Zurigo: manovre monetarie mentre la crisi avanza

Improvviso è stato l’annuncio, da parte della Svizzera, di un intervento correttivo sul tasso ufficiale di cambio della propria moneta con l’euro: è stata abbandonata la soglia minima di 1,20 franchi svizzeri per euro, portandola sotto quota 1:1. Sono stati tagliati pure i tassi di riferimento sui depositi, e per ostacolare il facile acquisto di franchi svizzeri, la BNS non pagherà più interessi sui depositi in banche svizzere ma anzi si avrà un costo che arriva fino all’1,5% annuo.

Il tutto conferma che le tensioni sui mercati valutari sono il seguito della crisi che si trascina di anno in anno ovunque nel mondo, alimentando forti divergenze tra gli Stati nei loro tentativi di ricorsi a manovre monetarie per sorreggere un agonizzante sistema economico che sfugge ad ogni controllo e speranza di guarigione. Lo sganciamento della moneta svizzera dall'euro va visto perciò entro il quadro macroeconomico europeo e globale nel quale si agita, affondando, la conservazione del capitalismo.

La Banca Centrale Svizzera (Swiss National Bank - BNS) aveva mantenuto negli ultimi tre anni una politica di difesa del tasso di cambio cercando di evitare che la propria moneta, da più parti vista come un bene rifugio, aumentasse troppo di valore rispetto a quella europea e al dollaro. Si cercò di evitare un aumento delle difficoltà per il commercio nazionale.

Ma la corsa al franco svizzero come valuta-rifugio e il calo dell'euro sul dollaro, da tempo in atto, avevano provocato anche il deprezzamento dello stesso franco nei confronti del biglietto verde. La crisi finanziaria ha contribuito ad alimentare la bolla speculativa basata sull’acquisto di franchi svizzeri, con la speranza di un loro aumento di prezzo.

Necessario intervenire, dunque, anche se ora, a seguito delle recenti operazioni, si registrano perdite che il giornale tedesco Blick calcola in una cifra pari al totale dei salari percepiti dai proletari elvetici in un anno… La BCS avrebbe “alleggerito” le proprie casse di circa 60 miliardi di franchi, mentre altri 20 miliardi li avrebbe persi l’Istituto Pensionistico Nazionale. A spese del solito Pantalone…

A seguito dello scangiamento del franco svizzero dall’euro, la valuta di Zurigo viene spinta al rialzo, mentre si calcola complessivamente che la Svizzera abbia già perso 360 miliardi di franchi. Anche Deutsche Bank e Barclays avrebbero perso 150 milioni di dollari, la prima, e 100 milioni la seconda (agenzia Bloomberg).

Inoltre, le immissioni monetarie promesse da Draghi hanno minacciato di far esplodere le casse svizzere: gli annunci del Quantitative easing della Bce potevano avere effetti negativi sul franco svizzero. Occorreva sganciare il franco (sottovalutato) dall’euro, nel tentativo di porre un freno alle speculazioni valutarie. Quindi, rivalutazione del franco (il suo acquisto sarà più caro), flessibilità nel cambio e una ridotta stampa di franchi per scambiarli con euro. Infatti, col suo programma di acquisto di titoli di Stato, la Bce contribuirà di certo ad indebolire ulteriormente l’euro rispetto al dollaro e a provocare flessioni anche sul franco svizzero. Vi era ad ogni modo da temere altri movimenti dall’euro al franco, ovvero pacchi di euro in cerca di riparo nelle casse della Banca svizzera.

Fino a ieri la BNS, per rispondere alla domanda di franchi in cambio di euro e dollari, era costretta a mantenere stabile il cambio a favore del franco. Ma il quantitativo delle sue riserve ufficiali in valuta estera continuava ad aumentare fino a farle occupare il quarto posto dopo Giappone, Cina e Arabia Saudita, con un esagerato rapporto riserve/Pil prossimo addirittura all’80 per cento. Si parla di riserve in euro, nella BNS, aumentate di dieci volte solo negli ultimi anni, come conseguenza dovuta alle ingenti somme di euro che anno dopo anno si sono spostate a Zurigo e a Lugano. A quel punto, mantenere l’agganciamento all’euro poteva costituire un pericolo per il franco svizzero che anche nei confronti del dollaro aveva in un anno perso circa il 15 per cento.

Il livello di cambio imposto a 1,20 risale al 2011 dopo che nell’ottobre 2007 era stato toccato il limite storico a 1,679. Contro quella che stava pericolosamente diventando una sopravvalutazione del franco svizzero, era stato introdotto il cosiddetto “floor” sul tasso di cambio, costringendo però il Governo svizzero negli anni successivi all’acquisto di grandi quantità di euro per controbilanciare la eccessiva domanda di franchi svizzeri. Gli interventi difensivi della BNS furono da allora una norma obbligata per mantenere quello che in pratica era un blocco di apprezzamento del franco rispetto all’euro. Si trattava di controllare gli afflussi costanti di capitali esteri (in forma monetaria) verso Zurigo. La situazione, fra l’altro, costringeva il franco a un deprezzamento anche verso il dollaro, e diventava alla lunga insostenibile il meccanismo del cambio fisso di fronte ad una agitata realtà dei mercati valutari.

La manovra attuata della Svizzera si presenta dunque come il tentativo di aggiustamento di una situazione che si pretende ad… “equilibrio dinamico”, nel speranza di arginare il pericolo di una restrizione indesiderata delle condizioni monetarie, la quale sarebbe conseguente ad un apprezzamento eccessivo del franco svizzero, con altre e maggiori ricadute negative sia sulla crescita sia sull’inflazione del Paese. Un Paese, la Svizzera, che nel suo cosiddetto “isolamento dorato”, si trova alle prese con un Pil in calo (pochi decimali sopra lo zero), esportazioni al palo e il consumo interno anch’esso in panne. Si ammette pubblicamente la diminuzione del Pil rispetto alle già basse previsioni, mentre delle illusioni di imminente crescita economica non si parla più.

Nessun Stato capitalista può sottrarsi agli effetti di una crisi che si diffonde a seguito dei convulsi movimenti del capitale sull’intero Pianeta. Per tutti rallenta la domanda di beni industriali (e la Svizzera oltretutto esporta poco meno del 50% delle proprie merci in Europa); si fermano gli investimenti; scendono le spese “pubbliche”; avanza la deflazione quale bestia nera del capitalismo.

La correzione di un cambio che si riteneva “troppo penalizzante”, come sempre accade con operazioni del genere ha effetti immediatamente più negativi per i ricavi che non positivi per i costi. Inevitabile è stata quindi una caduta verticale della Borsa di Zurigo (ma non solo) riguardo ai prezzi dei titoli azionari delle imprese svizzere esportatrici.

Di fronte alla rivalutazione del franco, sia l’industria di esportazione che il turismo svizzeri sono entrati in allarme: potrebbe risentirne la loro competitività con l’Eurozona, tanto più che la Bce sta cercando di indebolire l’euro rispetto ad altre valute. In particolare ne subiranno le conseguenze i prodotti di fascia medio bassa e, dulcis in fundo, l’occupazione.

I responsabili degli investimenti bancari vedono già nelle loro sfere di cristallo un calo dell’export elvetico di 5 miliardi di franchi, con un conseguente calo del Pil dello 0,7 per cento. Ma c’è dell’altro: decine e decine di miliardi di euro sono stati sottoscritti, come mutui immobiliari in franchi svizzeri e con un controvalore in dollari, da “cittadini” polacchi, ungheresi e di altri Stati dell’Eurozona. Con l’aumento delle rate di rimborso, ne risentiranno le Banche e il loro sistema a seguito del moltiplicarsi dei crediti in sofferenza.

Come sopra detto, avendo in cassa notevoli quantità di euro depositati da aziende internazionali e istituzioni finanziarie in cambio di franchi svizzeri, era in verità suonato da tempo un campanello d’allarme (si è parlato di una massiccia invasione di euro nel Pil svizzero. Era inevitabile un annuncio di apprezzamento del franco, con la consapevolezza di dover purtroppo diffondere proteste soprattutto nelle piccole imprese svizzere che commerciano in euro. Sono in molti a protestare, fra cui le aziende Nestlé, Lindt e le case farmaceutiche.

Ma più che per gli imprenditori – e di questo siamo più che certi – saranno i proletari svizzeri a versare lacrime amare.

DC
Giovedì, February 12, 2015