Corrispondenza - Le preoccupazioni e la rabbia dei giornalai

Riceviamo e volentieri pubblichiamo la seguente lettera, che testimonia dei profondi processi di proletarizzazione in atto nella società, che colpiscono - tra le altre categorie - anche quella degli edicolanti; la lettera, in effetti, conferma appieno le preoccupazioni e la rabbia espresse da un altro edicolante, che abbiamo riportato su questo sito già qualche mese fa.

L’attività dell’edicolante la fai per scelta o perché ti ci ritrovi, magari per ragioni familiari. In ogni caso, dopo tanti anni nella macchina editoriale ti rendi conto dei cambiamenti, in peggio, che subisci in base alle esigenze di profitto degli editori. Mai che questi cambiamenti siano a vantaggio tuo che, come edicolante e come ultima ruota del carro, cambi la carta stampata in moneta.

Così, dopo tanti anni e dopo essere stato colpito da tante malefatte, dici “basta!”. Ma con questo “basta!” vorresti essere in grado di impegnarti per far finire questo sistema di strozzinaggio da parte degli editori e dei distributori, con il beneplacito dei sindacati. Si, proprio i sindacati, quelli che, se parli di sciopero, ti dicono che non conviene farlo, perché la metà della categoria ha l’edicola in gestione ed allora non parteciperebbe. E cosi , diffondendo sfiducia nella possibilità di reagire a tali soprusi, tutti i sindacati fanno il gioco degli editori-padroni. Tutto ciò aveva senso già prima, quando i sindacati erano pagati dagli editori con i soprasconti di natale; ma adesso ne ha ancora di più, dato che ricevono il loro mantenimento dai giornalai: è evidente infatti che un nostro sciopero penalizzerebbe anche il sindacato, che tra l’altro riceve la retta degli edicolanti attraverso una agenzia di distribuzione, che ritira direttamente il contante e per questo “ favore” concesso esercita pressioni sul sindacato.

Tanto per parlare di percentuali, andando molto indietro nel tempo, ricevevamo le enciclopedie col 25% di sconto. In una trattativa sindacale con gli editori perdemmo il 5%. Da allora è stato un susseguirsi di percentuali perse. Tanto per fare un esempio, quando iniziarono gli inserti nei quotidiani, dei rappresentanti sindacali presero l’iniziativa di trattare con Repubblica la parte che sarebbe finita ai giornalai. Decisero per 50 lire ipotetiche ad inserto. Dopo di che ci fu l’incontro con i rappresentanti sindacali nazionali che uscirono dalla trattativa con 20 lire ipotetiche ad inserto. Guarda caso, poco tempo dopo la succitata trattativa, il segretario nazionale si comprò un appartamento in zona Gregorio VII proprio come oggi il “compagno” D’Alema compra la sua barchetta da milioni di euro per fare regate in Australia.

Insomma, negli anni vari segretari, sia nazionali che provinciali, si sono succeduti nelle poltrone di comando del sindacato ma tutti si sono arricchiti, alle spalle e sulla pelle degli edicolanti, grazie a regali e grosse somme elargite loro dal braccio degli editori: il distributore. Il distributore, l’eminenza grigia dell’editoria, non opera in maniera isolata, a livello locale, ma opera invece in maniera ben organizzata, in una struttura piramidale, al cui vertice ci sono i distributori nazionali. Ecco perché, quando si pensa alla mafia, non si dovrebbe pensare soltanto a stragi con il tritolo e ad omicidi, ma semplicemente ad un modo di essere del capitalismo, a volte illegale, a volte no, come appunto gli strozzini autorizzati/legalizzati delle banche o, come nel nostro caso, della distribuzione editoriale. Questi signori devono ringraziare che non c’è nessuno tanto importante come un Saviano a sputtanarli.

Il giornalaio dovrebbe chiedersi perché, se chiede al distributore di abbassargli la fornitura, gli viene risposto che non è possibile. E perché, quando insiste dicendo che non potrà tenere fede all’assegno da versare il fine settimana, al distributore non importa niente di questi problemi, magari perché ha preso degli accordi con la banca, verso cui si è impegnato a versare una certa cifra settimanale in cambio di tassi maggiori, così ché il povero giornalaio si trova di fronte due strozzini: il distributore e la banca.

La consegna delle pubblicazioni al mattino alle ore 5.30 si svolge in questa maniera: consegnano vari contenitori ed altre pubblicazioni, ritirando la resa del giorno prima; a quel punto il giornalaio fa la spunta di quanto è arrivato ed è in questo passaggio che c’è il furto di tanti editori. In sostanza arrivano delle pubblicazioni con un nome diverso rispetto a quello della testata - un nome che bisognerebbe andarsi a cercare scritto in piccolo sui fogli di arrivo - così che, quando le richiamano, rimangono in edicola.

Proprio in questi giorni si è aperta una diatriba tra i sindacati perché un’agenzia di distribuzione è andata fallita e allora c’è chi dice di ritirare le pubblicazioni e chi no. Comunque il problema non è questo perché tutti i sindacati si erigono a paladini, difensori dei sacri interessi del distributore. Ma il giornalaio c’entrerà qualcosa in tutto questo? In una rivista specializzata è stata pubblicata una intervista ad un manager dell’editoria, che dice di essere innamorato della rete di vendita dei giornalai; ma, guarda caso, solo perché ne riceve benefici per il suo gruppo editoriale. Nei confronti dei giornalai neanche una parola di solidarietà, nonostante le tante edicole che stanno chiudendo perché falliscono.

Un giornalaio di Roma