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Home ›Una via d'uscita dalla crisi: il potere ai lavoratori
Volantino per lo sciopero generale del 12 dicembre 2014
Se sei una lavoratrice o un lavoratore e sono anni che vedi il tuo orario, i tuoi ritmi e i tuoi carichi aumentare con la paura di perdere il posto, mentre il salario scende; se il lavoro non ce l'hai o sei precaria; se sei uno studente figlio di lavoratori, se, insomma, appartieni alla classe lavoratrice ...
... allora sai con quanta brutalità la crisi si è abbattuta su di noi, schiacciandoci economicamente e politicamente, sì, politicamente, perché il senso di inefficacia, di rassegnazione e ricatto che incombe, oggi, sulle nostre teste, nei luoghi di lavoro, è parte della medesima aggressione.
La crisi del sistema si traduce in: Jobs act, legge di stabilità (tagli pesantissimi a enti locali, sanità, scuola, trasporti, servizi...), piano scuola, sblocca Italia, TTIP..., affonda insomma un peggioramento delle nostre condizioni di vita e di lavoro progressivo e crescente nel tempo. Al contempo si preoccupano di depotenziare minuziosamente le nostre capacità di risposta, visione e organizzazione politica.
Di chi è la responsabilità materiale per tutto questo? La classe sociale della borghesia ha la responsabilità di governare il sistema, un sistema che vive per accumulare profitto, profitto che cresce solo aumentando lo sfruttamento del lavoro. Questa è la crisi, questo è il capitalismo, e il capitalismo non potrà mai essere diverso da sé stesso.
I più vigliacchi se la prendono con i più deboli (immigrati e zingari) e strisciano davanti ai potenti.
Le forze politiche e sindacali, anche quelle che appaiono più “radicali”, istituzionali o meno, hanno di fatto accettato questa logica e le sue regole. Dimostrazione ne è il fatto che se ci chiedono di mobilitarci, nel migliore dei casi, questo avviene sempre e solo per cercare di migliorare la nostra vita di sfruttati, mai per combattere lo sfruttamento alla radice. Ma il loro vero fine è in realtà esclusivamente quello di sedersi al tavolo delle trattative, illuderci sulla possibilità di un capitalismo dal volto umano, deviarci in binari morti.
Al contrario noi vi diciamo che se oggi siamo perdenti è anche e sopratutto perché continuiamo a ragionare con schemi e logiche (il sindacato, la democrazia, il progresso...) non adeguate ai tempi che viviamo.
Ogni singola lotta, contro ogni singolo aspetto dell'attacco che subiamo – se non vuole essere destinata a spegnersi nello sconforto – deve ripensarsi in un ottica diversa, cioè come un tassello di una prospettiva più ampia e generale. Giusto e necessario lottare per difendere le nostre condizioni, ma al contempo è fondamentale prendere coscienza dei limiti di queste lotte.
Le singole resistenze alle aggressioni economiche – e ambientali ecc. – devono essere viste come differenti passaggi verso l'affermazione di un nuovo sistema economico e sociale fondato non più sul profitto economico, ma sul soddisfacimento dei bisogni umani, in armonia con la natura, sul socialismo. Rinforzare le lotte immediate al fuoco della battaglia contro il capitalismo. È per questo imprescindibile impegnarsi, con noi, nel difficile lavoro di ricostruzione di un autentico partito di classe, per organizzare e rendere viva e attiva, in ogni conflitto, la presenza di un punto di vista anticapitalista e di classe.
O siamo capaci di ricollocare i singoli conflitti all'interno di questa visione generale e dei suoi significati, oppure assecondiamo la nostra continua ritirata, nei fatti una fuga verso il baratro.
Chi ci ha governato fino ad oggi si è ampiamente dimostrato incapace di uscire dalla crisi, molto abile invece nello spegnerci e sfruttarci. Chi fino ad oggi ha finto di opporsi, nei fatti ha sempre finito per accettare tutto, dalla regolamentazione degli scioperi, ai tetti salariali, all'applicazione delle peggiori forme contrattuali... è, insomma, complice. Tutti questi parassiti ammanicati si dovranno fare da parte, dovremo metterli da parte: saremo noi lavoratrici e lavoratori a dover prendere in mano la situazione.
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