L'anarchismo nello specchietto retrovisore, il nostro percorso alla ricerca di una prassi rivoluzionaria

Di seguito, pubblichiamo le riflessioni politiche sul percorso intrapreso da due compagni, che, partendo dall'anarchismo, sono arrivati all'adesione al GIO (Groupe Internationaliste Ouvrier), sezione canadese dell'ICT.

L'anarchismo è la punizione del movimento operaio per i suoi peccati d'opportunismo.

Lenin

Prima di tutto, dobbiamo cominciare questo testo con un'avvertenza, cioè che non è un attacco contro la militanza dei nostri compagni libertari (1). Il loro impegno rivoluzionario è dei più sinceri e noi non abbiamo che rispetto per il coraggio di cui hanno dato prova nelle lotte che ci oppongono all'attacco della borghesia. Questo testo non è altro che un tentativo di chiarire la nostra prassi per evitare di ripetere gli errori storici del movimento operaio e, benché saremo taglienti e corrosivi, questa critica ha lo scopo di essere la più costruttiva possibile.

Gli autori di questo testo sono tutti e due ex anarchici, più precisamente due ex comunisti libertari della tradizione “piattaformista” (2). Abbiamo militato in questa corrente (nel seno della NEFAC e dell'UCL) (3) che ha tentato di “cambiare” l'anarchismo per farne un movimento rivoluzionario con l'ambizione di rovesciare il capitalismo. Il nostro impegno come anarchici si inscrive in un periodo (1998-2010) in cui diventava possibile per delle correnti classiste criticare l'egemonia individualista e liberale dell'anarchismo nord-americano che vi regnava da trent'anni o più. La constatazione del fallimento di quelle iniziative ci ha condotto alla Sinistra Comunista detta “Italiana”, una delle tendenze storiche e critiche del movimento comunista4. Pensiamo che il nostro percorso non sia frutto del caso e potrebbe essere condiviso da altri compagni che hanno vissuto la stessa esperienza o esperienze similari. Da diversi anni, abbiamo notato numerose prese di posizione che vanno in questo senso, soprattutto su libcom.org, dove tendenze critiche e serie dell'anarchismo e del marxismo si confrontano fianco a fianco. Vogliamo, molto modestamente, risparmiare a certi compagni un lungo e laborioso passaggio ed evitare loro un'esperienza pesantemente segnata da delusioni e vicoli ciechi. Il nostro bilancio ci dimostra che le deformazioni postmoderniste dell'anarchismo non sono manifestazioni estemporanee, ma che fanno parte integrante di quel movimento e che anche i comunisti libertari marcianti in apparenza in senso contrario al liberalismo anarchico, restano rinchiusi in una teoria a cui è stato disinnescato il potenziale rivoluzionario.

Questo testo non sarà, dunque, un'ennesima critica dell'attivismo lifestyle (5) o dell'insurrezionalismo. Queste critiche sono state fatte dall'interno, non abbiamo come priorità quella di aggiungere altro qui. In ogni caso, questa testo non è destinato a quelli che credono che il mondo cambierà a colpi di dumpsterdiving (6) e di “spazi di vita autogestiti”. Questo testo è diretto ai compagni che cercano di trovare una sintesi tra marxismo e anarchismo. Le direzioni del nostro attacco saranno molteplici – si svilupperanno nelle quattro sezioni che seguono – e non ci tratterremo nelle critiche, perché, come diceva Rosa Luxemburg,

L'autocritica spietata non è solamente, per la classe operaia, un diritto vitale, è anche un dovere supremo (7).

Una (grande) inclinazione liberale, malgrado l'etichetta comunista

All'inizio, uno dei principali obiettivi della NEFAC era quello di riportare l'essenziale dell'anarchismo alle sue origini, cioè nel campo proletariato e generato dalla lotta di classe. Già questa presa di posizione, che non è nient'altro che una constatazione storica, ha attirato i fulmini degli anarchici difensori della tradizione liberale nell'anarchismo. Parlare di una lotta tra due classi contrapposte esigeva una riflessione sul potere, su chi lo detenesse e su come impadronirsene. Parlare di un soggetto rivoluzionario, di una classe sociale con la potenzialità di agire per sé al fine di portare avanti i suoi interessi e il suo progetto di società, escludeva la nebulosa moltitudine e il confortevole “sparpagliamento specifico” (8). Insomma, ciò era percepito come qualcosa di autoritario.

I militanti del gruppo fondatore hanno fatto l'errore di tentare di intraprendere una “battaglia di idee” all'interno dell'anarchismo invece di rigettarlo. Quando si doveva stabilire un dialogo col proletariato sul terreno delle lotte del lavoro, della casa, dell'emigrazione, l'essenziale dei nostri interventi era invece consacrato al convincere altri anarchici di essere meno... anarchici. Tante energie sono state profuse per difendere il carattere libertario della tradizione comunista nell'anarchismo. Autori classici come Malatesta, il Gruppo Dielo Truda et Fontenis dovevano, nella migliore delle ipotesi, controbilanciare Striner, Proudhon, Black (9) o, al peggio, accontentarsi di un posto accanto ad essi. Organizzazioni storiche come la FCL, la FORA e la CNT-FAI (10) servivano da fari per ricordare che l'anarchismo un tempo raccoglieva migliaia di operai in una stessa struttura. C'era di che sognare, dal momento che gli standards contemporanei erano delle conferenze a cui partecipavano cinquanta persone o dei cortei con 500 manifestanti.

La “battaglia delle idee” non si faceva all'interno dei movimenti sociali (come previsto) e nemmeno a livello teorico dentro il movimento anarchico. Dove si faceva, allora? Si faceva principalmente in maniera informale da un avvenimento all'altro, nei rapporti tra individui e collettivi, con la preoccupazione di difendere la propria tendenza senza rompere la facciata unitaria. Si trattava di accordare bene o male un approccio strategico e programmatico emergente (il neo-piattaformismo) coi principi eterni e i valori immutabili della tradizione liberale dell'anarchismo. Il tutto era votato al fallimento.

Che cos'è la tendenza liberale nell'anarchismo? E', prima di tutto, come il liberalismo classico, una filosofia che insiste molto sulle libertà individuali e sul comportamento di ciascuno in un gruppo più o meno ristretto. Detto in altro modo, è l'accettazione che tendenze rivali e nocive a un progetto politico possano coabitare, sotto la copertura di un falso pluralismo, in uno stesso “movimento”. L'esempio-principe dell'anarchismo è la coabitazione tra primitivisti e classisti (come nella libreria l'Insoumise), ma ce ne sono tanti altri. Spinto all'estremo, il pensiero lberal-anarchico porta a prese di posizione del tipo «nella società futura si accetterà l'esistenza di una “comune” capitalista, fintantoché il suo territorio, il suo modo di organizzazione et la sua attività produttiva non contravvengano con il nostro». Il progetto politico diventa allora una fioritura di molteplici e diversi spazi di libertà, dimenticando che una sola e unica classe domina il mondo, che deve essere sconfitta et le classi sociali, nel loro insieme, devono essere abolite. In ultimo, la dittatura del proletariato è abbandonata a profitto delle possibilità eteroclite offerte dalla tolleranza liberale. La nozione di “democrazia”, che vacilla tra la democrazia diretta et la democrazia borghese, trionfa sul comunismo.

Un'organizzazione che era sempre da rifare

In partenza, era buona l'idea di fondare un'organizzazione comunista libertaria per sviluppare la teoria rivoluzionaria, per condividere le nostre esperienze nelle lotte sociali et elaborare una strategia di gruppo. Credevamo di aver gettato le basi su cui nuovi militanti potessero apportare il loro contributo. Raramente accadde questo. L'organizzazione era costantemente da rifare e se ondate di adesioni tra il 2003 e il 2007 hanno portato nuove energie al gruppo, esse l'hanno anche disorganizzato.

La struttura era, allo stesso tempo, iper-orizzontale, basandosi tutta sulla volontà e la chiarezza politica di alcuni segretari (interno, campagne, pubblicazioni ecc.). L'arrivo di nuovi aderenti poneva la faticosa questione della formazione politica, ma, soprattutto, veniva sistematicamente a ridefinire le priorità dell'attività. Durante le riunioni, nuovi progetti, iniziative in apparenza originali e alleanze fino ad allora rifiutate arrivavano a raffica una dopo l’altra. Senza sorpresa, la maggior parte di quelle idee aveva come conseguenza di avvicinarci all’ambiente “militante” montrealese,di renderci più accettabili agli occhi dei sostenitori della sintesi e del liberalismo anarchico. Rifacendo la storia della NEFAC-UCL a Montréal, possiamo individuare, con difficoltà, tuttalpiù due o tre “campagne comuni”, vale a dire il rinnovamento del sindacalismo radicale [traduciamo così l’espressione “de combat”, ndt] dei “giovani”, una campagna antimilitarista, delle campagne astensioniste episodiche e degli interventi sporadici nel movimento degli studenti.

Ma non era di nuovi progetti che noi avevamo bisogno, bensì del potere di realizzarli. Questo potere avrebbe potuto basarsi su di un’organizzazione forte, che dialogava con elementi di una classe in movimento, ma ciò non avvenne. La trasmissione dei saperi e delle esperienze era largamente insufficiente e gli stessi errori sono stati ripetuti. Invece di fare un bilancio critico delle nostre attività, ci accontentavamo di contabilizzarle e di lasciare posto alla loro moltiplicazione in un clima di lassismo e di confusione. Se di anno in anno diventavamo più numerosi e apprezzati nella sintesi anarchica, accumulavano però distanze incomabili col movimento reale della lotta di classe. Noi eravamo allora molto lontani dal Marx che nel 1851 diceva

Gli uomini fanno la loro storia, ma non la fanno arbitrariamente, nelle condizioni scelte da loro stessi, bensì nelle circostanze che essi trovano immediatamente davanti a sé, determinate dai fatti e dalla tradizione (11).

Più l’organizzazione diventava “ideale”, rispettabile e “performante”, più si distanziava dagli obiettivi originari.

Propensione antiteorica e cul-de-sac pratico

Fra le cose che ci hanno portato a rompere con l’anarchismo, c’è, tra le prime, la sufficienza che questo movimento ha per il rigore teorico e i suoi risultati sulla pratica militante quotidiana. Il caso dell’UCL è emblematico, infatti, perché non c’era nessun processo di formazione teorica comune in un’organizzazione che riteneva, con forza, l’unità teorica uno dei propri principi organizzativi. Ciò fece sì che l’UCL prendesse mille strade diverse, lo scontro teorico sulle questioni di base fosse costante, paralizzando l’organizzazione e parassitando le discussioni sul suo forum interno. Il sentimento di continuità con la NEFAC era diffuso, eppure quasi assente, nel collettivo di Montréal. La storia del Réseau de Solidarité des travailleurs.euses, i rapporti coi collettivi dell’Ontario e degli Stati Uniti, l’esperienza del giornale Le Trouble: niente di tutto ciò fu trasmesso alla nuova generazione. Quel po’ di chiarezza programmatica e teorica si liquefece, i dibattiti tra una linea di entrismo nei movimenti sociali, un’altra di attività autonoma semi-insurrezionalista, un’altra di controcultura e di politiche identitarie decisamente postmoderniste minarono l’organizzazione che cominciò a disgregarsi nemmeno due anni dopo la sua formazione. Il sentimento di appartenenza a un’organizzazione comune era nullo, la decentralizzazione dovuta al localismo falsamente più democratico inasprì le tensioni tra Montréal e gli altri collettivi. L’appartenenza all’organizzazione era sociale e folclorica, niente ci univa, a parte una certa inclinazione per l’organizzazione e un partito preso per quell’anarco-comunismo che non era destinato a essere una cosa per punks o universitari.

L’assenza di formazione politica spinse alla volontà di avere ad ogni costo dei risultati concreti a breve termine. Così, le campagne erano rapidamente abbandonate se non davano risultati rapidi, l’assenza di prospettiva storica impediva di ricavare delle lezioni a medio e lungo termine. Una delle tendenze più nocive di questa visione a breve termine fu quella di voler reclutare militanti “d'esperienza” attivisti che conoscevano l'anarchismo e ancor più i meccanismi della scena militante. Di contro, oltre a mancare l'integrazione di questi ultimi, questo modello di reclutamento troncò ogni tentativo reale di andare verso il proletariato, perché la cultura del gruppo s'appoggiava sull'accumulazione di esperienze militanti anarchiche e non sugli elementi in movimento della classe operaia. Ciò fece dell'UCL-Montréal un collettivo in cui nuovi membri e simpatizzanti andavano e venivano, senza che tutto questo cambiasse granché. La storia dell'organizzazione fu quella di un rapido sviluppo seguito da da una disintegrazione più o meno immediata, mettendo fine a ciò che non sarebbe stato altro, in fin dei conti, che un'esperienza deludente e una pagina insignificante della storia dell'estrema sinistra del Québéc. La sua originalità risiede nel fatto che era condotta da dei libertari, venuti un po' dappertutto, per inserirsi nel vuoto lasciato dai marxisti-leninisti degli anni '70 [leggi i gruppi extraparlamentari, per lo più stalino-maoisti, ndt]. Che l'organizzazione d'estrema sinistra più numericamente importante degli ultimi venticinque anni non abbia avuto alcun impatto significativo su uno dei più grandi movimenti sociali del Québec (primavera 2012) è il miglior segno del suo fallimento.

Questo rifiuto della teoria non è anodino o circoscritto all'ambiente anarchico di Montréal. Ovunque, nel mondo, l'anarchismo non possiede che poca o nessuna coerenza teorica. Se dei gruppi marxisti con linee politiche completamente differenti possono essere collocate in un troncone comune, l'anarchismo è una melassa nerastra con la quale chiunque può costruire il proprio sistema di pensiero, facendo un amalgama di rivolta, individualismo, liberalismo e folclore operaio.

Questo problema attiene alla supposta attitudine antiautoritaria dell'anarchismo, che concepisce ogni processo di formazione come autoritario, la critica dell'esperienza come un rapporto di dominio. La teoria rivoluzionaria non è altro che l'accumulazione dell'esperienza del movimento proletario. Staccarsi dalla teoria significa dover ricominciare il lavoro da zero. Col suo rifiuto di trasmissione dell'esperienza, il movimento anarchico si mette sistematicamente nella condizione di dimenticare il suo passato e di reimparare ciò che generazioni sprecate di militanti hanno imparato prima. E' con grande realismo che possiamo vedere che i soli libertari che riescono ad avere un costrutto teorico con un senso sono coloro che lo trovano in una sintesi tra l'anarchismo e il marxismo. Nella maggior parte dei casi, essi si dicono marxisti quando occorre fare un'analisi economica, ma politicamente anarchici. Questa separazione tra l'economico e il politico è sbagliata.

Bilanci e prospettive contro principi e valori

Sarebbe utile richiamare la differenza tra anarchismo e marxismo. Essa sta nel metodo e nella prassi. Gli anarchici fanno della deontologia, nell'applicazione stretta del principio in ogni tempo, separata dal contesto e dal riferimento alla storia. Le loro sconfitte non sono spiegabili che col ricorso al mancato rispetto del codice di comportamento libertario da parte di alcuni di loro e, soprattutto, all'azione degli altri rivoluzionari. Ciò anima il feticismo delle forme. Recentemente, siamo rimasti stupiti nel vedere gli anarchici applaudire le sommosse in Ucraina per via del contenuto “spontaneità di massa”, ma questo fenomeno non è circoscritto al fantasma “rivoltoso” di certi insurrezionalisti. Il feticismo della democrazia diretta soprattutto, delle forme “orizzontali” della spontaneità, deriva da quella venerazione delle forme “morbide” di organizzazione.

Noi, in quanto comunisti, sappiamo che benché il proletariato possieda le forme di organizzazione che gli sono proprie: assemblee autonome, comitati di sciopero e consigli... esse non sono rivoluzionarie in sé. Numerosi sono gli eventi storici che lo provano, un esempio ne è il sostengo massiccio dei consigli operai tedeschi alla socialdemocrazia nel 1918-1919. Come diceva Bordiga:

Non vi sono dunque organismi rivoluzionari per virtù formale; vi sono solo forze sociali rivoluzionarie per la direzione nella quale agiscono, e queste forze si risolvono in un partito che lotta con un programma (12).

Questo feticismo della forma trova la sua espressione più notevole nei due grandi movimenti proletari che hanno cristallizzato l'opposizione tra marxisti e anarchici: la rivoluzione russa e la guerra civile spagnola. Nel quadro della rivoluzione, è la distruzione “autoritaria” del governo provvisorio borghese da parte dei bolscevichi che è rimproverata loro, mentre la collaborazione libertaria al governo della repubblica spagnola è scusata, perché elementi di democrazia borghese erano preferiti alla dittatura rivoluzionaria (13). Il “colpo di stato d'avanguardia” dell'Ottobre è schifato per la sua pianificazione meticolosa, malgrado il fatto che avesse spazzato via lo stato borghese, mentre la sollevazione spontanea delle masse per la difesa di una forma di governo borghese (la repubblica) è qualificata come apoteosi rivoluzionaria (14). I tentativi di trasformazione dei rapporti di produzione nel loro complesso in Russia sono rifiutati seccamente, mentre l'autogestione in gran parte paralizzata dal mercato capitalista è presentata come il non plus ultra della trasformazione rivoluzionaria.

Anche le cause della sconfitta delle due rivoluzioni in questione rispondono a questo schema. Se noi, marxisti, spieghiamo gli insuccessi del movimento proletario in Russia come risultato del suo isolamento internazionale e dell'inevitabile degenerazione che questo comporta, poi lo scacco del proletariato spagnolo nel 1936-1937 nell'incapacità di colpire lo stato borghese, la maggioranza degli anarchici non vede altro che l'azione delle tendenze leniniste come causa delle sconfitte.

Là dove gli anarchici vedono dei principi da applicare in maniera ancora più pura, noi vediamo delle lezioni da apprendere, là dove vedono una deroga al codice d'onore, noi vediamo un'insufficienza organizzativa o materiale. Se la sinistra comunista ha tentato di fare il bilancio e di sbloccare una delle prospettive di 150 anni di lotte del proletariato, l'anarchismo non ha altro obiettivo che quello di riprodurre le stesse esperienze, ma ottenendo miracolosamente altri risultati.

Conclusione: scommettere o la va o la spacca sull'approccio organizzativo e programmatico

Questo testo vuole essere qualcosa di più di un semplice testo di rottura, che un semplice ritorno sulle mancanze teoriche e organizzative, sul liberalismo e sulle insufficienze dell'anarchismo. Se, un giorno, noi abbiamo brandito la bandiera rossa e nera, è perché avevamo un obiettivo da raggiungere. Un obiettivo che non aveva niente a che vedere con la pace sociale mortifera dei socialdemocratici o lo sviluppo capitalista in salsa al pomodoro di Stalin, Mao e Castro. Quell'obiettivo è sempre stato il comunismo, una società senza classi sociali, senza stato, senza dominio, una società egualitaria e giusta. Se il nero della nostra bandiera ha decisamente virato sullo scarlatto, è perché una tradizione minoritaria e misconosciuta del movimento operaio ci dava una pista per avanzare. La sinistra comunista italiana, rifiutando sistematicamente di gettare il bambino con l'acqua sporca, ha saputo fare la critica delle lotte della nostra classe, delle sue numerose sconfitte come dei successi brevi e limitati. Se è a questa corrente che noi aderiamo, è per finirla con la traversata del deserto, con l'incapacità di agire realmente che troppi anticapitalisti giustificano come una sorta di purezza. Se la Tendenza Comunista Internazionalista ci conta tra i suoi ranghi, è perché essa ci offre la possibilità di raggruppare gli elementi più coscienti del proletariato per costruire lo strumento rivoluzionario di cui abbiamo bisogno: un partito internazionale del proletariato, forgiato nel fuoco della guerra di classe sull'incudine della teoria rivoluzionaria. Un'organizzazione capace di difendere l'autonomia politica della nostra classe, capace di portare il programma comunista nel cuore delle lotte, per una rivoluzione internazionale, sociale e libertaria.

Liam e Maximilien, maggio 2014

(1) Quando parliamo di “compagni”, “militanti” ecc., intendiamo sempre, ovviamente, maschi e femmine. Lo specifichiamo per non dover ricorrere alle formule “compagni e compagne”, “lavoratrici e lavoratori” e così via, che appesantirebbero la lettura.

(2) Si riferisce a una corrente del movimento anarchico che fa riferimento alla “piattaforma” di Archinov, testo scritto da machnovisti in esilio dopo la guerra civile in Russia.

(3) NEFAC: Northeastern Federation of Anarchist-Communists. In francese: Fédération des Communistes Libertaires du Nord-Est. UCL : Union des Communistes Libertaires, estensione della NEFAC in Québec a partire dall'autunno 2008.

(4) La sinistra comunista è storicamente l'ala sinistra e critica del movimento comunista. La sua principale incarnazione contemporanea è la Tendenza Comunista Internazionalista, di cui il Gruppo Internazionalista Operaio è membro.

(5) E' una tendenza di chi cerca di cambiare il mondo cambiando il proprio stile di vita.

(6) Significa politicizzare la pratica di chi cerca cibo nella spazzatura.

(7) Rosa Luxemburg, La crisi della socialdemocrazia.

(8) Abbiamo tradotto così, letteralmente, un modo di parlare in maniera peggiorativa della teoria dei privilegi.

(9) Bob Black è un teorico anarchico post-moderno, conosciuto soprattutto per il suo libro “Il diritto all'ozio”.

(10) Organizzazioni comuniste libertarie e anarco-sindacaliste in Francia, Argentina e Spagna.

(11) Karl Marx, Il18 brumaio di Luigi Bonaparte

(12) Amadeo Bordiga, Per la costituzione dei consigli operai in Italia, Il Soviet, 4 e 11 gennaio, 1, 8 e 22 febbraio 1920 leftcom.org .

(13) Secondo Garcia Oliver, anarchico della CNT, «la CNT e la FAI si decisero per la collaborazione e la democrazia, rinunciando al totalitarismo rivoluzionario che avrebbe portato allo strangolamento della rivoluzione da parte della dittatura anarchica e confederale [della CNT, ndt]»

(14) Sulla guerra civile spagnola, vedi l'articolo leftcom.org

Venerdì, July 4, 2014