una vera ripresa della lotta di classe e un partito in grado di amministrarla. In mancanza di questo la borghesia è sempre un grado di produrre una alternativa che tale è solo all’interno delle modificazioni del potere politico, fermo restando il quadro economico e i rapporti di sfruttamento. L’imperativo per le sparute avanguardie rivoluzionarie è quello di accelerare il processo di chiarificazione degli avvenimenti in termini di lotta di classe e di prospettive politiche, anche se non immediate, e lo sforzo immenso di dare vita a formazioni partitiche in grado di aggregare le avanguardie proletarie che all'interno di questi movimenti spontanei si esprimono, perché la prossima rottura, ovunque si presenti, non rimanga senza la strategia di una alternativa di classe. Contro la borghesia e i suoi travestimenti, contro le trappole sindacali per l’organizzazione delle masse proletarie latino americane.