Considerazioni su Expo e dintorni

Considerazioni di un compagno su Expo e grandi opere

Da Italia 90 al Giubileo del 2000, lo Stivale non è certo nuovo ad "eventi" di vasta risonanza che calamitano sul territorio cemento, devastazione ambientale e corruzione. Tutti noi ricordiamo i colossi di cemento e acciaio che hanno prosciugato le casse del bilancio per generare mostri come lo stadio Delle Alpi di Torino, mandato in pensione dopo pochi anni.

L'Expo è uno di questi eventi, contrabbandati agli occhi dell'opinione pubblica come “grandi occasioni di visibilità per un paese che ha bisogno di flussi di denaro, investimenti e posti di lavoro”. La dinamica ideologica è la stessa che c'è dietro altre grandi opere come la Tav, il mostrare agli altri paesi sviluppati che “noi non siamo da meno”, e che in quanto a competizione quando vogliamo non ci batte nessuno. Basterebbe invece dare un occhio ai conti pubblici per capire come si tende sempre a fare il passo più lungo della gamba.

È su questi presupposti che già nel 2007 nascono i primi Comitati contro l'organizzazione di Expo 2015 a Milano.

Intanto appunto mancano i soldi, e quei pochi che ci sono andrebbero utilizzati - volendo per assurdo ragionare in un'ottica democratica "etica"- nella cura dell'esistente, e non nella creazione del nuovo-inutile: ma d'altronde siamo nel paese della Salerno-Reggio Calabria, della quale da circa 40 anni se ne posticipa di tanto in tanto l'inaugurazione ed è ancora lì, anche lei ormai quasi in età pensionabile.

Al di là dell'utilità e dell'anacronismo di un Esposizione Universale nel 2015 che tanto rimandano alla Belle Epoque, l'ipocrisia di questa in particolare sta nel fare sfilare in passerella ad esempio colossi economici a dir poco criminali come la Monsanto, responsabile di danni catastrofici all'agricoltura, cioè ai contadini poveri del Terzo Mondo detenendo il monopolio dei brevetti sulle sementi, torchia i contadini che se sorpresi a coltivare con sementi “non autorizzate”, vengono espropriati e fatti a pezzi non solo nelle aule di tribunale, ma anche in senso letterale.

Oltre alla Monsanto sfilano in parata Mc Donald, responsabile della deforestazione dell'Amazzonia per adibire intere aree ex forestali a pascolo, privando così il pianeta del suo maggiore polmone verde, produttore di fotosintesi clorofilliana e quindi di ossigeno. Oppure Eni, che corrompe in Algeria, devasta l'ambiente del delta del Niger con la conseguente morte di centinaia di pescatori.

Di sicuro non si metteranno in discussione le monoculture e gli OGM nonostante ormai da anni se ne conoscano gli effetti e la portata.

La speculazione edilizia e la cementificazione del territorio milanese ha tratto nuovo impulso dell'Expo, grazie anche all'iniezione di denaro di… dubbia provenienza. In effetti sono già scattate le prime manette, e tra gli indagati figura pure un certo Primo Greganti, reduce di Tangentopoli. È cosa nota l'infiltrazione della 'ndrangheta nelle cittadine dell'hinterland come Buccinasco, Rho o Corsico che riesce assai difficile pensare che in termini di appalti gli affiliati ai clan non abbiano avuto voce in capitolo. Tant'è che la città si è gonfiata a dismisura, con tanto di skyline stile Manhattan, e poi ancora Citylife, Santa Giulia, la devastazione del Parco Sud, le infrastrutture adiacenti alla tangenziale, la Tav, ecc. Costo dell'operazione: 10 miliardi di euro. Chi ne beneficerà? Non certo i dipendenti, assunti con le più schifose tipologie contrattuali che vanno dal lavoro nero al caporalato, ai contratti a termine, con paghe da fame, persino nulle, e con un incremento occupazionale ben al di sotto dei 70.000 posti promessi.

Possiamo dire invece su chi ricadranno i costi: sul proletariato, sul mondo del lavoro dipendente in termini di tagli da altre voci di spesa pubblica, di cosiddetti beni comuni privatizzati, di territori agricoli e a parco devastati.

Di fronte ai costi enormi dell'operazione, che pesa su un "corpo sociale" già agonizzante - dove la guerra tra poveri è all'ordine del giorno perché è molto più facile, visto il martellamento ideologico padronale, guardare all'immigrato come al cane che ti vuol fregare l'osso piuttosto che al padrone che si tiene le ossa in tasca e ne tira fuori uno al grido di "Sbranatevi! ". Qualcuno prova a ribellarsi. Certo con posizioni legate esclusivamente alla tutela del territorio che raramente sfocia in una critica generale al capitalismo, o se c'è la critica manca però la prospettiva che per noi è rivoluzionaria. Certo non può essere diversamente vista l'impronta radicalriformista di un movimento eterogeneo fatto di comitati, di sindacati di base, di centri sociali. Quello che non manca è la rabbia, e questa esplode nel pomeriggio del 1 maggio.

Ed esplode con le stesse modalità delle ultime manifestazioni di conflitto di questi anni. Militarizzazione di una parte del corteo, che però niente può contro i lacrimogeni CS sparati anche stavolta a centinaia, e ricorso – sempre per una parte del corteo - ai gesti individuali di chi individua nella "cosa" materiale il simbolo da colpire, che si chiami Bancomat o Suv.

Al di là della critica alla piattaforma politica (di matrice radical riformista) che anima spesso le manifestazioni, in un corteo bisogna stare compatti, organizzati e disciplinati, dando la priorità al contenuto politico attraverso volantinaggi, slogan e interventi al microfono però allo stesso tempo preparati al peggio, ma senza MAI concedere alcuno spazio alle cazzate individuali. Ma purtroppo tutta la confusione di questi atti estemporanei di ribellismo, è figlia dell'estrema frammentazione politica di un movimento che manca di quella compattezza che solo un progetto politico di superamento del capitalismo può dare. Il progetto comunista.

Il bilancio del giorno dopo è il blablabla dei perbenisti e dei benpensanti che si indignano sempre quando gli tocchi la vetrina della banca. Di sicuro non sono loro il nostro referente politico, quelli che devono recepire i contenuti di classe. Ma bisogna comunque evitare di compiere due errori: il primo è l'autoreferenzialità di chi se la canta e se la suona da solo in una pratica che non va oltre la sterile esibizione di muscoli ma che non incide minimamente su ciò che si vorrebbe fermare, in questo caso l'Expo. È perfino superfluo sottolineare l'inutilità politica di certe azioni che si ammanta di politico solo per nascondere la propria povertà di contenuti. In più c'è l'aggravante che la gente non ti si fila, anzi ti da pure contro schierandosi con le istituzioni, e se ti definisce rivoluzionario avere le masse dietro è fondamentale e alienartene le simpatie è quantomeno idiota. Il secondo è prestare ulteriormente il fianco a una repressione che non ha certo bisogno di farsi pregare, il più delle volte appunto invocata da quegli italioti che soprassiedono sempre e comunque quando si tratta di corruzione, mafia, appalti truccati, cementificazione del territorio, devastazione ambientale, ma sono sempre pronti a tuonare se la protesta supera gli argini imposti dal buonsenso, dal "senso civico", dalla “democrazia”.

Solo con un'organizzazione rivoluzionaria compatta nel suo corpo di tesi e nella sua prospettiva di abbattimento del capitalismo il proletariato potrà costituire davvero una minaccia per quella minoranza di parassiti che affamano la maggioranza del pianeta.

IB
Sabato, May 16, 2015