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Home ›Solidarietà di classe a Mohammed Bannour!
Il 22 Dicembre, mentre gli studenti sfilavano per le città di tutta Italia, a Roma all’interno della città universitaria de La Sapienza un operaio moriva schiacciato da un muletto. Siamo qui a parlare dell’ ennesima morte di un operaio per mano del padronato e del suo sistema economico e sociale: il capitalismo. Mohammed Bannour era un operaio tunisino di 35 anni, padre di tre bambini, che stava lavorando durante la pausa pranzo, perché con la crisi che c’è i padroni ci costringono a lavorare anche durante le pause. Tanto più se sei immigrato, con una famiglia a carico in Italia e soldi da dover spedire agli altri parenti ancora nella terra natale, non puoi permetterti di dire di no con il rischio di essere licenziato. Flessibilità vuol dire anche questo: essere continuamente alla mercè dei padroni e della loro esigenza di profitti.
C’è chi dice che, con maggior sicurezza nei posti di lavoro, questo incidente, come tanti altri, non sarebbe accaduto. Da parte nostra pensiamo, invece, che una vera sicurezza sui posti di lavoro non potrà mai esserci nel capitalismo, poiché sicurezza significa aumento dei costi e rallentamento dei ritmi di lavoro, con relativa diminuzione della produttività e dei conseguenti profitti, cosa che i padroni non possono permettersi. Per questo motivo, nel capitalismo le morti sul lavoro sono un fatto fisiologico e non sfortunati incidenti. Insomma, finchè vivremo in una società basata sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, la miseria e la guerra, il proletariato non potrà aspettarsi niente di buono. Anzi, oggi come oggi, ai padroni non basta più il nostro sudore, ora voglio anche il sangue.
Noi internazionalisti, presenti allo spezzone di Piramide, non appena ricevuta la notizia della morte del giovane operaio Mohammed, decidiamo di recarci, con altri compagni lì presenti, a La Sapienza. Prendiamo la metropolitana scendiamo a Termini per arrivare a La Sapienza in corteo, naturalmente non autorizzato. Giunti alla città universitaria decidiamo di fare una scritta sulla staccionata di legno che delimita la palazzina dove Mohammed ha lavorato per l’ultima volta:
Oggi 22 dicembre è morto un operaio - La colpa è dei padroni
firmato "Le compagne e i compagni"
Aspettiamo l’arrivo del corteo del La Sapienza per decidere con loro come portare fuori dalle mura universitarie la nostra solidarietà di classe a Mohammed e a tutto il proletariato che ogni giorno subisce la schiavitù salariata. La Sapienza arriva ma la maggioranza non sembra interessata ad un’altra iniziativa; appena arrivati si sciolgono, mentre una delegazione lascia un mazzo di fiori. Noi e gli altri compagni, che invece sentiamo l’esigenza di gridare nella città la nostra rabbia proletaria, avviamo una discussione con microfono aperto, in cui si decide di fare un corteo per esprimere la nostra solidarietà a Mohammed e rendere partecipi gli altri lavoratori dell’ennesimo omicidio perpetrato dal capitalismo. Si parte al grido “i nemici sono i padroni!”. Siamo alcune centinaia, ma al primo dispiegamento di celere due terzi del corteo si dà a gambe... Restano i più decisi ad arrivare sotto alla sede dell’Unione Industriali di via Po. Non riusciremo a raggiungere l’Unione Industriali poiché sulla nostra strada si stagliano decine e decine di forze del (dis)ordine borghese, con tre camionette ad impedire il passaggio, posizionate sotto la sede della CISL e a difesa di questa.
Questa evidente manifestazione di solidarietà proletaria, che studenti e lavoratori hanno voluto esprimere, fa così paura ai padroni da averla censurata totalmente da tutti i canali mediatici. Una giovane giornalista aveva scritto un articolo in proposito, ma le è stata rifiutata la pubblicazione; l’ennesimo esempio di come i media siano al servizio del padronato e tutelino lo status quo. Finchè facciamo passeggiate per le città come soli studenti senza creare nessun danno al sistema, possiamo aspettarci prime pagine e servizi di approfondimento in tv. Ma dal momento in cui prendiamo una posizione di classe e la portiamo avanti, solidarizzando con i lavoratori e spingendo per la ricomposizione della classe sfruttata, possiamo cominciare a scordarci che continuino a parlare della nostra lotta. La nostra lotta è contro il capitalismo ed i suoi servi politici, repressivi e culturali; per questo non possono pubblicizzare l’unico movimento reale che può abbattere loro e lo stato di cose presenti.
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