L'accordo sull'eurozona e l'isolamento della borghesia britannica non è affare della classe operaia

Il 9 dicembre scorso ricorrevano i 20 anni dalla firma dell'accordo di Maastricht, che alla fine ha spianato la strada alla moneta unica. Stavamo già discutendo della ri-pubblicazione del testo “Maastricht - Un battibecco tra capitalisti”, apparso su WorkersVoice n. 63 (seconda serie) del novembre-dicembre 1992, appena prima delle ultime novità da Bruxelles, per ricordare quali fossero le questioni in ballo per i lavoratori, a quel tempo. Infatti le questioni principali restano le stesse ancora oggi.

Ad un certo livello, il progetto europeo è parte della lotta globale per la concorrenza tra interessi imperialisti, ma ad un altro livello è una lotta tra i padroni su quale sia il modo di sfruttarci meglio. La sola differenza tra oggi e allora è che vent'anni fa la speculazione finanziaria stava ancora muovendo i suoi primi passi (si notino nell'articolo che segue i riferimenti ai movimenti di capitali verso il mercato immobiliare Usa!), mentre oggi la crisi si è pesantemente aggravata.

Per i lavoratori, dentro o fuori la zona euro, il problema è lo stesso, ossia: fino a che punto siamo disposti ad accettare i pacchetti di misure di austerità che ogni governo (dentro e fuori la zona euro) sta infliggendo a noi.

In Gran Bretagna la destra conservatrice sta salutando come una propria vittoria il rifiuto di Cameron di aderire al nuovo accordo, prologo all'uscita della Gran Bretagna dalla UE. Vorrebbe riportare in patria, a Westminster, tutto il potere decisionale, in modo da evitare che Bruxelles introduca misure a protezione delle condizioni di lavoro (come la direttiva sull'orario di lavoro). In breve, vogliono aumentare il nostro sfruttamento.

Ma, di certo, i nostri fratelli e sorelle sul continente europeo non hanno vissuto in un paradiso negli ultmi 30 anni. I lavoratori tedeschi hanno sperimentato 10 anni di workfare tramite il programma Harz IV (introdotto dall'ultimo cancelliere socialdemocratico, Schroeder). Questo non è servito a molto per ridurre la disoccupazione, mentre invece ha ridotto i livelli salariali di tutti i lavoratori. In Italia tutti i vecchi diritti come la scala mobile dei salari (un meccanismo automatico di recupero, almeno parziale, dell'inflazione), il prepensionamento ecc., sono scomparsi mentre il potere d'acquisto è declinato significativamente. Lo stesso dicasi per ogni altro paese europeo. E per la destra conservatrice britannica potrebbe essere troppo presto per festeggiare.

In realtà la classe dominante britannica è nella stessa condizione di 20 anni fa. La deliberata e calcolata distruzione dell'allora base manifatturiera dell'economia britannica, ad opera della Thacher, per sconfiggere la conflittualità di classe che si opponeva al pagamento della crisi capitalistica, significa che oggi il Regno Unito basa la propria crescita in stragrande parte sul settore finanziario. Oggi il 10% del PIL del Regno Unito proviene dalla città di Londra, contro l'8% dalla produzione industriale. Da “bottega del mondo” a “monte di pietà” dello stesso in meno di secolo!

Cameron è andato a Bruxelles per chiedere protezione per la “città di Londra” in cambio del sostegno ad un trattato più vincolante per la zona euro. C'è da dire (anche se è di scarso interesse per la classe operaia) che la sua era pura immaginazione. Le sue richieste non erano grandi, ma erano tecniche e complesse, e nessun documento era stato presentato ai suoi pari per dimostrare che la “città di Londra” sarebbe stata utile a ricapitalizzare la zona euro. La sua richiesta è quindi caduta nel vuoto e lui è stato costretto a rifiutare di aderire al nuovo trattato assieme agli altri 26 Stati. È stata una sconfitta per la politica britannica così come perseguita fin dai tempi di Maastricht, ossia spingere costantemente verso l'allargamento dell'Unione Europea, in modo da fermare il tentativo dei più entusiasti di rafforzarla e centralizzarla. Ma questa volta nessun nuovo membro dell'Europa orientale si è allineato al Regno Unito. Tutti sono concentrati sul salvataggio dell'Euro e gli inglesi sono stati ritenuti irrilevanti.

Il risultato potrebbe essere che Cameron ha salvato la “City” dalla regolamentazione di Bruxelles, ma al prezzo di spingere Bruxelles ad assicurarsi che la stessa City non sia più il centro finanziario dell'eurozona. E va ricordato che la City è sempre stata vista come nevralgica dagli investitori extra-europei proprio per i suoi legami con l'UE. Questo nuovo trattato colpirà probabilmente per primoil settore manifatturiero britannico, ma non tarderà ad estendersi in breve tempo anche a quello finanziario.

Ma l'ultimo accordo di Bruxelles non risolve certo tutti i problemi. Gli accordi di “Merkozy” non affrontano la sostanza della crisi dei debiti. La BCE ha rifiutato di agire come prestatore di ultima istanza per i governi (solo per le banche centrali degli stati europei) e le “nuove” norme sul pareggio di bilancio sono semplicemente le stesse, riscritte con l'aggiunta di sanzioni automatiche per gli Stati che spendono più del loro budget. Ma questa era la situazione idealmente già in essere, e i due Stati ad aver sforato per più del 3% il proprio budget furono... Francia e Germania. Resta da vedere se questo nuovo accordo saprà essere più incisivo del precedente.

Nel frattempo l'unica politica su cui tutti si sono trovati d'accordo (e che non rappresenta una soluzione) per affrontare la crisi è quella di peggiorare sempre di più le nostre condizioni di vita. La nostra conclusione originale di 20 anni fa è oggi ancora più vera che allora...

Maastricht - Un battibecco tra capitalisti

Dodici mesi fa la classe dirigente stava tranquillamente prevedendo l'impossibile... La visione offerta era di una Europa capitalistica unita, in cui i governi concorrenti di ogni nazione avrebbero abbandonato le loro differenze e realizzato un'utopia di progresso e prosperità.

I marxisti chiaramente intuivano due cose che i governanti europei preferivano ignorare. In primo luogo, l'idea che le classi dirigenti di 12 diversi stati-nazione potessero abbandonare i propri contrapposti interessi e stabilire una vera unità economica e politica era priva di senso. In secondo luogo, la profondità e l'ampiezza della recessione economica rendevano la promessa di prosperità per i lavoratori all'interno di un Europa capitalista un inganno totale.

Il collasso del Trattato di Maastricht

Dopo l'asta al ribasso dei padroni, a Maastricht, gli eventi hanno dato ragione ancora una volta all'analisi marxista. I capitalisti di tutti i Paesi europei hanno spinto verso l'alto la disoccupazione e hanno fatto ingoiare ai lavoratori la distruzione delle protezioni sociali. Nel frattempo la loro tanto decantata unità economica è crollata.

Al posto dell'Europa dei 12 abbiamo ora un blocco politico-economico-militare basato sulla forza relativa del Marco tedesco. Già le valute di Belgio, Olanda e Austria (insieme alle neonate “democratiche” Slovenia e Croazia) sono strettamente legate al Marco. Contemporaneamente le convulsioni monetarie hanno lasciato il Franco francese strettamente legato anch'esso al Marco – in perfetta simbiosi con le manovre militari congiunte tra i due paesi. Lo spettro di una Grande Germania è tornato a tormentare il mondo.

La borghesia britannica è divisa

La borghesia inglese è ben consapevole della sua debolezza, di fronte all'imperialismo tedesco che ricomincia ad estendersi passo a passo in Europa. Solo uno o due anni fa vantava che la sua economia stesse surclassando quella tedesca, in sofferenza per essersi presa in carico il fardello della Germania dell'Est, con i suoi 45 anni di decadenza e stagnazione stalinista.

Il crollo della Sterlina ha mandato in frantumi questa illusione. E contemporaneamente ha portato alla luce le spaccature presenti nella classe dirigente britannica. In linea generale, il mercato principale dell'industria manifatturiera inglese (o di quel che ne resta) è l'Europa, per cui c'è necessità vitale di mantenere stretti legami con essa. Questa è la fazione guidata da Heseltine. L'altra fazione, guidata da Thatcher e Tebbit, guarda ancora al vecchio alleato politico e militare, ossia gli Stati Uniti. Sono stati pro-UE fino a quando lo sono stati gli USA. Ma con la fine della Guerra Fredda e con un enorme deficit di bilancio, gli Stati Uniti sono diventati ostili ad un possibile rivale in Europa.

In termini economici, il thatcherismo era per la deregolamentazione delle istituzioni finanziarie inglesi, al fine di attrarre gli enormi flussi di capitali delle banche offshore (di cui approfittavano grndemente Paesi come le isole Cayman ed il Liechentstein). I capitali avrebbero dovuto quindi prendere la strada di Londra e farne il centro della finanza mondiale. Tuttavia i capitali - a seguito di tassi di profitto del settore manifatturiero inglese troppo bassi per renderne appetitosa la ricapitalizzazione - hanno abbandonato anche Londra, principalmente alla volta degli Usa e della speculazione nel suo mercato immobiliare. Ma gli europei con le loro regole bancarie vecchio stampo non hanno deregolamentato allo stesso modo a Parigi, Francoforte, o Milano così gli inglesi non hanno riscosso il “premio” che si aspettavano dalla distruzione del loro settore manifatturiero.

Questo è il retroterra che ha preparato la rivolta dei Tories, che già parlano di combattere nuove battaglie di El-Alamein e Dresda. Queste divisioni sono presenti in tutti i partiti politici britannici e sono anche allo stesso tempo un ottimo diversivo per distogliere l'attenzione dagli attacchi politici ed economici alla classe lavoratrice.

Maastricht non è un problema della classe lavoratrice

La semplice verità è che qualunque sia la forma d'Europa, unita, federale o l'esistente

guazzabuglio di stati-nazione, essa può offrire ai lavoratori solo miseria crescente. I lavoratori non devono farsi coinvolgere in dibattiti tra capitalisti su come gestire il loro sistema marcio e decadente.

Chi - come i trozkisti, gli stalinisti od i maoisti - tenta di convincere i lavoratori a partecipare al “grande dibattito” su Maastricht è solo degno di disprezzo.

Quando i parlamentari parlano e portano avanti le loro campagne fanno solo gli interessi di quei settori della classe dominante che tirano le fila del gioco (ed i cordoni della borsa). Con le litanie agonizzanti sui referendum, sul futuro di questo o quel politicante, si assicurano di bombardarci continuamente con la loro propaganda irrilevante ed interminabile sulle pezze da applicare al loro agonizzante sistema.

I lavoratori non devono farsi intrappolare in questa palude

Mandiamo a quel paese il “grande dibattito”

Per un mondo comunista - non per la miseria capitalista

KT, CWO