Anno internazionale della gioventù

... E tanti auguri ai giovani disoccupati!

L’Organizzazione mondiale del lavoro (Oil) di Ginevra ci informa che la disoccupazione giovanile mondiale lo scorso anno è salita al livello più alto dal dopoguerra. Su circa 620 milioni di giovani tra i 15 e i 24 anni, 81 milioni alla fine del 2009 era disoccupato. 7,8 milioni in più dell’anno precedente la crisi con un aumento di quasi il 12%. Commento dell’Oil:

La crisi ha lasciato in eredità una generazione perduta di ragazzi rimasti al di fuori del mercato del lavoro, che hanno perso la speranza di lavorare per raggiungere un livello di vita decente...

Ma ecco venire avanti sottovoce, fra le nebbie del “pensiero dominante”, una tesi di questo tipo: tutto potrebbe dipendere da un equivoco purtroppo diffuso. Infatti, secondo un’inchiesta Demos per Associazione industriali e Fondazione Palazzo Festari, maggio 2010, il 49% degli italiani dichiara di appartenere ai ceti popolari oppure alla classe operaia. Ebbene, sì, il 37% dichiara di appartenere alla mitica “classe operaia”. Allibito, I. Damiani (la Repubblica, 15 agosto) precisa che si tratta dei residui di un errato...

ruolo del lavoro attribuito nell’organizzazione e nell’etica - sociale e personale. [Infatti, chiarisce Damiani...] gli operai non esistono più; sono scomparsi insieme al lavoro.

Quindi, sarebbe finita anche la lotta di classe, poiché

se quote crescenti di popolazione sono spinte nella "classe operaia", ciò significa che finiscono nell’oblio visto che la classe operaia è stata cancellata.

Tutt’al più qualche presenza periferica o qualche clamorosa protesta di alcuni disperati. Dunque, i giovani sbagliano nell’ostinarsi a cercare un lavoro che non c’è più illudendosi di far parte di una classe, quella operaia, ormai estinta…

Accortosi di essersi spinto forse un po’ troppo in là (senza però mai accennare alla drammatica situazione di quanti, in questa bella società, essendo disoccupati sono anche senza salario, pardon, “reddito”!), Damiani si chiede:

C’è una soluzione, un rimedio, per sopportare il declino del lavoro, i suoi effetti economici e ideologici?

Conclusione: aggrappiamoci all’arte di arrangiarsi e alla famiglia, anche se - visti i legami famigliari nelle vicende politiche - “il ritorno trionfale del ‘familismo’ ci spaventa…”.

DC

Comments

Come bisogna considerare i disperati fuori dal ciclo produttivo?

Non sono forse loro quelli a buon mercato disposti a tutto? Con una divisa addosso si sono gia visti lungo le varie fasi storiche e di certo la coscienza di classe non viene insegnata a scuola.

Di sicuro bisogna evidenziare la divisione in classi della società per avere almeno un riscontro minimo ed un rifiuto delle condizioni di lavoro sempre piu dure, certo rendersi conto di essere sempre e comunque sfruttati anche se il salario è "buono" e un'altra cosa.

Comunque il concetto che i diritti persi in una determinata area produttiva debbano prima o poi per forza abbassare la media complessiva e quindi diminuire anche i tuoi, dire cioè "guarda che toccherà anche a noi fra poco" al posto del solito "momento difficile e bisogna fare dei sacrifici", forse è la cosa piu semplice per creare una unione.

Saluti GC