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Home ›Draghi e il QE: ripresa economica, se ci sei batti un colpo
L’impressione che anche il presidente della Bce, Draghi, si trovi ormai in mutande, si va diffondendo fra gli stessi economisti borghesi, in buona parte perplessi davanti alle “manovre” di politica monetaria messe in campo dalla Bce. Specie dopo l’ultimo “colpo” di genio col quale Draghi ha azzerato il tasso di rifinanziamento delle Banche presso la Bce. Non solo, ma darà un "premio" (-0,40%) a quelle Banche che i soldi si impegneranno (i “raggiri” possibili non mancheranno!) ad impiegarli in finanziamenti per investimenti delle imprese e consumi delle famiglie. Il risultato sarà quindi quello che -- con l’attuale tasso di interesse a zero praticato dalla Bce -- le Banche faranno ottimi affari con gli interessi che invece loro applicano nel prestare denaro ad altri. Sarà invece appesantito il tasso negativo per i depositi delle Banche presso la Bce (da -0,30% a -0,40%).
In pratica le Banche si faranno dare dalla Bce, per esempio, un milione di euro e poi restituiranno dopo un anno solo 996 mila euro… Un perfezionamento del TLTRO (Target Long Term Refinancing Operations), con le banche che quindi potranno prendere a prestito dalla Banca centrale denaro a tasso bassissimo e poi usarlo con obblighi puramente formali. Una mossa “lucrosa” per l’ambiente finanziario, ma certamente non sufficiente a far sì che le banche si precipitino in fila a chiedere denaro per poi correre il rischio di prestar soldi che non si sa se potranno essere ben remunerati e soprattutto, alla fine, restituiti! E’ entrato intanto in vigore il “bail-in” per salvare l’eventuale crisi di un istituto di credito: le sue perdite saranno a carico dei privati (riduzione del valore delle azioni e interventi sui correntisti con depositi superiori ai 100mila euro). Insomma, il capitale è veramente un “bene comune”!
Quanto agli acquisti mensili di Titoli di Stato effettuati dalla Bce, passeranno da 60 a 80 mld di euro (avanti con la stampa di moneta!) e in più vi saranno compresi anche titoli emessi da imprese non finanziarie purché ad alto rating. Le grandi imprese industriali sono le prime ad applaudire: il mercato delle obbligazioni societarie (i corporate bond) già si aggira attorno ai 900 mld di euro (la Francia con 209 mld, la Germania 122 mld e l’Italia 69 mld) e si incrementerà ulteriormente. Quelle obbligazioni si potranno vendere alla Bce, poi riacquistarle al tasso di rendimento del momento e rivenderle a prezzi più alti. (Il loro prezzo è inversamente proporzionale al rendimento…). Lo scandalo – per le intelligenze borghesi di… “sinistra” - consisterebbe nel fatto che dall’operazione sono escluse le medie e piccole imprese, le quali avrebbero invece “bisogno” di sostegno ai loro profitti in crisi!
Molti fra gli “esperti” sono turbati e recriminano: così facendo si aumenta solo la speculazione e i giochi dei corsi di Borsa! Ma perché mai – protestano – non ci si concentra invece su “misure” determinanti l’aumento della domanda aggregata? Il guaio è però che siccome dovrebbe trattarsi di una domanda “reale e concreta”, ecco che i pesci da pigliare all’amo non ci sono…
Economisti… marxiani
Un breve appunto a proposito di una certa parte della intelligenza borghese che ama definirsi ”progressista” e si ritiene più a sinistra della sinistra ufficiale. Vi si può trovare qualcuno che, professandosi addirittura “economista marxiano”, si atteggia a “teorico” anti-dogmatico e innovativo. Meglio ancora se risulta in buoni rapporti con alcuni pensieri e tradizionali opinioni sia di un Keynes che di uno Sraffa.
Attorno al denaro, alle relazioni monetarie internazionali, alle questioni della “moneta unica” europea e della liberalizzazione o “regolato controllo” della finanza, si chiacchiera spesso in certi ambienti inoltrandosi nel terreno fangoso delle politiche fiscali e monetarie, al fine (non sempre riconosciuto ma presente) di garantire la “connessione” tra denaro e forza-lavoro. Insomma, acqua ai mulini delle “dissidenze monetarie” con escursioni teoriche tra artificiosi modelli di una moneta comune però circolante soltanto fra banche centrali, in un sistema di cambi fissi ma aggiustabili, come la pensava Keynes con il suo bancor ai tempi di Bretton Woods (1944). Quasi tutti poi li abbiamo visti entusiasti per la Tobin tax… “Innovativi”, appunto.
Va detto inoltre che anche il pensiero keynesiano si nutriva, sotto sotto, della fantasiosa possibilità di creare denaro dal nulla e con questo ridare ossigeno ad una accumulazione che andava pur sempre salvaguardata, nonché ad una ripresa dell’occupazione operaia e quindi dei profitti industriali. Insomma, si creino risorse monetarie e la “crescita” del capitalismo riprenderà vigore! Si tratterebbe di un denaro magicamente formatosi con una emissione di obbligazioni (e con indebitamenti dei consumatori che poi dovranno restituire i crediti ricevuti con tanto di interesse); una quantità di denaro che dovrebbe di per sé aumentare produzione, domanda e consumo di merci… Inoltre, si potrebbe anche monetizzare il debito pubblico mettendo in circolazione altro nuovo denaro-moneta:. Qualcuno, dubbioso, si chiede: ma poi a chi andrebbe? Opere pubbliche – suggeriva Keynes – e quindi salari a chi… scava buchi e poi li riempie di terra! E nel frattempo, si può sempre ritornare ad una privatizzazione (altrettanto fallimentare) di servizi e imprese pubbliche… Un colpo al cerchio e uno alla botte.
Keynes chiamava il profitto (quale vero determinante degli investimenti) “l’efficienza marginale del capitale”. Non si muove foglia, nella borghese società, se non c’è profitto. Né si può certo pensare, sotto il capitalismo, ad un diverso status quo della distribuzione tra le classi sociali, all’insegna sempre del “giusto profitto” e del rigore (sappiamo tutti a spese di chi!) nei bilanci pubblici. Ma ora che anche gli extra profitti accumulati negli ultimi decenni sono ormai esauriti – o si consumano quale “ricchezza” di pochi milioni di individui in un mondo dove si ammassano più di sette miliardi di uomini e donne che in gran parte quelle ricchezze mai potranno godere – ci si trova di fronte alla cruda realtà di un saggio medio di profitto per il capitale tendenzialmente in ribasso. Alcuni vorrebbero che i capitalisti del settore industriale si accontentassero di quel che oggi passa il convento ovvero un po’ di moderata “stagnazione”. Altri cercano di stringere quanto più possibile il cappio al collo del proletariato, sperando che questi accetti il tutto senza ribellarsi: purtroppo è quel che accade, almeno fino ad oggi. In un modo o nell’altro si affonda inesorabilmente nella palude di una crisi globale, economica e sociale, dapprima strisciante e poi sempre più esplosiva!
Rafforzare il QE?
Le iniziative di Draghi (suo estimatore sarebbe persino un Toni Negri…) si presentano come un’alternativa di stimolo al QE puro, quello che fino ad oggi non ha dato gli sperati risultati. Non solo guardando all’Europa, visto che a livello globale le previsioni inflazionistiche (le quali per i capitalisti sarebbero manna dal cielo…) sono ai minimi storici, con Usa e soprattutto Giappone zoppicanti.
In bilico su una situazione finanziaria a ben vedere (e di per sé) già “esplosiva”, quella del finanziamento di attività produttive (di plusvalore) è una barzelletta da avanspettacolo. Lo spettacolo vero, quasi funereo, si svolge fuori da questo teatrino, in un mare tempestoso dove si agitano e affondano – secondo le “loro” stesse stime – circa un quadrilione di dollari, valuta cartacea definita fittiziamente “ricchezza finanziaria” e che affannosamente (quale denaro che invano aspira a diventare capitale) cerca masse di plusvalore con le quali garantirsi una soddisfacente rimuneratività.
Oggi c’è una sola “produzione”, del tutto artificiosa nonostante in ogni modo (compresi quelli apertamente criminali) si tenti di accelerarla: quella di capitale fittizio, di nome ma non di fatto. E i tentativi di una fasulla espansione di moneta (e di credito) attraverso la politica del quantitative easing, invece di creare un'inflazione “sana”, intorno al 2% come vorrebbero gli economisti borghesi, altro non diffondono che una deflazione preoccupante per il sistema.
Il capitalismo, anziché “salvarsi” con politiche finanziarie presentate come “aiuti” al settore industriale, sta lentamente rischiando il suicidio (anche se purtroppo – sia chiaro – senza il colpo di grazia della classe operaia, la speranza sarebbe vana!). Vedi la mossa disperata consistente nel ritirare come “garanzia” crediti inesigibili ed in cambio elargire liquidità monetaria da parte delle Banche Centrali. Un movimento fasullo che è destinato a travolgere i conti pubblici nazionali e continentali e a strappare altre lacrime e altro sangue alle masse proletarie. Senza rianimare il corpo febbricitante del capitalismo…
Quello di “creare” moneta sta infatti diventando il chiodo fisso per molti, ma più si “crea” moneta e più la sfera finanziaria si ingrandisce con ripercussioni negative sulla crisi di fondo dei processi della produzione di merci, già in forte difficoltà. Ed è perciò nella sfera finanziaria che va a finire la “circolazione” del denaro e non nella produzione di merci che non si espande mancando acquirenti solvibili. Consumatori che ne avrebbero bisogno (almeno di certi prodotti!) ma che sono in parte addirittura senza salario e in parte con salari da… basso potere d’acquisto e quindi basso consumo.
Un capitalismo, dunque, che si dibatte in una spirale perversa di deflazione e depressione economica con una riduzione della base produttiva dalla quale estrarre plusvalore a sufficienza per remunerare la massa crescente di denaro in giro per il mondo e che si finge capitale. Si piange su una bassa inflazione poiché macroeconomicamente oggi sta manbifestandosi un fenomeno di disinflazione: qualche effetto (positivo?) sulle esportazioni di merci nazionali verso paesi che non stiano però subendo lo stesso fenomeno. Molti però le conseguenze negative, fra cui quelle riguardanti i finanziamenti del debito pubblico, poiché i tassi di interesse si abbassano e “scoraggiano” l‘acquisto dei Titoli di Stato. Da ciò si “spiegano” parte degli interventi della Banca Centrale la quale si attacca alla speranza che l’immissione di liquidità (e il suo acquisto di Titoli) possa dare qualche sollievo all’ammalato…
E pensare che ci si lamenta ovunque di una persistente bassa produttività: non crescerebbe a ritmi sufficienti – così scrivono i servi sciocchi del capitale – per poter “arricchire progressivamente” (in realtà “far sopravvivere”) una massa di miliardi di esseri umani socialmente imbarbariti da miseria e privazioni d’ogni genere.
Tirando le somme…
Anche Keynes (adorato dalla “sinistra”, e non solo) si vedeva costretto a sostenere che l’unica soluzione alla crisi, pur di mantenere in piedi questo storicamente assurdo modo di produrre e distribuire, sarebbe stata quella di far crescere il reddito nazionale. Con l'aumento dell’occupazione… e la produzione geometricamente progressiva di merci. Altrimenti anche la trippa per gatti veniva a mancare.
Qualcuno facendosi coraggio azzarda sguardi sulla situazione “globale”, ma pur rimanendo nei confini della Ue l’orizzonte è sempre più nero. Si è costretti a riconoscere “un ampio margine di capacità produttiva inutilizzata a livello globale” e quindi la disoccupazione sta diventando tragica (nella Ue sei milioni di proletari “scoraggiati” non cercano nemmeno più un lavoro-salario e sono “usciti” dal mercato; circa sette milioni lavorano, sì, ma a “tempo parziale involontario”).
Si resta aggrappati – sempre i soliti “progressisti” – ai cascami della leggenda (keynesiana) basata su una spesa pubblica in deficit che dovrebbe avere effetti espansivi, e nel frattempo si predica la… frugalità. Le intelligenze più avanzate lamentano allora gli eccessi di austerità che non promuovono investimenti “pubblici” (e neppure un “rilancio” di quelli privati, in dichiarata “sofferenza”) se non affidandosi a qualche modello matematico “scientifico” (crescita e finanza pubblica con “effetti a lungo e a breve”…)
Nel solo ambito finanziario, l’anno 2016 si è aperto con le Borse in condizioni preoccupanti, forse anche peggio del 2008; nel settore merceologico il crollo della domanda per consumi non può che impedire la crescita degli investimenti, anche perché la capacità produttiva è sfruttata al 60% e “prospettive” di profitto accrescendo la produzione di merci non ce ne sono. Tempi duri per il capitalismo, tanto più che qualche ipocrita opinionista si preoccupa che la stagnazione stia “indebolendo sempre più il lavoro”: proprio quello da cui il capitale estorce plusvalore, l’ossigeno necessario alla sua sopravvivenza. Ergo, il proletariato dovrebbe “lottare” per ottenere più lavoro salariato!
In questo scenario, le misure della Bce (già sperimentate dal capitale americano e giapponese e in fase di “approfondimento” da parte di quello cinese) si riducono obbligatoriamente ad una generosa offerta di denaro: d’altra parte, mettetevi nei panni di “lor signori”: se si toglie la droga al settore finanziario, si entra in crisi profonda e tutto il castello, già diroccato, crollerebbe su se stesso. Pensate se i titoli pubblici, con un aumento dei tassi sul denaro, crollassero di valore: tutto il sistema bancario (Bce compresa) andrebbe in polvere! Sarebbe il “disastro” che Draghi si vanta di poter scongiurare con le sue iniezioni di liquidità…
E le proposte alternative? Brillano (ma poi si spengono immediatamente, lasciando solo un fil di fumo… inquinante) quelle avanzate da chi sogna per l’Europa del capitale una richiesta di qualche piccolo aumento salariale: i capitalisti tedeschi lo dovrebbero concedere ai propri dipendenti affinché salga un poco la domanda interna di merci. La Germania così dovrebbe esportare meno merci – sempre secondo i critici del prepotente ed egoistico capitale tedesco il quale soffocherebbe l’altrui generosità concorrenziale. Insomma, si lasci spazio alla solidarietà mercantile di un’Europa fondata su principi cristiani (apostolico romani)!
E’ con malcelata invidia che si guarda alle esportazioni della Germania la quale vanta un saldo attivo delle partite correnti nel 2015 attestatosi a circa 250 mld di euro. Non che la Germania goda poi di una situazione bancaria ottimale: sia Deutsche Bank che Commerzbank sono appesantite da centinaia di mld di euro in sofferenze bancarie e hanno ricevuto salvifici aiuti statali in soccorso dei loro scarsi “rendimenti”. Se Roma e altre capitali piangono, Berlino non ha di che ridere.
Quanto a Draghi, se dovesse calare anche le mutande, lo spettacolo sarebbe ben squallido…
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