Scioperi rituali, poche lotte, tante illusioni riformiste

Riflessioni politiche in merito all’ “autunno caldo” *del sindacalismo* di base e all’intervento comunista tra i lavoratori

I sindacati _di base_ sono presenti sulla scena italiana da oltre trent’anni e, durante tutto questo periodo, sono stati oggetto d’analisi delle diverse organizzazioni che si definiscono comuniste, compreso il nostro partito. A nostro modo di vedere, tali analisi hanno spesso posto eccessiva attenzione sulla questione vertenziale, tralasciando invece importanti aspetti politici legati al fenomeno del sindacalismo di base. Ciò vale anche per diverse organizzazioni internazionaliste, che si richiamano storicamente alla Sinistra Comunista italiana. La valutazione dei sindacati di base si è quindi spesso limitata a pesare il ruolo che questi avrebbero potuto svolgere nella lotta rivendicativa, ovvero a valutare la possibilità per i nuovi sindacati di sostituirsi a quelli vecchi, contribuendo così alla costruzione del cosiddetto “sindacato di classe”. Questo modo di giudicare i sindacati di base – l’uso di un metro semplicemente vertenziale – non è casuale, bensì è legato all’analisi che tali organizzazioni politiche fanno della “degenerazione” dei vecchi sindacati, “degenerazione” ricondotta al “tradimento” di questo o quel dirigente, all’azione nel sindacato di questa o quella organizzazione riformista.

Chi ci segue sa bene che la nostra impostazione parte invece da premesse completamente diverse, che legano l’evoluzione del sindacato tradizionale alla “natura” stessa dei sindacati e alle modifiche avvenute in ambito strutturale (capitalismo monopolistico) e sovrastrutturale (intervento dello Stato e rapporto Stato-sindacati). Il sindacato è nato circa due secoli fa come strumento di contrattazione delle condizioni di vendita della forza-lavoro. Nonostante esso fosse semplicemente uno organismo di mediazione ha comunque rappresentato, durante tutta un’epoca storica, un’importante strumento di lotta rivendicativa, contribuendo a migliorare le condizioni di diversi strati del proletariato; in particolare nelle nazioni economicamente “avanzate”. Ma ciò poteva avvenire soprattutto per le caratteristiche che assumeva nel’800 la stessa contrattazione tra capitale e lavoro, quando non si era ancora sviluppato e consolidato il regime economico monopolistico. Nel’800, vigendo aree di “libera” concorrenza, la contrattazione avveniva infatti perlopiù in maniera isolata, tra le singole realtà produttive e gruppi di lavoratori. Inoltre, in quella epoca storica, il capitalismo affrontava le crisi anche espandendosi in aree dove ancora vigevano rapporti economici feudali, garantendosi così margini di contrattazione certamente meno rigidi rimpetto a quanto accade oggi durante le crisi cicliche. Dallo scorso secolo, invece, l’economia è praticamente dominata da colossi internazionali, la contrattazione tra capitale e lavoro avviene rapportandosi al capitale monopolistico e deve rispondere alle necessità di programmazione di questi colossi che si trovano ad affrontare la concorrenza su scala internazionale. Lo Stato stesso interviene direttamente nell’economia e nella contrattazione, agendo proprio in difesa della concorrenza del capitale monopolistico. È in questo contesto che il “vecchio” sindacato si è progressivamente integrato nelle istituzioni borghesi, diventando lo strumento adoperato dalla borghesia, e dallo Stato, per la gestione della contrattazione della forza-lavoro secondo le rigide esigenze derivanti dalla concorrenza internazionale. Ma tale evoluzione non è riconducibile semplicemente al “tradimento” dei dirigenti, bensì alla stessa natura contrattualistica del sindacato.

Nell’epoca del capitalismo monopolistico, e a maggior ragione nelle fasi di crisi acuta, riproporre quindi nuovi sindacati - ovvero organismi permanenti della contrattazione della forza-lavoro - capaci di giocare lo stesso ruolo di lotta dei vecchi sindacati ottocenteschi rappresenta per noi una pura illusione; come dimostrano, appunto, le varie esperienze del sindacalismo di base. Ed è stata la stessa classe a mostrare ciò, dotandosi di strumenti di lotta rivendicativa diversi dal classico sindacato: non permanenti, non concertativi, ma strumenti semplicemente ancorati - ed espressione - delle folate di lotta.

Per approfondire tale questione, qui solamente accennata, rimandiamo ai numerosi lavori da noi prodotti. Ci preme adesso solamente sottolineare che riteniamo dovere dei comunisti rapportarsi sì alla lotta rivendicativa ma guardando sempre oltre la lotta, ovvero ponendoci in ogni momento il problema dell’intervento politico. Con questo criterio, politico, abbiamo analizzato anche il sorgere dei diversi sindacati di base, ponendo attenzione al rapporto che questi avevano – o avrebbero potuto avere - rispetto alla lotta rivendicativa ma, allo stesso tempo, valutando il ruolo squisitamente politico che tali sindacati stavano (e stanno) giocando. In base alle nostre valutazioni abbiamo poi definito la tattica di intervento, questione che riprenderemo al termine dell’articolo.

I sindacati di base sono differenti da quelli confederali? Per diversi aspetti sì ma ciò non toglie che essi stessi possano svolgere un ruolo altrettanto negativo, sia “semplicemente” sul piano dello sviluppo della lotta rivendicativa che, e soprattutto, rispetto alla maturazione della coscienza rivoluzionaria tra i proletari. Le diverse sigle del sindacalismo di base hanno organizzato anche per questo autunno molte manifestazioni di protesta, “scioperi di categoria” o “generale”. Iniziative che, per forma e contenuti, evidenziano chiaramente alcuni limiti del sindacalismo di base.

Iniziamo col dire che i primi sindacati di base sono sorti semplicemente con l’intendo di rappresentare un’alternativa al sindacalismo “ufficiale”, quelli successivi invece sono nati (e continuano a nascere…) contrapponendosi spesso anche alle sigle “di base” già esistenti. Negli anni c’è stata una vera e propria proliferazione di sigle sindacali, che da sempre si fanno la “guerra” tra di loro. Tutti i sindacati di base sulla carta parlano di “superare le divisioni”, “unire le lotte” ma nei fatti agiscono in modo completamente diverso ed anche questo “autunno caldo” è stato terreno di scontro tra le diverse sigle. Basta andare sui rispettivi siti web per costatare come i contenuti rivendicativi e politici delle diverse sigle non siano molto differenti tra loro, a volte persino sovrapponibili. Eppure ogni sindacato di base – o ogni singola coalizione – ha preferito portare avanti il proprio “sciopero”, la propria manifestazione, curare il proprio terreno, spesso trascurando tutto il resto (1).

Sono così nate in questo autunno tante micro iniziative (che si sommano a quelle della CGIL/FIOM) decise, per forme e contenuti, dal ceto politico che governa o supporta tali organizzazioni sindacali. Mille iniziative ma che – a nostro modo di vedere – non hanno molto a che fare con un reale sviluppo della lotta di classe, bensì servono più che altro alle diverse sigle sindacali (e politiche) per marcare il territorio, per tenere legati i propri tesserati, per mostrarsi formalmente più combattive delle sigle concorrenti e per fornire un contenitore “di lotta” ai loro progetti di riformismo radicale.

In questo, bisogna dire, il sindacalismo di base non fa altro che riprodurre la stessa logica del sindacalismo confederale, promuovendo spesso iniziative di facciata che servono alla struttura sindacale per mostrarsi viva. Sappiamo che nei sindacati di base si esprimono anche la rabbia e l’impegno di diversi lavoratori o di giovani compagni che vogliono sostenere i proletari ma – aldilà delle buone intenzioni di questi - nei fatti la pratica “di bottega” e corporativa sopra descritta genera confusione e divisione tra i lavoratori, aggiungendo ulteriori ostacoli allo sviluppo della lotta di classe proletaria e a un suo accrescimento politico.

Altra pratica che indebolisce la classe lavoratrice è quella di dare agli scioperi un carattere semplicemente rituale. Questi scioperi autunnali sono stati dichiarati, infatti, mesi prima e con scadenza prefissata. E' vero, anche che una mobilitazione più intensa di lavoratori può costruirsi attraverso diversi momenti di sciopero, così come qualsiasi lotta può essere repressa e concludersi con una sconfitta parziale o totale. Ma qui siamo di fronte a qualcosa di completamente diverso. Questi scioperi autunnali sono stati proclamati… a prescindere, come un rito appunto, aldilà delle effettive forze in campo. Così come, a prescindere da tutto, è stata già programmata la loro durata, che non va oltre la giornata rituale.

Tali scioperi non perdono questo loro carattere rituale, anzi, anche quando vengono accompagnati da forme più radicali di lotta, come il picchetto del CAAT di Torino, organizzato durante lo sciopero “generale di categoria” proclamato dal SI COBAS il 16 ottobre. Blocco delle merci, bene, a ciò dovrebbe mirare uno sciopero. Ma: se c’è – o almeno si spera di avere - la forza per attuare il blocco delle merci perché, a maggior ragione, dichiarare lo sciopero due mesi prima?! Perché, sempre due mesi prima, decidere che lo sciopero sarebbe durato un solo giorno?! Così facendo non si fa altro che indebolire l’azione di lotta, permettendo ai padroni di organizzarsi per minimizzare le perdite. Ormai i padroni sanno bene che oltre il Natale, la Pasqua, il capodanno e il ferragosto, in autunno ci saranno gli scioperi rituali, e organizzano la produzione vedendo queste giornate di sciopero quasi al pari delle “feste comandate”.

Tutto ciò non fa altro che continuare a spuntare l’arma dello sciopero e conferma che: alla lunga il sindacalismo di base si presenta, esso stesso, come una arma spuntata della lotta di classe. Da un lato può anche contribuire a far nascere momenti di lotta ma, dall'altro, con le sue pratiche sindacali ne impedisce l'ulteriore sviluppo e la crescita sul piano politico.

Leggendo dai siti web dei sindacati sembra a volte di essere alla vigilia di una rivoluzione, o almeno in presenza di un ampio risveglio della lotta di classe proletaria. Ma, pur troppo, non è così. Questi scioperi non sono parte di una reale ripresa della lotta di classe, questa è la verità. Ciò lo vediamo anche dai contenuti rivendicativi espressi nelle “piattaforme”. Oggi quel poco di reazione di classe che c’è si esprime infatti su un livello estremamente basso: ci si limita alla difesa del posto di lavoro nel momento in cui lo si sta perdendo, in alcuni casi lo si è già perso. Questa è la realtà della lotta di classe oggi. C’è una distanza enorme invece tra queste rivendicazioni reali - ovvero che scuriscono dalla dinamica della lotta di classe – e quelle artificiali, studiate a tavolino, riportate nelle “piattaforme” sindacali ma che non trovano riscontro nella reazione di classe.

Così come c’è una differenza enorme tra la reale temperatura, misurata sui posti di lavoro, della quotidiana lotta proletaria e quanto viene descritto dei comunicati sindacali il giorno dopo gli scioperi rituali. Il giorno successivo allo sciopero ogni sindacato produce infatti i soliti proclami entusiasmanti. Ci chiediamo: se spesso la partecipazione è poco numerosa, se gli impianti continuano a funzionare quasi indisturbati, se nessuna richiesta della “piattaforma” è stata accettata, se le riforme dei governi continuano ad andare avanti, se sono decenni che la classe lavoratrice peggiora le proprie condizioni, che senso hanno questi proclami entusiasmanti? Capiamo che a volte, visto l’arretramento della classe, anche piccole reazioni possono essere accolte con entusiasmo ma qui siamo di fronte a vere e proprie opere di mistificazione. I proclami del giorno dopo costituiscono infatti una descrizione totalmente distorta della realtà, una falsificazione utile magari alle sigle sindacali ma che diffondere illusione e confusione tra i lavoratori.

Oltre che sui siti web sindacali, tali proclami altisonanti li ritroviamo spesso anche sui siti web e sulla stampa di diverse realtà politiche comuniste che – invece di sviluppare la loro pratica di intervento analizzando la realtà – cercano di adattare la descrizione dei fatti ai loro dogmi e alle loro illusioni. Ripetiamo, è comprensibile in caso di episodi di lotta descriverli anche con un poco di entusiasmo ma altra cosa è rappresentare una realtà che non c’è. Se la lotta di classe proletaria è debolissima, come lo è oggi, la peggior cosa che un comunista possa fare è inventarsela forte e combattiva!

Gli elementi di critica che sopra abbiamo evidenziato sono strettamente legati, a nostro modo di vedere, alla reale natura dei sindacati di base. Questi sono sostanzialmente organizzazioni politico-sindacali. Come già abbiamo fatto in altre occasioni ribadiamo che tali realtà sindacali fanno leva sì sul tema rivendicativo ma di fatto sono sempre nate per iniziativa di organizzazioni del radical-riformismo, di militanti (o “ex”) politici, in alcuni casi anche con un passato nel campo internazionalista. Ciò lo vediamo chiaramente sia dal peso che assumano gli slogan del radical-rifomismo nelle diverse “piattaforme rivendicative” che dalle indicazioni strettamente politiche che queste sigle sindacali promuovono (2).

Viste le nostre analisi, a volte – spesso in mala fede – veniamo descritti come dei settari e degli infantili estremisti ma in realtà noi non guardiamo ai fenomeni che riguardano la classe con distacco e non abbiamo mai promosso il boicottaggio di questo e quello sciopero. Ciò che ci preme è sostenere le lotte proletarie ed intervenire politicamente in esse, cercando di far maturare coscienza rivoluzionaria, adottando modalità di intervento che siano in sintonia con le nostra analisi circa la natura dei sindacati e con quanto il sindacalismo di base abbia espresso negli anni.

Aldilà della questione squisitamente vertenziale, il sindacalismo confederale rappresenta una vera e propria istituzione dell’apparato borghese, volto quindi chiaramente alla difesa della struttura capitalistica. Il sindacalismo di base è per alcuni aspetti diverso da quello confederale ma ad ogni modo svolge esso stesso un ruolo politico controrivoluzionario, in quanto costituisce la parte più estrema del riformismo e trasmette tra i lavoratori posizioni non comuniste. Oggi gran parte dei lavoratori possiede una tessera sindacale ma, di fatto, c’è poca militanza attiva da parte dei lavoratori nei sindacati confederali. Ed un discorso simile vale anche per il sindacalismo di base, dove i lavoratori veramente attivi nella struttura continuano ad essere pochi e perlopiù si tratta di minoranze legate ad organizzazioni politiche. Ma, aldilà di questi aspetti, va detto che entrambi (di base e confederale) saranno definitivamente superati dai lavoratoti solo quando la classe proletaria supererà definitivamente – appunto - istituzioni borghesi e riformismo, ovvero quando prenderà il potere politico e si dirigerà verso la trasformazione comunista della società. Fino a quel momento i sindacati continueranno ad esistere, continueranno a svolgere il proprio ruolo al di là della presa momentanea che potranno avere sulla classe.

Siamo coscienti quindi che i sindacati saranno presenti ancora sui posti di lavoro e potranno in certi casi anche controllare o intervenire in possibili lotte della classe proletaria; così come bisogna essere coscienti del ruolo politico controrivoluzionario del sindacalismo in ogni sua versione. Noi non siamo settari ed infantili estremisti. A differenza infatti di coloro che voglio curare solo la sigla sindacale di riferimento, partecipiamo ed interveniamo nella classe aldilà della presenza o meno di questo o quel sindacato, confederale o di base. Quello che escludiamo categoricamente è l’illusoria conquista dei sindacati da parte dei comunisti e la militanza attiva nei sindacati stessi. Ciò perché – appunto – essi rappresentano organismi permanenti controrivoluzionari: pezzi delle istituzioni borghesi e/o cinghie di trasmissioni del riformismo radicale.

Alcuni – anche in questo caso spesso in mala fede - cercano di criticare la nostra impostazione riducendo il tutto al possedere o meno una tessera sindacale. Per noi la pratica di intervento non si riduce a questo aspetto formale, secondario. Distinguiamo invece “strumento” ed “ambito” dei sindacati. Non ci interessa intervenire nello “strumento” sindacato, non ci interessa la militanza nei sindacati, non ci interessa “litigare” all’interno degli organismi di direzione dei sindacati per conquistare “posti di comando” e di “influenza”. Interveniamo invece negli “ambiti” prodotti dai sindacati, dove ci sono i lavoratori, la “base”, e non solo i dirigenti: manifestazioni, assemblee sindacali sui posti di lavoro, scioperi. Questo criterio di lavoro è quello che, a nostro modo di vedere, meglio si adatta oggi all’intervento politico comunista.

Nel nostro intervento favoriamo lo sviluppo di lotte autonome dai sindacati, ovvero favoriamo quelle forme che la stessa classe ha mostrato - attraverso percorsi certamente non semplici e lineari - già nello scorso secolo come strumenti attraverso i quali le lotte si esprimono quando tendono ad intensificarsi. Ma favorire ciò non significa per noi saltato contribuire allo sviluppo della lotta di classe su un piano di maggiore combattività, bensì significa favorire il processo di distacco dei lavoratori da organismi controrivoluzionari e dalle tante illusioni politiche riformiste che i sindacati incarnano. Non guardiamo quindi soltanto alla “combattività” o meno delle lotte ma andiamo oltre, favorendo quelli che possono essere per la classe i primi passi, necessari seppur non sufficienti, che vanno nella direzione della crescita politica dei proletari. Ma per spingere in avanti i proletari lungo questa direzione di crescita politica non ci limitiamo a favorire lo sviluppo di forme di lotta dal basso. Allo stesso tempo cerchiamo infatti di evidenziare il limite della lotta rivendicativa stessa, per iniziare ad aprire le porte al discorso politico comunista ed indirizzare i lavoratori più coscienti e combattivi verso la formazione di strumenti permanenti di intervento politico (quelli che denominiamo nei nostri documenti gruppi internazionalisti di fabbrica e territorio), la cui formazione è legata al lavoro di costruzione e radicamento del partito di classe.

Non vogliamo autocelebrarci ma, sinceramente, crediamo di essere tra i pochi ad aver posto negli ultimi anni in modo così netto e chiaro il problema dell’intervento *politico* comunista nelle lotte, e di aver sviluppato le nostre analisi non in astratto ma partendo dalla valutazione di esperienze concrete, nostre e della classe. Un lavoro certamente non facile – pratico e torico – che ovviamente intendiamo continuare a portare avanti. Invitiamo per questo i compagni che iniziano ad interessarsi alle posizioni internazionaliste e che, come noi, vogliono porsi il problema dell’intervento politico comunista tra i lavoratori senza paraocchi, miti e dogmi di sorta, lontani da posizioni movimentiste quanto da quelle idealiste/intellettuali, a fare un passo avanti, a darci una mano, per dare maggior forza a questo nostro lavoro.

NZ

(1) I tre eventi principali promossi dal sindacalismo di base in autunno sono stati: lo sciopero generale “di categoria” promosso dal SI COBAS (16 ottobre), lo sciopero generale dell’ USB (24 ottobre) e lo “sciopero generale del sindacalismo di base” indetto dai COBAS, CUB, USI, e ADL Cobas (14 novembre), al quale ha aderito anche il SI Cobas (il quale inoltre ha prodotto un comunicato dove annunciava per il 14 novembre la propria partecipazione alla manifestazione di Milano della FIOM/CGIL, criticando invece la manifestazione separata di USB e CUB).

Sui siti web delle rispettive organizzazioni sindacali viene dato grande risalto, con comunicati altisonanti, alle proprie iniziative, snobbando o quasi le iniziative delle sigle concorrenti.

Molto acceso, in particolare, è stato in questo autunno lo scontro tra l’USB e SI COBAS, come il lettore potrà costatare leggendo gli articoli e i comunicati che queste sigle sindacali hanno prodotto. In generale non sono mancate frecciatine e critiche più o meno velate tra i diversi sindacati di base, anche in merito alla giornata unitaria del 14 novembre.

(2) Abbiamo più volte evidenziato la radice radicalriformista delle posizioni politiche espresse dal sindacalismo di base. Gli articoli più recenti dove trattiamo questo argomento sono: “Il SI COBAS, il mito della Palestina libera e la pratica comunista”, “La lotta dei facchini e l’intervento politico”, “Critica al Coordinamento No Austerity e al sindacalismo radicale”, articoli consultabili sul nostro sito web.

Mercoledì, November 12, 2014