Da Milano, passando per Bologna e arrivando a Roma

Le manifestazioni di Milano contro l'Expo e quella centrale di Roma degli insegnanti e degli studenti contro “la buona scuola”, pur nelle diverse specificità di mobilitazione e delle peculiari dinamiche che le hanno contraddistinte, impongono una riflessione da cui non ci si può esimere.

Che cosa sia Expo-MI e “la buona scuola” lo abbiamo già chiarito nelle nostre prese di posizione anche dalle pagine di questo giornale, e sicuramente possiamo dire che a livello generale si è espressa una certa consapevolezza del significato dei due eventi, non fosse altro che per le ricadute materiali del loro portato: l'uno come apripista di sperimentazione delle nuove forme di lavoro schiavile che fanno della sottoccupazione e dello sfruttamento intensivo il loro perno, l'altro come l'ennesimo attacco al mondo del lavoro strutturato, nonché alla trasformazione della scuola quale istituzione piegata alla logica del profitto e modellata sulle esigenze delle imprese, sia nei sui processi di formazione che di gerarchizzazione interna.

In questo senso le due piazze registrano dei dati comuni:

  1. in ambedue i casi la mobilitazione si è misurata oggettivamente con gli “effetti” degli attuali processi di ristrutturazione capitalistici nella crisi con l' abbassamento drastico del valore della forza lavoro nelle sue diverse forme e i corrispettivi livelli di subordinazione materiale che gli corrispondono: nelle condizioni di vita materiale, nel rapporto di lavoro immediato.
  2. Le mobilitazioni di fronte a loro hanno trovato il muro invalicabile delle logiche politiche che incarnano oggi gli interessi generali della borghesia. Logiche che hanno fatto saltare il quadro della mediazione fra le classi precedente, volendo disegnare la condizione proletaria e della classe lavoratrice in uno stato di perenne subalternità rispetto alle decisioni che ruotano intorno agli interessi borghesi, imponendo e costruendo un quadro di “pacificazione” imposto.
  3. Ambedue le manifestazioni hanno espresso, seppur con aspetti diversi, i limiti politici presenti nel movimento di classe e d'avanguardia (di chi si pone soggettivamente come tale), non tanto e non solo come prodotti della spontaneità, che naturalmente riproduce nel suo muoversi i limiti della condizione immediata, ma perché in esse si è riflessa, da un lato, la separatezza che vive oggettivamente fra i vari spezzoni di classe, dall'altro ha indicato come i possibili fattori di sviluppo siano ancora estremamente minoritari. Sono infatti legati ad una dimensione embrionale e ristretta, rispetto a quelli, maggioritari, negativi, che hanno accompagnato l'arretramento di classe negli ultimi decenni, non ultimi gli involucri politici e/o sindacali su cui si sono attestate le espressioni di classe, finendo su un terreno perdente ed inadeguato ad affrontare la stessa offensiva capitalistica, oscillando fra un estremismo senza progetto e un riformismo senza sbocchi effettivi.

Fin qui i dati in comune.

Da Milano...

La piazza di Milano ha catalizzato quell'insieme di movimenti, sindacalismo di base, strutture politiche che intorno all'evento hanno costruito la scadenza e i contenuti della manifestazione sulla alla parola d'ordine generale del “NO-EXPO”.

Gran parte delle disamine successive alla manifestazione sono ruotate intorno agli scontri che ne hanno catalizzato il corso.

Diciamo subito che per noi questo è forse l'aspetto meno rilevante della questione. Non è che non lo prendiamo in considerazione, ma sicuramente lo facciamo fuori dal clamore “mediatico” interessato della borghesia, nonché dalle recriminazioni ex-post di varia natura di vecchi e nuovi opportunisti.

Due i punti che prendiamo in considerazione.

Il primo, e se si vuole il meno importante, è la gestione della piazza nelle “forme del conflitto” messe in piedi da alcune componenti.

Diciamo subito che le “forme del conflitto”, in linea generale, rispecchiano sempre i contenuti politici che si hanno in testa

Il limite politico che riscontriamo è quello dell'aver vissuto la propria pratica esclusivamente in relazione all'”evento” e quindi alla costruzione del “controevento”, che con ugual forza scardinasse i presupposti di quanto messo in piedi dalla parte avversa.

All' “evento Expo” si è voluta porre sul terreno una pratica di rottura ritenuta altrettanto forte. In questa e solo in quest'ottica poteva trovare legittimazione il rapporto fra “mezzi e fini”, impegnando nello scopo immediato le proprie forze.

Nei discorsi successivi si è parlato della pratica del “riot” per lo più mutuata dalle esperienze nordeuropee e sopratutto nordamericane. Ma va detto che in quei contesti, e lo possiamo vedere anche ora negli States, “il riot” assume su di sé le caratteristiche di una insorgenza sociale, di una rivolta violenta e spontanea di masse povere urbanizzate che fanno direttamente i conti, nel loro incedere, contro la loro condizione sociale imposta e la violenza dello Stato, che si erge quotidianamente a garante di questa condizione di subordinazione. Ma, come ogni insorgenza sociale, si porta dietro problemi di prospettiva politica che, se non affrontati, alla lunga portano ad un quadro endemico di rivolte senza sbocchi.

Se di “riot” vogliamo parlare, nel nostro caso sarebbe meglio parlare di una sua “modellizzazione” funzionale agli scontri di piazza, portata avanti da settori di soggettività politica.

E' vero che la storia non si ripete mai uguale a se stessa e che la ripresa e lo sviluppo del conflitto di classe stesso si possono presentare anche in forme inedite e estremamente contraddittorie, facendo i conti con le condizioni mutate imposte dalla borghesia, ma sinceramente, per quello che ci riguarda, non ci pare che per i fatti di Milano si possa parlare di questo.

La nostra riflessione è totalmente avulsa dalla falsa contrapposizione violenza- non violenza che agita le altrettanto false coscienze di parte del ceto politico di sinistra estrema o meno. La violenza che il capitale mette oggi in campo e ciò che subiscono i proletari ad ogni latitudine del mondo non è per nulla paragonabile ai fatti di Milano. Ma ciò, da comunisti, non ci esime dal dire che la risoluzione di questo nodo, non può darsi semplicemente guardando al livello di violenza contrapposta esprimibile in una manifestazione, ma questo nodo va sciolto all'interno dei processi di costruzione dell'organizzazione di classe e d'avanguardia sul terreno concreto del suo sviluppo e nel confronto/scontro con la controparte.

E qui veniamo al secondo punto, quello che riteniamo assai più importante, ovvero come l'organizzazione del conflitto di classe si giochi principalmente all'interno delle lotte che la classe proletaria e lavoratrice mette in piedi nel confronto costante con l'offensiva borghese e le contraddizioni che produce. E' in questo contesto che si dà principalmente, a nostro avviso, il processo di accumulo di forza di classe e costruzione dell'avanguardia, avendo bene a mente che oggi ogni lotta, anche la più irrisoria, si scontra fin dal suo nascere con condizioni durissime, che la dinamica di ripiegamento, salvo rare eccezioni, né è la norma, che le forme autonome di classe spesso sono appena accennate e soggette a dispersione per i propri limiti politici o per la forza dell'avversario, che su ogni espressione di classe pesa complessivamente ed immediatamente la reazione della borghesia. Al modello del “riot”, dello spontaneismo più o meno organizzato, si tratta di anteporre un processo di costruzione politico-organizzativa di classe e d'avanguardia che, facendo i conti con le condizioni odierne, misuri le sue possibilità di iniziativa ed efficacia all'interno dei rapporti di forza, con la coscienza delle contraddizioni e dei problemi che una fase come l'odierna pone, senza fughe idealiste o rinculi meccanicisti.

... Passando per Bologna

L'episodio successo a Bologna, il pestaggio avvenuto delle insegnanti precarie che protestavano davanti ai cancelli sbarrati della “Festa (sic) dell'Unità” da parte delle forze di polizia, che hanno tranquillamente e disinvoltamente spaccato teste e braccia - notizia che è stata silenziata a tutti i livelli - in fondo è lo specchio di quanto affermavamo sopra.

Anche lì dove la protesta si esprime, non tanto in termini classisti, ma di semplice contestazione delle scelte governative, essa deve essere ricondotta in un ambito gestibile rispetto alle dinamiche di potere.

Ovviamente hanno pesato sull'evento fatti specifici, come la presenza in sede del “bamboccione fiorentino” e, nella miglior logica del “non disturbare il manovratore”, si è deciso di sgomberare il campo.

Ma, ciò detto, rimane il dato di fondo di una costante pervasiva, seppur calibrata e dosata agli scenari concreti, con cui gli episodi di lotta vengono a confrontarsi.

La costante di questo modo di procedere non significa che siamo in “uno stato di polizia” tout-court, come se prima splendesse la democrazia, ma che semplicemente segna una fase in cui all'oggettivo irrigidimento dei rapporti fra le classi imposto dalle logiche borghesi corrisponde una gestione siffatta dei momenti di conflitto, che non esclude, anzi presuppone, attraverso un depotenziamento di vario grado e natura fino alla criminalizzazione tout-court, il recupero, in ambiti di gestione istituzionali o la marginalizzazione/contenimento, dei momenti di lotta e organizzazione proletaria.

Una dialettica nella gestione del conflitto di classe che misura sempre la sua profondità con lo stato dei rapporti di forza e la relativa stabilizzazione del quadro borghese, e che quindi va anche oltre allo specifico aspetto della repressione - che ne è l'aspetto immediato e se si vuole di maggior impatto- mettendo in luce la debolezza della sola risposta di denuncia antirepressiva, seppur legittima e doverosa.

Ma questa condizione generale da cui nessuno è esente, paradossalmente ribadisce quanto dicevamo sopra: oggi c'è bisogno di ancor più “organizzazione” a tutti i livelli e le “fiammate” non bastano, per non dire che non servono a nulla, oggi c'è ancora più bisogno di costruire livelli politici ed organizzativi su cui stabilizzare i processi di accumulo di forza proletaria; oggi questo si può fare solo indicando e lavorando dentro una precisa prospettiva politica e programmatica, l'anticapitalismo, che, misurandosi tatticamente con il contesto concreto, sia capace di attestare una organizzazione di classe e d'avanguardia verso livelli via via più idonei.

E arrivando a Roma

La manifestazione contro la “Buona Scuola”, per la sua ampiezza e portata ha catalizzato a livello generale il movimento di opposizione contro l'attuale governo.

Questo dato obiettivo, che va al di là della stessa piattaforma della mobilitazione, è maturato, o comunque sentito, come momento di coagulo della più vasta opposizione alle politiche governative.

Che la stessa mobilitazione si sia data dentro una manovra di recupero del sindacato confederale, rispetto al quadro di mobilitazioni precedenti che avevano attraversato il mondo della scuola e degli studenti, la dice tutta.

Ma questo dato obiettivo ha mostrato anche i suoi stessi limiti.

Limiti di categoria, se si vuole, che sostanzialmente rappresentano uno spezzone del mondo del lavoro e che il terreno “sindacale”( poco importa se in versione radicale o ufficiale) non ha potuto che approfondire, mancando una piattaforma generale di classe per la sua unificazione di interessi.

Su questo limite ha giocato a manbassa il recupero dei confederali, tenendo in conto anche la loro forza nel settore, presentatisi come unici rappresentanti della protesta, per riaprire un tavolo “fittizio” di trattativa davanti alle altrettanto finte aperture che il governo ha subito messo in campo, per calmierare la vastità reale della protesta, rilanciando poi subito l'impostazione della legge sulla scuola.

Anche in questo caso va rilevato che:

  1. le odierne politiche della borghesia non possono subire influenze da parte delle classi lavoratrici e quindi emerge il dato della loro intangibilità sostanziale;
  2. il governo del conflitto di classe che si produce contro gli effetti di queste politiche, pur non avendo margini sostanziali di mediazione, si avvale anche in questa fase degli strumenti predisposti storicamente al convogliamento-rappresentazione di questo conflitto nella dialettica borghese, prima fra tutti i sindacati;
  3. nel mondo del lavoro strutturato, oggi sotto pieno attacco, più forti si presentano i legami con le vecchie forme organizzate del movimento operaio della fase precedente, e più larghi di conseguenza i margini di manovra del riformismo variamente etichettato;
  4. su questa base “riformista”, più forti sono le dinamiche settoriali da un lato e il pascolare, dall'altro, di culture e posizioni politiche che, lungi dal lavorare per una effettiva alternativa a questo sistema, finiscono per preconizzarne un mutamento all'interno dello stesso, portando il movimento di classe su un terreno sostanzialmente perdente.

Giungendo alla fine del viaggio, si può dire che la nostra riflessione puntava a dare uno spaccato a tutto tondo, focalizzato nelle prime giornate di maggio, di quello che oggi attraversa il conflitto di classe. Sicuramente una risposta di classe si darà all'interno del lungo ciclo di crisi del capitalismo, ma lungi dall'essere un prodotto meccanico della crisi capitalistica, conteranno sempre più le forze concrete sul campo che definiscono l'indirizzo e la prospettiva della forza di classe.

Per questo la nostra critica alle “forme politiche” che assumono i movimenti di classe o le diverse soggettività politiche in campo, non è mai una “critica per la critica”, ma è per lo più tesa a mettere in luce lo stato reale della classe e dell'avanguardia di fronte ai nodi di ordine politico che la fase richiede. Come dicevamo, la fase odierna rende ancor più necessaria la necessità dell'“organizzazione” a tutti i livelli. Processi organizzativi che devono trovare il loro fulcro intorno alla prospettiva di mutamento dello stato attuale di cose in senso rivoluzionario, che trovino nell'anticapitalismo l'asse programmatico fondamentale, e che nella costruzione del Partito rivoluzionario il suo elemento di orientamento e, via via, di direzione effettiva come necessità imprescindibile della lotta di classe.

EG
Giovedì, May 21, 2015