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Home ›Lettera aperta dal carcere della Dozza
A proposito dei gravi episodi di repressione di Stato verificatisi recentemente a Bologna, da noi già duramente denunciati , riportiamo nel seguito la lettera di uno dei compagni incarcerati. Ci pare che la lettera, oltre ad essere testimonianza di una grande dignità umana, offra soprattutto una lucida visione dell'attuale situazione politica e sociale, segnata da una profonda crisi di fronte a cui la borghesia sa offrire come prospettive di lungo periodo solo l'aumento brutale dello sfruttamento, la violenza della guerra e della repressione. Riteniamo opportuno aggiungere alle parole del compagno ciò che riportiamo su ogni numero del nostro giornale, ossia che il programma di rivoluzione sociale... "non cadrà dal cielo, ma dall’impegno cosciente di quella sezione della classe lavoratrice che si sforza di cogliere le lezioni delle lotte passate, raggruppandosi a livello internazionale per formare un partito che si batta all’interno dei consigli contro il capitalismo, per il socialismo; non un partito di governo che si sostituisca alla classe, ma un partito di agitazione e di direzione politica sulla base di quel programma. Solo se i settori più avanzati del proletariato si riconosceranno nella direzione politica del partito, il percorso rivoluzionario si metterà sui binari della trasformazione socialista."
Ciao a tutti,
mi chiamo Robert, ho 24 anni ed un lavoro precario che probabilmente non ho più.
Mercoledì 6 aprile sono stato arrestato con l'accusa di "associazione per delinquere" aggravata dalla finalità di "eversione dell'ordine democratico". Da quel giorno sono sottoposto, assieme ad altri quattro amici, a misura cautelare nel carcere di Bologna, misura questa a cui siamo sottoposti in attesa di processo, in quanto presunti promotori e organizzatori di detta "associazione".
Innanzitutto voglio esprimere la mia solidarietà non solo agli altri quattro arrestati ma anche a tutti gli alti inquisiti, molti dei quali ora sottoposti a misure cautelari "minori", quali l'obbligo e il divieto di dimora.
Ciò che voglio innanzitutto sottolineare in questa sede è la strampalaggine del capo accusatorio e dell'inchiesta nel suo insieme, fatto di collegamenti arbitrari, supposizioni senza fondamento e menzogne pure e semplici.
Vero è che dall'età di 20 anni ho dato il mio modesto contributo ad un certo numero di lotte, contributo che rivendico pienamente e che detto en passant, mi è già costato molte denunce e qualche processo; contributo dato in particolare alle lotte contro i centri di identificazione ed espulsione ed in solidarietà agli insorti di Grecia del dicembre 2008, sollevatisi dopo il vile assassinio del quindicenne Alexis Grigoropoulos da parte della polizia. Tali attività mi vengono nuovamente contestate e messe in relazione con quelle di altri individui a dimostrare l'esistenza di una struttura gerarchicamente organizzata con ruoli, programmi e fini ultimi ben definiti; ipotesi, questa, da ritenersi alquanto fantasiosa.
Ben più importante qui, è però inquadrare l'attacco repressivo portato a me e a i miei coimputati, nel contesto più generale dell'odierna società capitalistica, e delle sue attuali tendenze.
Dopo il riflusso del movimento di classe negli anni '80 e la sbornia di pace sociale degli anni '90, le classi dominanti italiane e internazionali si sono dovute rassegnare di fronte ad un'economia ancora una volta in crisi profonda, e ad una ristrutturazione mondiale, realizzata a colpi di delocalizzazione della grande industria, di espulsione del "terziario", di rigonfiamento del capitale finanziario incapace di dominare sulla lunga distanza le contraddizioni del capitalismo.
Ciò si è tradotto a livello sociale in un continuo abbassamento del costo della forza lavoro, dunque nell'attacco al salario diretto, ed a quello indiretto (istruzione, sanità, pensioni) tramite la privatizzazione del settore pubblico e la demolizione dello "stato sociale"; così come negli interventi militari in Iraq e in Afghanistan (ed ora in Libia) finalizzati all'eliminazione dei rentier locali, onde ottenere l'abbassamento dei prezzi di materie prime, quali petrolio e gas.
Nulla di cui stupirsi, il capitalismo si è imposto, globalmente non solo grazie alla forza "pacifica" del commercio, ma anche grazie alle armi e ad immani spargimenti di sangue: colonialismo prima, imperialismo poi, massacri di proletari come quello della comune di Parigi (1871, 40.000 morti), e due guerre mondiali.
Ma questa società prometteva un seguito felice, fatto di pace e prosperità. Ora non promette più nulla.
Il ritornello è "non c'è alternativa". Le economie europee più deboli - Grecia, Irlanda e Portogallo - rimangono a galla grazie ai prestiti della Banca Centrale Europea. Il Maghreb e il Machrek - "cuscinetti" tra la fortezza Europa e i "dannati della Terra" - stanno esplodendo, ed enormi masse umane arduamente salariabili vanno ad aggiungersi ad un già cospicuo esercito di sottoccupati precari ed espulsi "cronici" dal mondo del lavoro (29% di disoccupazione giovanile).
Il rinnovato clima di competizione internazionale sta lentamente smembrando l'UE ed esacerberà la conflittualità - ancora pacifica, ma fino a quando? - tra alleanze intercapitalistiche. Insomma, i borghesi, i loro parlamenti, i loro Stati si stanno incamminando sulla strada della guerra. Una strada che stanno già battendo ai danni di tutti i proletari del mondo, bianchi e colorati, occupati o disoccupati. Una strada che viene battuta quotidianamente e da anni, di cui il "Piano Marchionne" è, qui in Italia, uno degli ultimi esempi, e di fronte alla quale i sindacati confederati e i sindacatini di base sanno rivendicare solo i contentini della cassa-integrazione e degli ammortizzatori sociali, che nega da settembre il salario ai dipendenti della Verlicchi (Zola Predosa) e che impone licenziamenti alla Malaguti di Castel S.Pietro, che condanna, Stato aiutando, gli ex dipendenti di Eutelia a 3 mesi di detenzione convertiti in un'ammenda di 6000 euro ciascuno.
Una strada, è bene ricordarselo, che spinge migliaia di non salariabili a cercare una fonte di reddito nel lavoro nero, nell'economia informale, nella cosiddetta "criminalità", un esercito in costante aumento, di donne e uomini che riempiono le galere (2.000.000 negli USA) per il quale il governo italiano in carica ha dovuto varare un nuovo "piano carceri" da 80.000 nuovi posti "al fresco" e con il quale mi trovo ora a stretto contatto.
Un sistema che ha sempre meno da offrire può reggersi, in un'ultima battuta, sulla propria forza repressiva.
Gli inquirenti ed i media hanno parlato di "estremisti", "anarchici", "bombaroli", "insurrezionalisti".
Quanto a me, l'unica identità che posso rivendicare è quella che unisce la mia sorte a quella di tutti gli altri sfruttati e spossessati di questo mondo, che hanno, oggi non meno di ieri, delle "catene da perdere" e un "mondo da guadagnare", l'identità di chi non può disertare questa guerra quotidiana alle condizioni di lavoro e di vita; l'identità di chi sostiene che non vi sia risoluzione possibile nel quadro dato della società attuale, bensì nel suo possibile superamento; l'identità, infine, di chi sostiene la necessità di una comunità umana sbarazzata dalla divisione della società in classi, liberata dalla schiavitù salariale, in grado di armonizzare la vita della specie umana con quella delle altre specie animali e di un ambiente naturale sempre più logorato dagli appetiti del profitto, e che l'accesso a questa comunità umana non sarà pacifica né indolore, ma avverrà attraverso dure lotte, lotte di classe, nelle quali le classi dominanti faranno uso di qualsiasi mezzo in loro potere per non abbandonare la scena della Storia.
Robert FerroCarcere della Dozza, 12/04/2011
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