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Home ›E la “stabilità” passa e va…
Macroeconomicamente chiacchierando, e nonostante qualcuno abbia visioni notturne di lumini accesi in fondo al tunnel della crisi (un pozzo nero pieno di liquami putrescenti), la situazione sociale e produttiva del "sistema Italia" si fa pesante, e drammatica per il proletariato. Siamo al secondo anno di austerità dichiarata (forse che precedentemente il proletariato se la spassava?) e mentre il debito pubblico ha superato la soglia dei 2.000 miliardi di euro, l’assillo dominante per il capitale rimane quello di un rilancio della domanda e del consumo di merci, senza il quale si affonda... Non solo in Italia, s'intende.
Per aprire la valvola di questa indispensabile bombola d’ossigeno per il capitalismo (produrre merci, venderle e accumulare plusvalore), si parla di necessari investimenti a lungo periodo, tali da portare ad ulteriori sviluppi sia quantitativi che qualitativi della produzione di merci. Il tutto infiocchettato dalla promessa dell'avvento di una “sostenibilità economica e sociale” garante del comune interesse…
L’intellighenzia borghese, fra le più illuminate e progressiste, si consuma nello spacciare proposte (se mai fossero accettate dal “consenso popolare” attraverso il voto di libere e democratiche elezioni!) del tipo: una patrimoniale (non troppo alta...), una "giusta" tassazione sui capitali scudati e sulle transazioni finanziarie, il blocco delle grandi opere inutili, eccetera. I più "radicali" reclamano anche un taglio delle spese militari (qui una “riforma” si impone per rendere più agile ed efficace la "difesa" del patrio suolo!), qualche finanziamento a scuole, sanità private e Centri di identificazione ed espulsione. Sempre con un occhio vigile sui pericoli che incombono riguardo alla “tenuta democratica della nostra società”, che reclamerebbe “una Politica alta, nutrita di concetti alti”, tali da far crescere il mercato...
Ecco perché - per una crescita positiva, cioè "produttrice" di plusvalore - le tasse sui redditi d'impresa andrebbero alleggerite e si richiederebbero risorse economiche a migliaia e migliaia di miliardi da investire nei settori produttivi di quel adeguato profitto.
La “sinistra” borghese, dai riformisti più tradizionali a molti cosiddetti antagonisti (sì, ma costituzionali, democratici e legalitari!) annaspa attorno al capezzale del grande ammalato, il capitalismo. Qua e là si propongono piccole varianti al gioco delle tre carte con un solo fine: diffondere l’illusione che si possa rendere il capitalismo più umano e morigerato. Ma basta un attimo di riflessione critica per rendersi conto dell’aria fritta e rifritta che circola, ormai irrespirabile sia nelle stanze del potere che in quelle delle opposizioni, extraparlamentari comprese.
Basta con gli eccessi dei mercati finanziari, blaterano le sirene del capitale: il mercato deve essere quello delle merci e non della moneta, anche se di questa – e non manca occasione perchè la borghesia ce lo ricordi, deridendo le utopie dei comunisti – non si potrà mai fare a meno. Altrimenti quali ricchezze si accumulerebbero nelle casseforti dei più meritevoli e fortunati cittadini?
Dunque, si aumenti la quantità delle merci prodotte da un lavoro salariato adeguatamente sfruttato dal capitale: in proprietà privata o statale è il capitale che possiede i mezzi di produzione e che per forza di cose – la competitività esiste o no? – deve pur abbassare i costi del lavoro. Per questo si riduce l’impiego di forza-lavoro sostituendola con macchine ad alta tecnologia. Per poi sprofondare nel pozzo della crisi poiché, gira e rigira, le macchine non producono plusvalore e i proletari, sempre più disoccupati al seguito delle innovative applicazioni tecnologico-scientifiche, non acquistano merci...
Il guaio è che quel plusvalore non lo può produrre neppure la finanza, anche se però questa servirebbe - ci raccontano - per dare respiro e slancio all’economia. Ma ci vorrebbe - proseguono illudendo il... popolo - una finanza pulita, etica (?), che non sia un “potere illegittimo” (questo "eccesso negativo" sarebbe per loro la vera causa di crisi…) e si inserisca in una “prospettiva d’insieme, teorica e politica” basata su diritti e patti sociali nei vari paesi, equilibri e alleanze internazionali fra i briganti imperialisti. Senza trascurare i legittimi poteri economici, purché non siano “dannosi e umanamente aberranti”…
Che fare? D'altra parte, l’attuale sistema economico, con qualche modifica e correzione, dovrebbe pur sempre andare avanti verso il mitico traguardo del benessere per tutti i “cittadini”, eliminando le eccessive disuguaglianze (che a lungo andare potrebbero diventare pericolose dando spazio a qualche “idea” magari eversiva!), assicurando lavoro “salariato” per i proletari (cioè per quanti non hanno la fortuna di percepire altri redditi…) e dando un “giusto profitto” al capitale produttivamente investito. Questo offre in prospettiva il "pensiero unico" e quindi si faccia accettare al suddetto proletariato l’idea che possa essere sufficiente il convertire al “bene comune” (con pratiche democratiche, secondo le attuali regole borghesi) chi direttamente o indirettamente gestisce il potere dominante. Potere col quale il capitale imprigiona l’attuale società in una condizione ormai vicina alla barbarie. Di conseguenza, si ritorna ad invocare la crescita, al limite sostenibile.
Il Parlamento dovrebbe intervenire, si blatera; a condizione che non si facciano interventi che, direttamente o indirettamente, possano avere effetti recessivi su produzione(di plusvalore) e domanda (di merci). I più qualificati apprendisti stregoni avrebbero individuato la causa che impedisce lo sviluppo del nostro Paese: il peso eccessivo di tassazioni che frenerebbero, anziché stimolare, la produzione del… reddito. E visto che i salari diminuiscono, occorrerebbe ridurre un poco il cuneo fiscale a carico di lavoratori e "molto" soprattutto quello delle imprese per rilanciare - si spera - la domanda interna di merci e ridare competitività alle aziende riducendo i loro costi di produzione. A scapito del Welfare ormai scomparso.
Dietro le illusioni da decenni alimentate al seguito di ipotetiche riduzioni del cuneo fiscale, si sbandiera una riforma della tassazione sulla casa, consentendo poi ai Comuni di affondare le mani nelle tasche di tutti gli altri "cittadini". Crescono le emergenze sociali del paese e rimane nel fondo del cassetto un'imposta sulle transazioni finanziarie (da notare che al massimo poteva raggiungere 1 miliardo e 400 milioni...). Perplessità generale: ma come si fa a districare i nodi drammatici della crisi: lavoro, diseguaglianze, declino del sistema produttivo, crescente e diffusa povertà nel paese? Dunque, mentre le tasse sui proprietari di casa cambiano sigle (peggiorando per gli inquilini...) si promette una riduzione del cuneo fiscale per i lavoratori (una quindicina di euro al mese); si tamponano le ferite a qualche migliaia di esodati, ma - fra le lacrime ipocrite dei "sinistri", che le reclamano - non si fanno "politiche per creare lavoro".... Si riducono i fondi sociali (infanzia, famiglia, autosufficienza) mentre si esaltano risibili allargamenti della Social Card e del fantomatico “credito per i nuovi nati”. E mentre si va incontro a chi non ha pagato i i canoni demaniali delle spiagge in concessione, si taglierà al Servizio sanitario più di un miliardo nei prossimi due o tre anni, al fine di stanziarne più di due per le navi da guerra Freem.
Ci sarebbe poi da “avviare” un piano di rilancio dell’occupazione (i “pensatoi” al riguardo sono aperti dai primi anni del II° dopoguerra), per gli investimenti in istruzione, ricerca, cultura, politiche di assistenza e di inclusione sociale, tutela dell'ambiente, trasporti locali, assetto idrogeologico, rilancio dell'edilizia popolare pubblica e (qui entrano in scena gli antagonisti) sostegno alle forme di altraeconomia, dalla finanza etica ai Distretti di economia solidale. Ma non ci sono risorse.... e quindi non si possono fare, ahimé. "piani strategici"...
Perciò si ritorna al dominante imperativo: produrre plusvalore "difendendo e consolidando il patrimonio manifatturiero e industriale italiano". Vere e proprie suppliche corali si alzano da ogni parte: le imprese devono essere indotte ad intraprendere più investimenti in innovazione tecnologica di prodotto, qualità e certificazione; altrettanto nell’economia digitale e in quella verde, e infine nell’organizzazione del lavoro orientata alle best practice lavorative. In queste raccomandazioni figurano in prima fila i sindacati stessi per i quali - appunto - la migliore gestione dei processi produttivi avrebbe nel sistema della best practice il suo cardine principale: si tratta di una “idea manageriale” (e ti pareva!) per trovare tecniche, metodi e processi più efficaci, formalizzate in regole per obiettivi di miglioramenti quantitativi e qualitativi nella produzione di merci. E le direzioni-organizzazioni aziendali e governative, le ingegnerie del software, eccetera, ne fanno naturalmente buon uso.
Risultato: fra il proletariato aumenta la disoccupazione per molti e il plus-lavoro per altri. E poi si parla, a sinistra, di un "piano per il lavoro", di una legge di stabilità con una politica economica che rimetta al centro il lavoro ed i diritti, la costruzione di un modello di sviluppo sostenibile e fondato sulla giustizia economica e sociale con - un po' più sottovoce - un sostegno economico alle imprese virtuose.... Affinché poi, ai poveri ufficialmente censiti (più o meno a diversi milioni), si possano presentare le oppiacee visioni del "reddito minimo garantito", verso il quale persino qualche personaggio del Governo mostrerebbe “sensibilità”...
DCInizia da qui...
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