Rivolte arabe e poteri in movimento

Dopo aver sostenuto per anni una serie di regimi come quello egiziano di Mubarak (al quale la borghesia americana ha fornito aiuti militari per 1,3 miliardi di dollari all’anno) gli Usa guardano con molta preoccupazione l’evolversi di una situazione che è sfuggita loro di mano per quanto riguarda i rapporti con le vecchie gestioni del potere locale nel Nord Africa. In zone altamente strategiche o fondamentali per gli approvvigionamenti energetici.

Intanto, in Egitto sembrerebbe ritornata una certa normalità, almeno per quanto riguarda l’assestamento finanziario che registra uno stabilizzarsi della Borsa egiziana sui livelli precedenti alla rivolta del 25 gennaio. Non tutto si presenta però positivamente: le riserve valutarie sono diminuite di 1,7 miliardi di dollari e sul tavolo del “governo di transizione” si accumulano i problemi, come quelli di fazioni borghesi fortemente “compromesse” in affari col precedente regime; come un soffocante apparato burocratico, un Pil dai margini ristretti, e cosi via.

I militari sembrano al momento dominare il tutto, con una gerarchia e un apparato che ha fatto man bassa nella montagna di aiuti ricevuti dagli Usa, fino ad investire in attività economiche che consentono agli alti gradi dell’esercito e ai loro manutengoli uno stile di vita da nababbi medio-orientali. Ora, proprio alla posizione assunta dall’esercito si deve la cacciata di Mubarak (fra l’altro proveniente anche lui, a suo tempo, dall’esercito) e si può essere certi che le pretese dei militari, qualunque sia il nuovo assetto istituzionale, non si faranno attendere. Visto anche il notevole potere economico di cui godono le gerarchie militari e che gestiscono indipendentemente da ogni controllo.

Il New York Times ha anticipato recentemente una possibile join-venture con la Chrysler di Marchionne, finanziata per scopi militari da Washington e destinata ad assemblare Jeep Wrangler per l’esercito, assieme ad una produzione destinata al mercato.

La “rivoluzione araba” avanza così, a macchia di gattopardo (quello di Tomasi di Lampedusa) con sciacalli e pecore in attesa di farsi avanti, sfruttando le rivolte di masse disperate o addirittura affamate. Quali le prospettive sociali e politiche? Quelle forse di una formale democrazia, borghese e di tipo rappresentativo, la quale dovrebbe prendere il “posto” (letteralmente e praticamente inteso) delle precedenti autocrazie? Di certo siamo ben lontani da un benché minimo passo in avanti verso l’emancipazione proletaria: quella “popolare” la lasciamo volentieri alle aspiranti mosche nocchiere delle manifestazioni in corso, alle quali preme soprattutto un ripristino dell’ordine, economico soprattutto, per un rilancio - certamente mai ammesso ma visto con occhio più che benevolo in funzione anti-americana - del nazionalismo in vesti imperialiste del mondo arabo. E della sua economia capitalistica a tutti gli effetti. Settore finanziario compreso.

DC