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Home ›Le lotte della logistica e il nostro intervento
Le lotte degli operai della logistica, quasi tutti immigrati, sono approdate da un anno a questa parte nella provincia di Bologna e hanno visto come protagonisti attivi nei picchetti non solo i facchini, ma anche molti sostenitori, militanti e lavoratori di diverse aree politiche e di diversi settori, nonché all’inizio solo marginalmente il Si Cobas, giunto in Emilia grazie al passaparola tra i facchini sulle lotte dei loro colleghi (spesso anche connazionali) nei magazzini di Lombardia, Veneto e Piacenza.
Da quelle parti già da quattro anni i facchini hanno iniziato a reclamare con forza garanzie e condizioni salariali e di lavoro più decenti, in un settore dove a farla da padroni sono le cooperative che con un sistema di appalti e subappalti gestiscono e sfruttano migliaia di lavoratori, con modalità mafiose, oltre che l’avallo e collaborazione di diversi sindacati, a cominciare ovviamente dai confederali.
È così che a novembre 2012 ad Anzola, Coop Adriatica (il padrone "rosso" dell’Emilia) ha modo di confrontarsi con la determinazione di una piccola fetta di questi lavoratori e di chi li supporta. All’epoca il SiCobas, che successivamente ha spinto per l’allargamento della mobilitazione dei facchini nel territorio bolognese, non era presente in loco; anche noi non avevamo contatti con i facchini e li abbiamo cercati e ci siamo confrontati direttamente. Eravamo con loro quando abbiamo deciso di portare avanti lo sciopero e il picchetto per quattro giorni, fino allo scontro con le forze dell’ordine, utilizzate quasi come guardie private dalle potenti e politicamente molto influenti cooperative emiliane.
La determinazione dei facchini che abbiamo conosciuto, con cui abbiamo discusso e fraternizzato, ci ha spinti a vigilare affinché la direzione della lotta fosse sempre nelle loro mani, ovvero affinché non arrivassero politici e sindacalisti a spegnere la lotta stessa, a dividere i lavoratori e a radicare le loro solite illusioni istituzionali o radical-riformiste. Abbiamo lavorato politicamente perché anche il SiCobas stesso non riuscisse a riprodurre le stesse logiche ovvero decidere al posto dei lavoratori le modalità delle lotte, avendo come obiettivo non l’efficacia della lotta stessa, ma solo il rafforzamento della propria struttura; come così poi di fatto è avvenuto con la firma dell’accordo alla Granarolo.
Anche se con difficoltà, il rapporto che si era instaurato tra noi e gli operai ci ha permesso di sostenere una forma di sciopero molto dura, una vera e propria sfida ai padroni che in Emilia non hanno rivali nei settori chiave della logistica e del commercio.
Non siamo alla fine riusciti a frenare la deriva sindacalista, inevitabile senza una radicata ed organizzata presenza rivoluzionaria tra i lavoratori. Sull’accordo alla Granarolo ritorniamo in un altro articolo, presente su questo stesso numero del giornale. Intanto ricordiamo che lo stesso Aldo Milani, il quale ha accettato l’accordo, ammette che a Granarolo, teatro dell’altro forte sciopero sul fronte bolognese della logistica, a luglio si è firmato un pessimo accordo, in cui solo 23 dei 51 licenziati e cassintegrati iniziali sono stati ricollocati (i 23, assunti peraltro da Coop diverse, sono ancora in bilico e non sanno né dove né quando saranno ricollocati). È lo stesso Milani ad affermare che la lotta ad Anzola in Coop Adriatica “è stata condotta male da parte nostra, senza alcuna organizzazione” e si è infatti conclusa con 16 sospensioni-licenziamenti e la fine delle ostilità a maggio tra operai e padroni, nel cuore di Lega Coop, a Coop Adriatica dove tutto era cominciato. Adoperando un linguaggio che ricalca pari pari quello dei confederali, Milani conclude: “Siamo stati costretti a firmare”, per non perdere il tavolo delle trattative. Ulteriore dimostrazione di come il sindacalismo, per quanto radicale, non vada mai oltre le compatibilità del regime capitalistico. Premesso ciò, noi abbiamo sostenuto con i facchini la necessità di una cassa di resistenza per aiutare i licenziati a seguito delle lotte e per sostenere le spese legali di chi supporta i picchetti e viene denunciato. Questa necessità non può essere negata da nessuno e doveva essere tra le priorità iniziali di questi scioperi. In una fase di crisi come questa, scioperi così duri hanno la possibilità di reggere, e quindi magari fungere da esempio ed essere replicati, nella logistica come in altri settori, solo se hanno l’ossigeno necessario. Noi crediamo però che debbano essere i lavoratori stessi a dare vita a questa cassa, che debbano essere loro a decidere e controllare come usare il fondo, così come dovrebbe essere totalmente loro - e non le strutture sindacali - il controllo e la direzione delle lotte, cosa che attualmente non è. Siamo consapevoli, però, che non è un passo facile, che richiede un livello di coscienza politica che solo la presenza dei rivoluzionari può assicurare.
Infatti, nonostante la determinazione e il coraggio dimostrato nelle lotte da questi facchini, sopravvive ancora la logica della delega sindacale. È solo per questo che, a dispetto del comportamento del SiCobas, ancora molti facchini combattivi dei magazzini della logistica di Bologna e provincia stanno con questo sindacato e aspettano che siano i sindacalisti a sbrogliare i nodi della matassa. Ci sono, è vero, molti facchini delusi ad Anzola e Granarolo, ma l’eco delle loro lotte è arrivato forte in città.
L’autunno che viene sarà il primo serio banco di prova per questi lavoratori e anche per noi che vorremmo che queste lotte fossero una scintilla per tutta la classe operaia. Per iniziare ad incendiare il deserto di disoccupazione, cassintegrazioni e supersfruttamento in cui i padroni di ogni specie hanno gettato tutti quanti noi, per accollarci la crisi del loro sistema.
A noi non interessa se il SiCobas, in quanto tale, si rafforza o si indebolisce, ci interessa combattere politicamente l’illusione sindacale a 360 gradi. Ci interessa che siano i facchini ad avere il controllo sull’inizio e fine degli scioperi, che siano le loro assemblee a decidere come destinare i fondi per sostenere le lotte e le conseguenze. A noi importa che chi si scontra con i padroni abbia gli occhi aperti su ciò che sta facendo, conosca i rischi e si attrezzi per fare fronte al contrattacco padronale. Questo non perché crediamo che l’organizzazione di lotte che superano le strutture sindacali rappresenti la panacea di tutti i mali, non ci facciamo illusioni, ma anche perché così i lavoratori iniziano veramente a diventare protagonisti nello scontro di classe, a cominciare a credere nella propria forza. Anche se pensiamo che ciò non basti, riteniamo tuttavia che questa consapevolezza sia indispensabile, il primo passo verso la rottura degli schemi ideologici sindacal-borghesi, e staremo al fianco di ogni lotta dei facchini sul nostro territorio con il preciso intento di spingerli il più possibile ad organizzare le proprie lotte in modo indipendente dai sindacati.
Dobbiamo tenere alta la critica politica verso le strutture sindacali, il loro riformismo, verso l’illusione di un “sindacato alternativo” e al contempo mettere in guardia i lavoratori dai limiti entro i quali le lotte rivendicative comunque si muoveranno: dobbiamo difendere con forza ma con la consapevolezza che lotta dura non significa vittoria certa, e qualsiasi vittoria può essere scaricata poi sul proletariato stesso.
Contemporaneamente, indichiamo quindi ai facchini, a tutti i lavoratori attenti e combattivi, la necessità impellente non di un’organizzazione sindacale, bensì di un’organizzazione politica: il Partito rivoluzionario. Non può che porsi come obiettivo finale il superamento di questo sistema che dimostra di essere deleterio da ogni punto di vista. Per i proletari le condizioni di lavoro peggiorano sempre di più, i soldi non bastano mai e le devastazioni ambientali e le guerre sono l’unico modo che il capitalismo ha di rigenerarsi. Il nostro pianeta esplode in ogni dove delle contraddizioni di questo sistema. Un sistema in cui per il profitto di pochi stiamo arrivando all’autodistruzione umana e planetaria. Come internazionalisti, dunque, ricopriremo il nostro ruolo di supporto e critica politica alle lotte proletarie che, come quelle dei facchini della logistica, cominciano a intraprendere, anche se in modo confuso, la strada maestra della lotta di classe, fuori dalle gabbie di qualunque sindacato.
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