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Home ›Il “Bel Paese” tra crisi, sacrifici e finte opposizioni
Negli ultimi anni molte volte abbiamo sentito, da bocche borghesi, dichiarazioni di ottimismo rispetto alla possibilità di uscire dalla crisi economica. La situazione reale in Italia – ma non solo – indica però tutta un’altra direzione. L’economia è in piena crisi, altro che peggio alle spalle.
Facciamo un passo indietro, richiamando un dato, certamente di non poco conto, diffuso a marzo dall’ISTAT: l’Italia è in “recessione tecnica”. Il prodotto interno lordo infatti è tornato ad essere negativo per due trimestri consecutivi. Secondo l’ISTAT il calo del PIL nell’ultimo trimestre 2011 è stato dello 0,7% rispetto al trimestre precedente e dello 0,4% rispetto al quarto trimestre 2010, complessivamente la crescita (si fa per dire…) annua dell’Italia è stata dello 0,5% per il 2011. Non è tecnica ma reale la recessione per l'industria metalmeccanica ha sottolineato Federmeccanica. Il settore dell’industria – che dovrebbe essere il motore dell’economia reale – infatti ha registrato una deflessione nell’ultimo trimestre 2011 del 1,7%. La stessa Federmeccanica prevede una contrazione della produzione anche per la prima metà del 2012, di conseguenza il 21% delle imprese dichiara la “necessità” di ridurre il livello occupazionale entro la prima metà di questo anno. Le imprese metalmeccaniche con oltre 500 addetti hanno già ridotto gli addetti dell'1,2% lo scorso anno.
Secondo diversi analisti, sulla flessione congiunturale dell’ultimo trimestre 2011 ha pesato molto la crisi del debito sovrano e quindi, in particolare, gli ostacoli incontrati dai prodotti finanziari di Stato (dai titoli di Stato). Non a caso uno dei primi compiti del governo Monti è stato proprio l’abbattimento dello ormai famoso spread.
Il quadro economico sopra descritto – relativo alla seconda metà dello scorso anno – ci fa ben comprendere le ragioni della “strana” nascita del governo Monti, avvenuta – non a caso – proprio durante questo periodo catastrofico per il capitalismo italico. Strana perché, ricordiamolo, il governo Berlusconi “democraticamente eletto” si è semplicemente fatto da parte, non è andato mai tecnicamente in crisi. Il governo Monti, che lo ha sostituito, inoltre, è stato dal primo momento fortemente sostenuto dalla vecchia maggioranza. Una procedura certamente poco usuale dettata, appunto, dalla necessità della borghesia Italiana di far fronte ad una situazione estremamente instabile.
Recessione tecnica alle spalle, le previsioni per il 2012 sono anche peggiori. A confermare che il cuore della crisi è l’economia reale sono i dati diffusi ad aprile dal Centro studi della Confindustria: nel primo trimestre 2012 l’attività' industriale è ancora in calo: –2,3% congiunturale, le prospettive sono incerte. Confindustria rileva che ad oggi l’attività industriale ha una distanza di –22,1% rispetto al periodo pre-crisi (ovvero, rispetto all’aprile 2008). Stima del PIL per il 2012: –1,6 % (!).
Solo con i sacrifici e le riforme strutturali l’economia riprenderà a crescere e la crisi potrà essere superata. “Riforme strutturali” e “sacrifici”, le ricetta è da anni sempre la stessa anche se ogni volta ci viene presentata come una novità (!). Ai vecchi sacrifici si vanno volta per volta ad aggiungere quelli “nuovi”. Nonostante pensioni e mercato del lavoro negli ultimi anni abbiano subito riforme su riforme c’è sempre una “nuova” e “indispensabile” riforma strutturale da fare. Ma l’aspetto più tragico per il proletariato è che nonostante questa crescente mole di sacrifici, riforme, rinunce, precarietà… la crisi economica continua ad avanzare e le prospettive sono sempre più nere.
L’ultimo Bollettino di Bankitalia è abbastanza chiaro: il tasso di disoccupazione sale al 9,6%, senza contare coloro che hanno rinunciato a cercare lavoro e che quindi non rientrano nell’analisi statistica. Nei giovani, tra i 15 e i 34 anni, si tocca quasi il 18%. Per quanto riguarda lo “stile di vita” delle famiglie la loro “capacità di spesa” negli ultimi tre anni è diminuita del 5%. Ma questa è la media generale: togliete i risparmi in crescita delle “famiglie” borghesi e le cifre cambiano in peggio! Sulla spesa delle famiglie "ha inciso nel 2011 l'ulteriore riduzione del reddito disponibile reale”. Il tasso di risparmio diminuisce per le famiglie proletarie, ma non certo per quelle di stampo borghese… vedi i precari con 800 euro al mese che affollano le sedi bancarie per depositare i loro cospicui “redditi”… mentre ufficialmente ci informano che il 10% delle famiglie più ricche possiede circa il 45% della ricchezza nazionale totale. Nel contempo, al di sotto dell’1,5% del Pil è in Italia da più di un decennio (e addirittura in progressiva diminuzione) la spesa pubblica per le politiche del lavoro (attive e passive). Politiche dalle quali sono pressoché escluse le giovani generazioni, uomini e donne fra i 20 e i 30 anni.
Ritorniamo quindi al governo tecnico e alla fondamentale funzione – per la borghesia – che questo è chiamato a svolgere. Come abbiamo già descritto in altre occasioni, sostanzialmente i provvedimenti del governo hanno mirato ad: rianimare il mercato dei titoli di Stato per finanziare il debito, colpire ulteriormente le condizioni proletarie attraverso l’ennesima riforma del mercato del lavoro e delle pensioni, favorire i grossi capitali colpendo anche il ceto medio. Il grosso del conto, come sempre, è stato presentato al proletariato. Un dato che però non possiamo non sottolineare è la poca reattività – per non dire nulla – rispetto questa ennesima batosta. Non sarà certamente l’unico fattore ma su tale passività è andato a pesare anche il giochino del governo tecnico, che sembra proprio studiato a tavolino della borghesia italiana. Il carattere formalmente “tecnico” del governo ha permesso ai principali partiti borghesi – che controllano ancora nettamente la maggioranza della popolazione – da un lato di portare avanti la loro azione di servizio al capitale ma dall’altra di salvarsi la faccia e di contribuire così alla gestione del conflitto sociale. A completare il quadro – si tratta di un perfetto gioco delle parti – ci pensano le forze radicali, politiche e sindacali, con le loro finte contrapposizioni. Al di là infatti di dichiarazioni formali, sfilate di piazza e rituali finti scioperi, nella sostanza – così come in passato – tutto passerà, senza una reale contrapposizione. Istituzionalizzare la rabbia è una funzione vitale per la tenuta del capitalismo. Ed è questo il ruolo svolto dalle diverse forze di opposizione, dalla Lega alla Fiom, passando per Idv e Beppe Grillo. Si alza la voce, ci si richiama alla Costituzione e al principio dell’equità, si indicono – sotto il ricatto padronale – referendum in fabbrica, si proclamano scioperi fasulli, che non colpiscono il padrone ma servono solo alle strutture sindacali per mostrarsi vive… Intanto tutto passa, la produzione non viene mai seriamente colpita, il meccanismo di sfruttamento – il capitalismo – mai sostanzialmente messo in discussione. I padroni ringraziano e proseguono senza ostacoli per la loro strada…
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