Crisi aziendale, cassa integrazione, licenziamenti... Con i lavoratori della Canados in lotta!

Le ragioni della lotta

Dal 22 settembre i lavoratori della Canados sono in presidio permanente davanti ai cancelli del cantiere navale di Ostia per difendere i loro posti di lavoro. Gli 80 lavoratori dell'azienda, dopo 3 anni di cassaintegrazione ordinaria, il 31 dicembre termineranno anche i 2 anni di cassaintegrazione straordinaria. La fine anche di questo ammortizzatore sociale apre scenari di disoccupazione per i lavoratori e di miseria per le loro famiglie. La risposta con la lotta dei lavoratori arriva dopo giochetti e sotterfugi della direzione aziendale che, nel silenzio più totale, ha messo in liquidazione l'azienda e tentato a più riprese, senza successo grazie all'oposizione operaia, di trasferire altrove i mezzi di produzione come macchinari e stampi.

Le mosse dell'azienda

Facciamo un passo indietro. Dopo anni e anni di cambi societari fatti, di cambi di nomi, creazioni di holding e quant'altro per eludere il fisco, nel 2011 la Canados International dichiara lo stato di crisi per una drastica riduzione delle commesse (ordini di costruzione di nuove barche). Riduzione sì delle commesse, ma non certo delle dimensioni, perché, come tengono a sottolineare gli stessi operai, se prima si costruivano 7/8 barche all'anno fino a 25 metri, poi si è iniziato a costruire 3/4 barche fino a 36 metri del valore commerciale assai superiore. Fatto sta che l'azienda negli ultimi 5 anni ha potuto usufruire, grazie alla crisi e al beneplacito dei sindacati padronali (CGIL e CISL), della cassaintegrazione, che, per giunta, è stata applicata in maniera arbitraria e punitiva contro alcuni lavoratori. Usufruire della cassaintegrazione significa avere a disposizione i lavoratori nei momenti produttivi, accollando la maggior parte dei costi salariali allo stato, ovvero a chi paga le tasse - sempre i soliti. Richiamare i lavoratori quando c'è da produrre e mandarli a zonzo quando non ce n'è. Questa manovra ha permesso all'azienda di ridurre drasticamente le spese per i salari e aumentare conseguentemente i profitti, il tutto ai danni dei lavoratori Candos, privati di parte del loro salario diretto (la cassaintegrazione prevede solo una parte del salario circa il 50% dello stesso) e di tutti i lavoratori che si sono visti rapinare parte del loro salario differito (le pensioni), per garantire i profitti a lor signori. Dopo aver arraffato a destra e a manca, spremendo e sfruttando i lavoratori, ancor più di prima, e usufruendo degli ammortizzatori sociali, Canados International si appresta ad una nuova mossa per risolvere la sua situazione di bilancio negativo (50 mln di euro dovuti ad Unicredit, banca attualmente possesore del marchio Canados). E la mossa è arrivata appena terminata la costruzione dell'ultima barca commissionata, il suv 90 (27 metri) ad agosto. Al rietro dalle ferie, i lavoratori hanno ricevuto la lettera della caassaintegrazione a 0 ore e scoperto che l'azienda era stata messa in liquidzione. Non solo. L'azienda ha anche tentato di trasferire i beni strumentali altrove, mossa prontamente bloccata dai lavoratori da quel momento in agitazione.

Operai non fidatevi delle promesse, solo la lotta può pagare

Sebbene la situazione sia molto grave, il presidio usufruisce, purtroppo, della partecipazione di solo il 30% dei lavoratori coinvolti. Un'altra parte, pur solidarizzando, non partecipa per paura di ritorsioni, mentre quelli ancora al lavoro, perché apparteneti al settore della manutenzione e del rimessaggio, si sono fatti ammaliare dalle promesse di reitegro a gennaio, solo se faranno i bravi però, promesse fatte ad hoc da parte dei sindacati padronali a braccetto con i padroni. E' evidente come tali promesse non siano altro che finalizzate a dividere e frammentare il fronte della lotta.

Operai! Lottate contro chi vi sfruttta e i loro servi sindacali! Affiancate nella lotta i vostri compagni di lavoro! Solo con la lotta e non con le promesse di chi vi ha sempre ingannato potrete difendere i vostri posti di lavoro!

Margini rivendicativi e prospettive di lotta

La lotta è partita dai lavoratori che, compresa l'inutilità, anzi la dannosità, dei sindacati interni (CGIL e CISL), hanno cercato sponda in un sindacato più combattivo, almeno a parole. Da qui l'arrivo in cantiere dall'USB, che da febbraio è il sindacato maggioritario. Usb che, come la natura stessa dei sindacati impone, non può che muoversi all'interno dell'ambito prettamente istituzionale.

L'USB cosi facendo è riuscita, attraverso il coinvolgimento del municipio e della regione, a costruire un tavolo di trattative sebbene già con la procedura di mobilità avviata. Ma come la stessa sindacalista ci disse "se non ci sono margini per trattare o si portano i lavoratori a firmare la propria condanna a morte o non ci si portano" e, aggiungiamo noi, se accetti di stare al gioco di questo gioco devi accettare le regole, e l'USB queste regole ha accettato dalla sua fondazione . Ma che trattativa è una discussione dove si presenta la mobilità come unica possibilità? Anzi, dove si paventa come unica alternativa alla mobilità, la costituzione da parte dei lavoratori di una cooperativa!?! Per tali ragioni, lascia abbastanza perplessi il comunicato dello stesso sindacato che, parla di questa trattativa come di un mezzo successo e, in ogni caso vede positivamente l'incontro avvenuto pochi giorni fa alla regione. Per noi più che di una trattativa, si tratta di un passaggio formale dove l'azienda rivendica le sue necessità e le istituzioni ne prendono atto.

È evidente che in una situazione, dove ognuno cercherà di imporre i propri interessi, i lavoratori devono difendere i propri. Per difendere i propri interessi non basta affidarsi ad un sindacato che, per quanto combattivo a parole, resterà sempre incastrato negli angusti limiti della contrattazione. Contrattare significa mediare tra interessi diversi e inconciliabili, quelli dei lavoratori con quelli dei padroni. Ed è proprio in virtù di quella posizione, di mediatore, che il sindacato vive. Posizione che mai il sindacato potrà mettere in discussione, pena la sua stessa esistenza, anche se i margini si sono fortemente ristretti, vista la crisi dei profitti, e mediare significa inevitabiilmente contrattare al ribasso (ferma restando la buona fede dei militanti sindacali). Come si dice: "o ti mangi questa minestra o ti butti dalla finestra". Ed è proprio la logica del compromesso che stiamo mettendo in discussione. Il fare del compromesso – e spesso al ribasso – la propria politica e il proprio fine. Questo è il principio direttivo di qualsiasi sindacato. Le lotte si possono vincere o perdere, non dobbiamo illuderci, ma vanno combattute apertamente, non cercando il compromesso a priori. Solo con uno scontro vero i lavoratori possono sperare di strappare qualcosa ai padroni, ma portare avanti questo scontro i lavoratori devono dotarsi di propri organismi di lotta, indipendenti dai sindacati.

Senza dimenticare che il terreno della contrattazione è determinato da apposite leggi e normative, quelle stesse leggi e regole scritte ad uso e consumo dei padroni. Sono ormai decenni che ogni legge e riforma del lavoro, come delle pensioni e non solo, significa peggioramento delle nostre condizioni di vita e di lavoro. In sostanza, chiedere aiuto a quelle stesse istituzioni che ci hanno ridotto in miseria è come implorare pietà al nostro aguzzino. Dobbiamo essere consapevoli di chi abbiamo di fronte. Le istituzioni non sono imparziali, tutt'altro. Sono gli strumenti politici dei nostri avversari. Per questo la battaglia nel palazzo è solo perdita di tempo e spreco di energie, poichè ci svia dalla nostra strada e alimenta l'illusione che all'interno dei rapporti dati si possa trovare una soluzione ai nostri problemi. Abbandoniamo la strada dell'inganno. Percorriamo la nostra strada quella del:

protagonismo dei lavoratori sui luoghi di lavoro, nei territori

attraverso assemble e comitati di lotta sovrani nello stabilire tempi e modi della lotta nonchè di indicarne gli obbiettivi

Perchè la realtà dimostra che i limiti di contrattazione sono ormai ridotti all'osso, per cui il sindacato è diventato arma spuntata (USB), quando non dichiaratamente arma dei padroni (CGIL CISL). Cosi ridotti che alla Fiat, pur di non perdere il posto di lavoro, i lavoratori, grazie ai sindacati, hanno dovuto accettare condizioni lavorative quasi ottocentesche.

Di fronte ad una tale situazioni quali prospettive abbiamo? Se l'attacco è contro l'intera classe lavoratrice è come classe che dobbiamo reagire!

Di fronte a ciò i lavoratori devono costruire un fronte tanto esteso da poter cercare di imporre i nostri bisogni immediati, alla Canados come altrove. Un fronte trasversale alle appartenenze politiche e alle tessere sindacali.

No ai licenziamenti

No alla cassa integrazione nè alla mobilità

Reintegro per tutti a parità salariale e contrattuale

Lottare per ciò sarà possibile solo se i lavoratori cominceranno ad essere i protagonisi nello stabilire forme ed obiettivi della lotta, attraverso loro assemblee, e a rigettare la strategia sindacale, nella sostanza, solo ed esclusivamente un percorso istituzionale e mediatico.

Divenire protagonisti significa anche cogliere l'occasione della lotta per crescere organizzativamente e politicamente; a questo scopo il sindacato è assolutamente inadeguato, se non nocivo, in quanto è un organismo:

  • corporativo (frammentando i lavoratori più di quanto già non siano, attraverso sciopericchi divisi per sigle e settori lavorativi)
  • nazionalista (si pensi alla richiesta di investimenti nei loro settori di riferimento per rilanciare la competitività nazionale)
  • conservatore, in quanto assolutamente all'interno del quadro capitalistico, senza mai mettere in discussione il rapporto capitale-lavoro, fonte dell'irriducibile antagonismo fra la nostra classe e quella dei padroni.

Per lottare seriamente bisogna:

  • allontanare i sindacati che dividono il fronte dei lavoratori e sono solo interessati alle tessere e alla rappresentatività aziendale;
  • uscire dala logica aziendale e personale, che il sindacato difende e alimenta;
  • prendere atto della comunione di interessi tra i lavoratori a prescindere da ogni differenza;
  • comprendere la propria situazione, quale figlia di una situazione generale e comune a tutti i lavoratori.

Non basterà restare davanti a quei cancelli, isolandosi dal resto del territorio. Dobbiamo rafforzare il fronte della lotta e solo attraverso l'unità con gli altri lavoratori ciò sarà possibile. Andiamo dagli altri lavoratori. Andiamo dai precari, dai disoccupati, nelle altre realtà lavorative in crisi. Costruiamo momenti assembleari ed organizzativi. Mettiamo in collegamento tutti i lavoratori del territorio.

La storia insegna

Tutti gli episodi di lotta in cui gli operai hanno difeso con forza i propri interessi autonomi di classe hanno visto questi stessi operai organizzarsi dal basso in organismi di massa che scavalcavano ogni forma d'organizzazione sindacale preesistente, o tendevano a ciò. Polonia '80, sciopero dei minatori inglesi, sciopero dei dockers in Danimarca e Belgio, lotte della siderurgia in Francia, le assemblee e i comitati di lotta durante la rivolta in Argentina (i comitati piqueteros); la protesta contro la legge del CPE in Francia del 2006, le stesse recenti proteste francesi contro la riforma delle pensioni, animate, nelle forme più conseguenti, non dai sindacati, ma dalle assemblee e dai comitati di agitazione. Ed ancora, gli “scioperi selvaggi” degli autoferrotranvieri in Italia (2003), la lotta degli operai della Fiat Melfi (2004: anche in questo caso, la FIOM fu tirata per i capelli dagli operai e assolse al solito compito di moderatrice della lotta, che, come sempre, le riuscì), picchetti degli operai di Pomigliano decisi quotidianamente dalle assemblee fuori la fabbrica (2008), le lotte in Cina combattute negli ultimi anni.

Soltanto uscendo dalla logica aziendale e personale, cominciando a ragionare come lavoratori, che hanno interessi comuni in quanto tali, potremo costruire un tessuto di solidarità concreta ed operativa, in grado di arginare l'attacco in atto. Solo attraverso l'unità di tutti i lavoratori oltre le differenze di categoria, azienda, etnia, religione, età, sesso,ecc., possiamo costruire un opposizione reale e concreta ai licenziamenti alla precarietà ed ai piani di attacco al salario diretto, indiretto (servizi) e differito (pensioni) ad opera del governo.

Perchè la lotta dei lavoratori canados contro precarietà e licenziamenti, contro un futuro di disoccupazione è la lotta di tutta la classe lavoratrice. Uniti possiamo vincere questa battaglia e molte altre.

Oltre la singola lotta

In un modo o nell'altro, questa lotta è destinata ad esaurirsi, si potrà vincere, difficile, si potrà perdere, più probabile, ma se la lotta non avrà sedimentato un minimo di coscienza di classe, ovvero la coscienza dell'inconciliabilità dei nostri interessi con quelli dei padroni, e la conseguente necessità di organizzarsi per sbarazzarci di questa società se. In sostanza, se non avrà rafforzato il rapporto tra la classe e il suo strumento politico, il partito rivoluzionario, che di tale prospettiva si fa portatore, la lotta non sarà servita a nient'altro che ad alimentare lo svilimento e la rassegnazione tra le nostre fila. Avremo perso una buona occasione per crescere e rafforzarci.

Se la situazione particolare della Canados si colloca all'interno di un contesto più generale di crisi, non possiamo fare a meno di tenere conto di tale aspetto. Tenerne conto significa avere una visione più complessiva degli eventi e, di conseguenza, riuscire a stabilire una linea di azione strategica che sappia inserire i vari momenti di lotta particolari in un costesto più generale. Ma perchè ciò sia possibile, i lavoratori hanno bisogno di un tramite non tra i loro i interessi e quelli del nemico di classe, ruolo svolto dal sindacato, ma tra i nostri interessi immediati e particolari e i nostri interesssi storici come classe: questo è il compito dell'avanguardia politico-organizzata del proletariato, il Partito Rivoluzionario. Questo organismo permanente e politico, è composto dagli elementi più consapevoli e combattivi del proletariato, è l'unico ad avere una visione storica dei rapporti tra le classi, della loro evoluzione, del loro stato attuale, è percio l'unico strumento di cui la classe possa dotarsi per superare le sue divisioni ed i suoi limiti, politici ed organizzativi. Il Partito, essendo il portatore del bagaglio politico e organizzativo della classe e delle sue finalità storiche (la soppressione del lavoro salariato e il superamento della società divisa in classi), è l'unico che possa dare una direzione unitaria e generale alle varie lotte particolari, è l'unico che sappia darle una prospettiva politica internazionale ed internazionalista, convogliando ogni singola vertenza all'interno del piano più generale di opposizione al capitale, oggi, e di rivoluzione sociale, domani.

Qualsiasi lotta, anche la più dura, può terminare solo in due modi: o rafforzando il domino del capitale o rafforzando il movimento reale che di questo domino si vuole sbarazzare. Rafforzare questo movimento significa dare fiato e gambe al Partito della rivoluzione. Significa costruire e rafforzare i legami tra l'avanguardia del proletariato e il resto della classe. Per fare questo è indispensabile, là dove possibile, costruire Gruppi Comunisti Internazionalisti di Fabbrica e di Territorio. I GIFT non sono altro che il tramite di cui si dota Partito, per veicolare la prospettiva del rivolgimento sociale tra le varie ramificazioni lavorative e territoriali della classe.

Dalla lotta economica alla lotta politica

La lotta finirà e magari torneremo a lavorare.. Ma per quanto? e a quali costi?

Finche esisterà il capitalismo ci saranno crisi, guerre e sfruttamento. Finche esisterà il capitalismo ci sarà chi sarà sfruttato e chi sfrutterà.

Vista la crisi dei loro profitti la loro – dei padroni e dei loro governi - unica soluzione è quella di attaccarci ancor di più, attacando i nostri salari e posti di lavoro, non solo in Italia ma nell'intero globo. Le ricette sono sempre le stesse: abbassare i salari, aumentando la produttività, ridurre le "garanzie", deregolamentare il mercato del lavoro, mettere in competizione tra loro i lavoratori (sempre più poveri), allungare la vita lavorativa alzando l'età pensionabile, aumentare la precarietà.

Questo è il piano portato avanti dal grande capitale in tutto il mondo, attraverso i governi nazionali, per difendere i profitti. Se il capitalismo è il mondo del profitto, per il profitto va bene tutto.

Chi se ne frega se ormai non ha piu senso un mondo in cui:

Sviluppo significa semplicemente sottomissione altrui, devastazione e saccheggio dei territori; Crescita significa semplicemente aumento dei profitti di pochi e di una produzione fine a se stessa;

Aumento della produttività non è altro che aumento dello sfruttamento e della disoccupazione.

Se fino a qualche tempo fa almeno potevamo godere delle briciole, oggi non è piu così. Le briciole son finite e non torneranno. Se prima vivevamo alla meno peggio, oggi facciamo persino fatica a sopravvivere. Ci troviamo nella pessima situazione di alimentare un sistema, poichè noi ne siamo la base che ne produce le richezze che altri si accaparano, che non è più grado neanche di garantirci una vita dignitosa.

Un mondo del genere dove nonstante l'incredibile abbondanza, un'abbondanza mai vista dal genere umano, si continua a morire di fame o per mancanza di cure mediche;

Un mondo nel quale le scoperte tecnico-scentifiche permetterebbero di automatizzare quasi del 100% i processi produttivi, liberando l'uomo dall'obbligo di lavorare, e rendendolo libero di utilizzare il suo tempo per svilupparsi e realizzarsi in ogni direzione, e che invece nel capitalismo non significano altro che aumento della disoccupazione;

Un mondo nel quale gli altissimi livelli produttivi permetterebbero di lavorare poche ore al giorno tutti quanti per produrre per tutti, al contrario di quello succede oggi, dato che si trasformano in una causa della crisi, ci costringono a una (non)vita in ufficio o in fabbrica, o in mezzo al traffico, lontana dai propri cari, una vita in cui i vecchi sono spremuti fino all'osso ed i giovani restano disoccupati.

Un mondo dove, convertendo la produzione sulle basi dei bisogni reali e non sull'esigenze del profitto, potremmo produrre soddisfando i bisogni di tutti in armonia con la natura.

Noi siamo quelli che producono, loro quelli che del prodotto si appropriano. noi i lavoratori, loro i parassiti. Loro hanno bisogno di noi per arrichirsi, noi non abbiamo bisogno di loro per vivere. Cosa aspettiamo a mettere tutto in discussione?

Denunciare l'impossibilità nel capitalismo di una reale libertà, di un reale soddisfacimento dei nostri bisogni, dell'impossibilità di vivere una vita dignitosa per noi lavoratori, e di conseguenza propagandare la necessità di organizzarsi per il superamento di questo sistema: questo è il compito di ogni proletario cosciente.

Solo attraverso la conquista rivoluzionaria del potere i lavoratori potranno trasformare il mondo!

"Abbiamo da perdere solo le nostre catene e abbiamo un mondo da guadagnare!" Un'alternativa sociale economica e politica esiste, si chiama rivoluzione! Costruiscila con noi!

Lavoratori del Partito Comunista Internazionalista – Sez. Arnaldo Silva – Roma
Giovedì, October 16, 2014