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Home ›Glas Mueller: altri licenziamenti nel feudo di Christine Mueller
Un compagno che si segue da vicino ci manda questa corrispondenza da Bolzano, che pubblichiamo volentieri. E' l'ennesimo episodio di aggressione padronale alla classe operaia, facilitato dalla "arrendevolezza" abituale (che si può anche chiamare connivenza, del sindacato.
Un'osservazione è d'obbligo: la solidarietà di classe, a cui giustamente chiamano gli estensori del volantino, è sicuramente necessaria, ma in sé non sufficiente, se sganciata da una prospettiva più generale di superamento del capitalismo, prospettiva che necessariamente deve essere inquadrata in un'organizzazione rivoluzionaria, nel partito di classe.
Nello stabilimento Glas Mueller di Bolzano non si contratta e gli operai che tentano anche solamente di cercare il dialogo vengono puniti con il licenziamento. La proprietaria inizia ad usare il pugno duro a giugno del 2017. Dopo la firma di un accordo basato soprattutto sull’introduzione della flessibilità con la complicità di CGIL e UIL, alcuni determinati operai decidono di non chinare il capo di fronte all’arroganza della direzione e , con l’appoggio di un sindacato di base, iniziano un periodo di mobilitazione.
E' importante ricordare che il ruolo dei sindacati CGIL e UIL non si limita alla complicità, ma dopo aver fomentato i lavoratori a scioperare durante gli straordinari, hanno ritrattato affermando di essere estranei allo sciopero e lasciandoli quindi scoperti a livello giuridico.
A giugno salta la prima testa di uno degli operai coinvolti nella lotta. Ufficialmente la motivazione è da ricercare nella violazione di norme di sicurezza: il lavoratore era stato trovato a fumare una sigaretta in una zona vietata. “Tutti gli operai vanno li a fumare, solo io sono stato punito”. Chiaramente la sicurezza che sta a cuore alla padrona è quella data dal mantenimento dall’assenza di conflitto sociale all’interno dello stabilimento.
Lo prova un fatto accaduto ad un altro operaio licenziato recentemente. Il lavoratore in questione avrebbe dovuto svolgere ulteriori mansioni di manutenzione (compito sempre rischioso e delicato, soprattutto in presenza di macchinari per la lavorazione del vetro); alla sua richiesta di beneficiare di una formazione a riguardo, la padrona risponde con un certificato di partecipazione ad un corso – mai erogato – pronto da firmare.
Torniamo al primo licenziamento. Alle varie iniziative partecipa un ristretto gruppo di 4 operai.
Si protesta di fronte allo stabilimento, si sciopera, si manifesta di fronte alle sedi dei sindacati complici e di fronte allo show room nel pieno centro cittadino. Nel frattempo, all'interno della fabbrica i mesi scorrono scanditi dalle prepotenze e dalle violenze della direzione: una sola pausa di 10 minuti in 8 ore di lavoro, divieto dell'uso della macchina del caffè e del bagno a meno che non si vadano a chiedere le chiavi alla Mueller, che si firmi il modulo alla consegna e alla riconsegna. Si lavora sotto le 7 telecamere a 360° che trasmettono l'immagine direttamente nel megaschermo nell'ufficio della Mueller. La padrona non si ferma a questo: la sua perversione di controllo la porta a ingaggiare un investigatore privato, messo alle calcagna di un operaio (anche lui recentemente licenziato) per controllare i suoi spostamenti durante il periodo di paternità (una misera settimana). Vengono offerti degli aumenti ai lavoratori in lotta per non parlare più dell'accordo, ma il tentativo di comprare gli operai si scontra con la loro determinazione e con la consapevolezza che un accordo migliore è un vantaggio per tutti i lavoratori. Ultimo campanello d'allarme è l'offerta di una somma in denaro per lasciare il posto di lavoro, offerta proveniente dalla padrona e da un rappresentante di Confindustria.
Bisogna dire che gli episodi di arroganza, di prepotenza, le umiliazioni inflitte ai lavoratori, purtroppo non si esauriscono in quelli riportati qui, ne sono stati scritti solo alcuni, per necessità di sintesi.
A dicembre, poco prima della chiusura natalizia Christine Muller, donna di chiesa ed evidentemente animata da profondi valori cristiani, manda due telegrammi di licenziamento ad altri due operai, uno dei quali viene inviato proprio l'ultimo giorno di apertura – in modo da assicurarsi di passare delle tranquille vacanze, giorni di ferie che tra l'altro tutti gli operai sono costretti a prendere, in quanto le chiusure aziendali esauriscono tutti i giorni di ferie che gli operai maturano nel corso dell'anno, e se non fossero sufficienti si possono scalare anche le ore di permesso. Il bilancio a fine 2017 è quindi di tre lavoratori licenziati dei 4 in lotta, mentre il quarto è in malattia in quanto lo stress psicofisico è talmente forte da non permettergli di recarsi al lavoro tranquillamente.
I lavoratori però non si fermano: i licenziati non sanno se, avendo la possibilità, si farebbero riassumere; ma una cosa è certa: vogliono restituire una parte dell'inferno che hanno vissuto alla padrona. Noi saremo al loro fianco in ogni modo. La lotta non è finita e la loro lotta è la nostra lotta. In questa brutta vicenda, che è quotidianità per migliaia di lavoratori e lavoratrici, c'è qualcosa di positivo: i quattro lavoratori, sia italiani che stranieri, hanno dimostrato che attraverso la lotta è possibile superare le differenze linguistiche e nazionali, affermando che la giustizia e la solidarietà non conoscono frontiere nè confini.
Non possiamo lasciarli soli, costruire la solidarietà fra sfruttati è l'unico modo per rispondere alle violenze ed ai soprusi di chi vuole i lavoratori e i disoccupati lacerati in guerre fra poveri.
Alcun* solidali con i lavoratori e le lavoratriciInizia da qui...
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