Sulla “putrescenza, la menzogna e l’ipocrisia del capitalismo”

In una “nota di chiarimento” resa nota da Critica Liberale viene commentata la recente bocciatura del Rendiconto generale dello Stato da parte del Parlamento. In un regime di democrazia liberale la faccenda si presenterebbe gravissima andando ad infrangere ogni rispetto costituzionale. Ed è quindi a tal punto che persino alcune menti liberali (come quelle che stiamo… ascoltando) si chiedono - riconosciamogli pure una dose di rarissima “onestà intellettuale” - :

a che serve tenere aperte le Camere e perché pagare questi mille soggetti ridotti a maggiordomi in livrea. [Meglio allora sarebbe...] che si tirasse l’ultima inevitabile conseguenza: chiudere, subito, irrevocabilmente, il Parlamento.

Insomma, si sarebbe calpestata e ridicolizzata la “democrazia liberale”, dando potere a un “volontarismo sostanzialista”, quello di “un monopolista estraneo alla democrazia liberale” (il Silvio nazionale, aggiungiamo noi) che “giocoforza” viene accostato a un altro

volontarismo, altrettanto estraneo alla democrazia liberale, che viene da lontano, dalle notti concitate dei carri armati in Ungheria.

Segue un ”accorato appello” da parte di questi ultimi indignati sostenitori dello sdrucito ectoplasma che sarebbe la democrazia liberale:

Le Camere approvano ogni anno i bilanci e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo -. Così recita l’articolo 81 della Costituzione. Il rendiconto è l’atto di chiusura del ciclo del bilancio annuale dello Stato, la ratifica delle conseguenze finanziarie dell’attività svolta e la base delle manovre successive. Ed infatti è un documento contabile che non tollera emendamenti: le Camere approvano o no; e se non approvano, le dimissioni del Governo sono doverose. Nell’unico precedente, infatti, Giovanni Goria, nel 1988, salì al Colle e diede le sue dimissioni. Liquidare quanto accaduto come un ‘incidente tecnico’, magari risolvibile votando di nuovo, non è solo un atto di protervia politica e di ignoranza istituzionale: è, proprio tecnicamente, un golpe. Il Parlamento non è un salone di conversazione; un voto parlamentare non è un noioso rituale che si possa ripetere, come un gioco di bimbi. Il garante della Costituzione a questo punto non può non prendere una iniziativa. È in gioco la credibilità delle istituzioni rappresentative, la tenuta di quel poco che resta della democrazia liberale in questo Paese.

11 ottobre 2011

Questo il punto di vista degli ultimi e abbastanza conseguenti democratico-liberali presenti sul suolo italico. Ma se li abbiamo citati, è per l’occasione che ci offrono di ritornare a battere “chiodi” che da tempo, e col martello di un Lenin, andiamo fissando lungo la strada che testardamente percorriamo. E fu proprio Lenin, nel lontano 1918, a rispondere alle tiritere e ai sofismi di un Kautsky che contrapponeva il “metodo democratico” a quello della dittatura del proletariato, instaurato dai bolscevichi in Russia. Sia pure continuando, il Kautsky, a parlare di una strategia in avanzata verso il socialismo…

In realtà Kautsky abbelliva la democrazia borghese trasformandola, progressivamente, in democrazia ”presocialista”, attraverso la “conquista pacifica della maggioranza”. Tutto questo sempre rispettando un regime di “democrazia borghese”, in una società fondata sull’esistenza di classi differenti, anzi contrapposte, dove una sfrutta l’altra, dominandola ideologicamente e politicamente. L’aggettivo “liberale” maschera in definitiva ciò che questa formale democrazia borghese è nella realtà del capitalismo:

strettamente limitata, monca, falsa, ipocrita, un paradiso per i ricchi, una trappola e una frode per gli sfruttati, i poveri.

Lenin

Ed è con lo Stato rappresentativo moderno, quale “organo di sfruttamento del lavoro salariato da parte del capitale” (Engels), che parlare di “libera democrazia” è una pura assurdità, sia nella repubblica democratica che sotto una più aperta e dichiarata dittatura della borghesia. Ed è un fatto innegabile che se la democrazia sembri tutelare le minoranze, ciò vale unicamente per i partiti borghesi del cosiddetto “arco costituzionale”. Per gli “altri” vige un controllo costante attorno ad isolate e ben circoscritte riserve di caccia per la “democratica” sorveglianza...

Possiamo quindi continuare a ripetere - con Lenin - che

la borsa e i banchieri [indicazione più che mai attuale - ndr] tanto più si sottomettono i Parlamenti borghesi quanto più fortemente è sviluppata la democrazia! [... e quindi sottolineare] la limitatezza storica e la contingenzialità del parlamentarismo borghese [...] la più stridente contraddizione tra l’uguaglianza formale, proclamata dalla democrazia dei capitalisti, e le infinite restrizioni e complicazioni reali, che fanno dei proletari degli schiavi salariati.

La democrazia proletaria, realizzabile unicamente con la dichiarata dittatura del proletariato, sarà effettivamente tale per i poveri; non sarà una democrazia per i ricchi,

come è in realtà ogni democrazia borghese, anche la migliore.

Lenin

E così sarà quando finalmente gli sfruttati e i diseredati del mondo intero si libereranno dalla illusione che, in un regime democratico di suffragio universale, basterebbe mettere in minoranza imprenditori, banchieri e la loro corte di faccendieri e servitori, perché gli stessi si rassegnino pacificamente alla “volontà popolare” e accettino la distribuzione egualitaria delle loro ricchezze, cambiando “metodi di governo” e “modelli di sviluppo”. Sempre con un mercato solidale e un capitale razionalizzato…

DC