Siamo arrivati alla privatizzazione dell’acqua

Quando si arriverà a pagare anche per respirare una boccata d’aria, per giunta inquinata?

In un paese, come l’Italia, sufficientemente ricco di acqua, basta un’estate siccitosa per creare un’emergenza idrica. Il fenomeno non colpisce soltanto le regioni meridionali ma anche la valle padana con gravi danni per l’economia agricola e per i consumatori dei centri urbani. Come mai?

La risposta è molto semplice. Da decenni, in modo particolare negli ultimi anni, lo Stato, le Regioni e i Comuni non hanno mai messo mano alla struttura idrica nazionale che è vecchia, obsoleta, in alcuni casi fatiscente. Mediamente si perde il 45% dell’acqua potabile incanalata nelle vecchie strutture e, in alcuni casi si arriva al 60%. Per organizzare un serio processo di ristrutturazione di tutto l’apparato, secondo alcuni studiosi (Antonio Marassuto e Riccardo Petrella), occorrerebbero alcune decine di miliardi di euro e un congruo numero di anni per tentare di risolvere il problema, con un costo pro capite per gli utenti di circa 160 euro all’anno in più.

Ma lo Stato non ha soldi, le regioni sono in deficit, come uscire dall’emergenza. Anche in questo caso la risposta del Governo è semplice “privatizziamo l’acqua”. Secondo il Decreto Ronchi, blindato dal voto di fiducia come al solito, si prevede di dare in mano a Società private la gestione dell’apparato idrico italiano, la sua, almeno parziale, ristrutturazione, tanto chi paga è sempre Pantalone. Secondo questo progetto agli Enti pubblici rimarrebbe soltanto il 30% del pacchetto azionario, mentre il 70% andrebbe alle nuove imprese. Va da sé che le imprese private non hanno come obiettivo quello di migliorare il sevizio ma di gestire il servizio per ricavarne dei profitti. La logica del capitale vale sempre, nella produzione di merci come dei servizi, sia che si producano automobili, sia che si eroghi un bene primario come l’acqua potabile. A Latina, dove l’esperimento ha già avuto luogo, le tariffe sono aumentate del 300%. Per cui, sempre mediamente, il rincaro delle bollette dell’acqua, una volta che la gestione sarà passata nelle mani delle Società private, non sarà più di 160 euro per unità di utenza, ma di 480, 500 o 600 euro all’anno, a seconda delle realizzazioni di profittabilità dei capitali investiti, e non è nemmeno detto che il servizio migliori sotto forma di diminuzione degli sprechi e di funzionalità dell’intero sistema idrico nazionale. Se dovessimo prendere come esempio la privatizzazione delle ferrovie, ci sarebbe da mettersi le mani nei capelli. Le tariffe sono aumentate esponenzialmente, il servizio è peggiorato. I treni arrivano regolarmente in ritardo e per giunta sporchi.

Come al solito le crisi economiche più sono gravi e profonde, più mettono in evidenza le contraddizioni e le carenze della società capitalistica. Certo c’è ben altro di cui lamentarsi e da denunciare, ma la trasformazione di un bene primario come l’acqua - che dovrebbe essere distribuito gratuitamente e senza sprechi - in merce da vendere sul mercato della sete, con oltretutto possibili operazioni speculative, è il segno che si è toccato il fondo. Ma il capitalismo questo offre: crisi di devastante intensità, disoccupazione, miseria crescente, fame, e adesso, ci farà morire anche di sete.