Trasparenze e sofferenze finanziarie… ricordando le “regole” di Basilea 3

Per quanto riguarda il controllo privato del settore finanziario mondiale, i banchieri del capitalismo globale sembrerebbero ancora tenere banco: dietro l’araba fenice di una regolarizzazione di pratiche finanziarie a dir poco “spregiudicate”, si è imposta l’esigenza di riversare sul “pubblico” un costo che - come sempre è stato e sempre sarà perdurando questo modo di produzione e questo assetto sociale - ricadrà sul proletariato. Cioè, fra le due classi fondamentali che compongono l’attuale società, borghesia e proletariato, è la seconda che deve obbligatoriamente pagare sia nei processi finanziari che in quelli industriali. In questi ultimi, in particolare, dove già avviene l’estorsione diretta di plusvalore dalla forza-lavoro.

Sarebbero ufficialmente ben 4mila miliardi di dollari gli “aiuti” pubblici che a livello mondiale sono finiti nelle casseforti bancarie. Questo mentre la finanza ha proseguito impassibile, come prima e forse più di prima, a speculare tramite quegli strumentali derivati da molti apertamente definiti di tipo gangsteristico.

Dal 15 settembre 2008, in un vortice assordante di bla-bla-bla che gli “esperti” non ci hanno risparmiato attorno a una crisi che ha lontane origini e luoghi di provenienza differenti, i dati di fatto sono gli utili che il sistema bancario ha ripreso ad incamerare o si appresta a fare, di nuovo trattando e manovrando il volume dei prodotti di finanza derivata. Anche qui si valuta una cifra pari ad oltre 4mila mld di euro, in parte ”gestiti” nei bilanci delle varie banche. (Il volume della finanza derivata è ancora stimato superiore di 10/20 volte il Pil mondiale.) La fanno da padroni, per così dire, i Cds (Credit default swap), specie di contratti assicurativi che fanno guadagni sulle… disgrazie altrui scommettendo sui dissesti finanziari di Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna (e sulle rilevanti riduzioni di salari e pensioni ai proletari di quei paesi!).

Ma tornando indietro di qualche anno, non si diceva forse che norme e regole introdotte con gli accordi di Basilea 3, in Europa, avrebbero sotterrato definitivamente le manovre su quei titoli tossici che stavano sommergendo l’intero sistema finanziario? Se, come sopra già detto, guardiamo ai Cds e agli Otc (Over the counter, prodotti "venduti a banco" e in realtà transazioni tra privati che di fatto sfuggono alle autorità di vigilanza) o ai misteriosi - ma poi non tanto! - proliferare di paradisi fiscali sparsi qua e là nel mondo, ecco che anche un cieco si avvede che il “movimento” ha seguito ben altri percorsi. E nonostante tutto ciò, Bankitalia stima in almeno 40mila mld di euro le necessarie iniezioni di denaro per una capitalizzazione delle banche, le quali - secondo un’indagine dell’Università Bocconi - possono già vantare considerevoli aumenti dei costi bancari (il 2,9%) riversati sulla clientela. Con in più lo spettro della implosione del debito sovrano di Stati come Grecia e Irlanda, in special modo quando le stesse banche tedesche sono in possesso di notevoli quantità di titoli greci e irlandesi…

Chi nutriva l’illusione che le banche si accollassero i costi di una riduzione accentuata della finanziarizzazione della economia (per inciso, senza questa finanziarizzazione il capitalismo non starebbe in piedi), è servito: alla fine la montagna ha partorito il topolino con una promessa (in un percorso che per l’appunto Basilea 3 avrebbe fissato in dieci anni) di un aumento dei capitali minimi che le banche dovrebbero possedere per affrontare ogni rischio dovuto - sempre nei limiti di questo dominante sistema - alla scarsa liquidità e capitalizzazione. E per le banche italiche, quello della capitalizzazione è uno dei grossi e insolubili problemi che le pone in difficoltà rispetto alle medie delle altre banche europee e ostacola una espansione del credito costretto a rispettare i nuovi coefficienti patrimoniali. Almeno formalmente.

A questo punto si ritorna a quelle decisioni che furono varate nella famosa (oggi per lo più dimenticata) riunione di Basilea 3. Una riunione “sofferta” nella quale ci si è ben guardati dal mettere mano ad un ordinamento, per altro impossibile, della enorme quantità di “cattivi” debiti nascosti nei bilanci delle banche, in cui abbondano crediti in sofferenza o addirittura inesigibili. Basti guardare agli Usa, quando i debiti immobiliari hanno dovuto vedersela con un mercato dove i prezzi delle case erano crollati del 30-35%, alla faccia delle “garanzie” dei mutui concessi. Fa poi quantomeno sorridere quella “trasparenza bancaria” e quei “controlli” che fingono di ignorare le transazioni che non entrano nei bilanci, unitamente ai pacchi di derivati smerciati sottobanco. Transazioni che coinvolgono più banche in interconnessioni complesse se non indecifrabili. E con gli stessi apologeti del capitale che non hanno certamente voltato le spalle alla “razionale” constatazione, dal punto di vista della logica del profitto-interesse, che le più pericolose attività (trading finanziario e speculazione sui derivati) offrono “rendimenti” ben più alti del credito alle imprese.

Quanto poi al controllo delle nostrane fondazioni esercitato su molte banche italiane, esso non aiuterà oltretutto i loro aumenti di capitale, che se attuati ridurrebbero la partecipazione delle stesse fondazioni le quali cercano in generale di svolgere un ruolo, quello di banchieri, che contrasta quello ufficialmente sbandierato di occuparsi soltanto di obiettivi sociali nella gestione di un patrimonio pubblico e dei relativi utili. Le stesse fondazioni, pur non avendo debiti, devono incassare i dividendi delle loro partecipazioni nelle banche, entrate in crisi, per poter “aiutare” i territori di riferimento e i poteri locali, sindaci e amministrazioni provinciali. Anche loro quindi chiedono più “redditività” e più crediti. Insomma, tutti vorrebbero la botte piena e la moglie ubriaca ovvero, in questo caso, rafforzare il capitale bancario e aumentare i dividenti quando contraddittoriamente gli utili sono invece scarsi e altrettanto le possibili “erogazioni”.

Precedentemente, fu proprio Basilea 2 (che nel 2007 fu definita “accordo di vigilanza pregiudiziale”) che diede il proprio contributo al successivo dilagare della crisi, mantenendo la sottocapitalizzazione delle banche e consentendo loro attività diverse e quindi inevitabili perdite non assorbibili. Il quadro che allora si dipingeva e si incorniciava manteneva spazi per generosi criteri di possibili rischi degli “attivi” con il perdurare di scarsi controlli, per altro sempre facilmente aggirabili. Con Basilea 3 (settembre 2010) si gettava un bicchiere d’acqua su un incendio che divampava e lasciava terreno bruciato attorno a sé. Alle poche e superficiali “regolamentazioni” si davano poi tempi lunghissimi: entro la fine del 2018 si dovrebbero raccogliere nuovi capitali sia sul mercato sia accantonando utili! Ovvero, le passività liquide (dovute ad attività opportunamente manipolate e oscurate… ) dovranno essere, almeno formalmente, regolate. Quanto ai colossi bancari che dovessero minacciare la chiusura per bancarotta, la soluzione naturalmente non c’è poiché le attività con il maggiore rischio, ma forti miraggi di guadagno, rimangono nel frattempo allettanti e incontrollabili. Al limite, si poteva vedere in qualche regola introdotta a Basilea 3 il tentativo di favorire le banche nel possesso di titoli di Stato - e così infatti sarà - per aiutare gli enormi debiti pubblici in circolazione nell’Europa (e non soltanto). Ad ogni modo, i parametri di capitalizzazione fissati per le banche non hanno destato grandi preoccupazioni: come sopra abbiamo visto, se le perdite non saranno sufficientemente compensate, ci sarà sempre il “pubblico” a pagare. E se - come qualcuno pretenderebbe di far credere - le cose dovessero veramente, in tempi lunghi e almeno in parte, modificarsi con l’introduzione di qualche “vincolo” meno largo per le banche, ecco sorgere il problema di una scarsa redditività (attorno, si dice, al 5% del capitale) e quindi insufficiente ad assicurare il flusso del credito.

Come alla fine è apparso chiaro ai più, i regimi di sottocapitalizzazione che per lungo tempo e in diversi modi furono la norma nei sistemi bancari, hanno anch’essi dato il loro contributo al dispiegarsi della crisi, quantomeno a livello finanziario. Le valutazioni dei rischi degli attivi a compensazione delle perdite furono prerogative lasciate alle stesse banche, logicamente interessate a manipolare conti e cifre.

Avanti, perciò, con il taglio dei costi (del lavoro, innanzitutto) e con lo “studiare” le vie traverse da percorrere per ottenere i più alti rendimenti indispensabili per soddisfare le esigenze degli azionisti e gli interessi sui debiti che reclamano soddisfacenti dividendi. Insomma, in tutti i casi la aggrovigliata matassa di interessi economici e politici non si potrà mai sbrogliare. Tutto questo mentre si attende l’altro miracolo, da sempre invocato, di un rilancio di finanziamenti a credito per tentare di dar vita alla… morente crescita del capitalismo industriale, il vero “produttore” di plusvalore. Sempre, s’intende, sognando elevati livelli di profitto per gli uni e di rendite finanziarie per gli altri.

DC