I “cittadini” a sostegno del capitale

Le astrazioni ideologiche e la prassi politica

Il candidato per il ministero dell’Economia – secondo una proposta dei 5Stelle quali aspiranti al governo del Paese – sarebbe il professore Andrea Roventini, definito come una “eccellenza scientifica”, docente presso l’Istituto di Economia della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Una scelta ritenuta di “alto profilo”, quella cioè di un “affermato economista italiano, in tandem con il notissimo economista Joseph Stiglitz”.

Il professore è una di quelle figure (vedremo fra poco le sue credenziali… teoriche) di cui la borghesia italiana e il capitale potrebbero aver bisogno in questi “tristi” tempi, nel tentativo di mischiare e confondere le carte che si trovano sul traballante tavolo. Attorno ad esso i loro partiti – da destra a sinistra – sarebbero impegnati, secondo quel simpaticone di un Brunetta, a “rappresentare una rappresentazione” di politiche economiche spacciate come adeguate al presente stato di cose e risolutive per un rilancio del patrio capitalismo.

Lo stesso Roventini si considera come uno degli “scienziati rinascimentali”, quelli appartenenti alla “nuova generazione di economisti”, tesi nello sforzo (mentale e quindi… vano, (dato il suo “spessore”…) di programmare nuovi modelli di sviluppo del capitalismo. E’ nelle Lezioni che il Roventini elargisce ai suoi studenti, che troviamo tutte queste affermazioni.

Nuovi modelli teorici

Da tempo i cosiddetti “modelli standard”, presentati a suo tempo in pompa magna dagli economisti-scienziati borghesi, si sono praticamente frantumati gettando nello sconcerto molti economisti mainstream di grido, presi poi da dubbi sempre più profondi sulla validità dei loro “studi”. Ci vuole – dicono in particolare alcuni di loro, che si professano neokeynesiani – un po’ più di empirismo nell’affrontare i “fenomeni” che turbano gli equilibri generali di per sé già fragili e che occorrerebbe “ristabilire”. Come?

Ecco allora gli Agent-based Models (ABM) che – spiegano Roventini e soci – chiarirebbero i motivi delle attuali crisi (alquanto profonde) ricorrendo alla segnalazione della presenza di molti “agenti eterogenei”, tra di loro interagenti e alla fine costituenti una rete capace di creare una trappola, una connessione perversa tra debiti e crediti e successivamente una catena di fallimenti. Con questi lampi di pensiero che individuerebbero gli… spiriti cattivi presenti nel capitalismo, ecco entrare in scena – rimasticando un copione in parte già scritto – il Roventini che si appoggia a quelli che dovrebbero essere i pilastri in grado di sostenere una risorgente economia capitalistica. Si tratta della “domanda aggregata” keynesiana e dell’innovazione tecnologica, Sono questi – per Roventini e i 5Stelle (ma non solo per loro, naturalmente) – le procedure necessarie per dar fiato alla “ricrescita”, per l’ulteriore sviluppo del capitalismo oggi in difficoltà.

Da questo modo di produzione e distribuzione – sia ben chiaro, secondo lor signori – non si esce! E per di più, si tratterebbe di lanciare una crescita di lungo periodo, con tanto inaspettati quanto fantasiosi risultati sulle stesse finanze pubbliche. In positivo e non in negativo, dicono, come avrebbero invece fatto fin qui le politiche di austerità e di restrizione monetaria. Considerate una scelta politica e non – come invece è – una “necessità” obbligata per il capitalismo.

Le colpe della isteresi

E’ il momento di far entrare in scena un altro caposaldo del pensiero post keynesiano. Si tratta della isteresi . Per noi, poveri ignoranti, il vocabolario ci spiega trattarsi della “caratteristica di un sistema di reagire in ritardo alle sollecitazioni”. Da ciò deriverebbero le eccessive rigidità del mercato del lavoro e “il conflitto tra chi è occupato e chi non lo è (insiders contro outsiders)”. Oppure come nel caso di un “crollo della domanda aggregata che riduce gli investimenti e crea disoccupazione strutturale”. Siamo per altro al centro di una totale confusione anche nella esposizione di questo idealistico frullato: sembrerebbe infatti – nei pensieri di Roventini & C. – che sia proprio un mercato del lavoro rigido a meglio sostenere la domanda, con l’aggiunta degli studi di un Summers il quale sostiene, oggi, essere la domanda a creare l’offerta. E il girotondo attorno al cadavere in agonia del capitalismo, e ai tormenti riservati al proletariato, prosegue. Si cerca sempre la ricetta miracolosa…

Questa nuova figura, la isteresi, eserciterebbe un influsso negativo sulle principali variabili macroeconomiche del sistema (ad esempio: Pil, produttività, disoccupazione). E provocherebbe interazioni decentralizzate di imprese e lavoratori eterogenei. Il linguaggio, piuttosto ostico, è quello col quale i 5Stelle ammaestrano i loro sostenitori, spezzando una lancia a favore delle economie centralizzate e coordinate al loro interno. Se capitalismo ha da essere, esso sia “razionalizzato” e ben congegnato! Si scelga dunque un “pensiero” (almeno quello!) che reclami una miglior salute al capitalismo attraverso

alti tassi di investimento e di innovazione, maggiori competenze e dinamiche di ingresso sul mercato del lavoro.

La scoperta è sensazionale: il capitalismo avrebbe bisogno di

mercati del lavoro più rigidi che smorzano le dinamiche isteretiche sostenendo la domanda aggregata, rendendo in tal modo l’economia più resistente…

Più sviluppo capitalistico

Lo “sviluppo economico” sognato (per “una Italia ad alta Qualità della Vita”!) riguarderebbe investimenti nei “settori strategici”, con una Banca pubblica (statale) la quale conceda crediti alle aziende, specie quelle piccole e medie, riducendo la pressione fiscale (Irpef e Irap) e rendendo più semplice il “rapporto contribuenti-Agenzia Entrate”. Risulterebbero meno soldi in cassa, ma dal cielo, come manna, pioverebbero “centinaia di migliaia di posti di lavoro stabili, in settori ad alto valore aggiunto e quindi ad alti salari” (L. Fioramonti, candidato grillino per lo Sviluppo Economico). Da sottolineare quel “valore aggiunto” che per la riproduzione-accumulazione del capitale è fondamentale!

I 5Stelle si allineano in perfetto ordine sul fronte degli obiettivi che il capitale antepone a qualsiasi sua riforma economico-sociale si vagheggi. Nero su bianco: bisogna avere “_maggiori entrate (plusvalore dalla produzione-vendita di merci – ndr) per sanare il debito pubblico_”, inneggiando al taglio delle “spese improduttive” a favore di quelle ad “alto rendimento”!

Anche qui, confusione e mistificazioni a profusione. Si “pensa” ad una fantasiosa “spending review” da 30 mld annui, con un maggiore deficit e una revisione (almeno 40 mld) delle agevolazioni fiscali, tagliandole naturalmente alle aziende “non produttive”. I “trasferimenti improduttivi” devono finire; il denaro deve essere usato come capitale per “produrre” plusvalore. Sull’operazione “tagli” i grillini basano la loro “visione a lungo termine" nella quale si dovranno rimettere le mani sui “gioielli di Stato” (le imprese strategiche, le “eccellenze italiane”, quelle innovative in termini di profitto…). Ieri privatizzate e oggi con un ritorno ad una loro “governance pubblica” con promessa di “sviluppo e nuove assunzioni”. Sempre secondo un “giusto” costo del lavoro…

Un capitale tollerante…

In questa serie di pannicelli tiepidi da applicare sulla fronte dell’ammalato (in agonia), gli “studi teorici ed empirici” di soggetti alla Roventini bandiscono l’austerità per il capitale (se mai la si è vista!) e lo gonfiano con la illusoria speranza di una crescita travolgente. Di certo sarà “travolto” il proletariato messo a cuocere a fuoco lento sulla graticola del “reddito di cittadinanza” (diventato nel frattempo “reddito minimo condizionato”…) e di una ipotetica “abolizione” della legge Foriero: una abolizione annunciata “tout court” ma già diventata il “superamento” di alcune sue parti e soltanto se l’operazione sarà sostenibile.

Quanto al capitolo delle sofferenze bancarie, esse sarebbero solo provocate dalle misure di austerità fiscale e dai fallimenti di molte imprese. Le Banche, dunque, prestino denaro alle imprese, affinché queste possano farsi i profitti loro! Così la pensa Roventini, che per tutti presenta la soluzione: ritorno (?) ad una politica economica espansiva. Precisamente: “crescita robusta, inclusiva e sostenibile”, seguendo anche i “pensieri” di “premi Nobel per l'economia come Stiglitz e Krugman”. Roventini vi si è accodato, “sviluppando – come lui stesso dice – modelli Keynesiani e Schumpeteriani basati sulla teoria dei sistemi complessi”. Abbiamo davanti a noi un “Keynesiano critico”, poi specifica, a suo agio nei misteri della “economia computazionale” e che trova posto nella compagine degli “esperti” capitalistici. I quali gli hanno messo a disposizione pagine e pagine del Journal of Applied Econometrics, Journal of Economic Dynamics and Control, Journal of Economic Behavior and Organization, Macroeconomic Dynamics, Ecological Economics, Journal of Evolutionary Economics, Environmental Modeling e Software, Computational Economics ecc. ecc. Al servizio del capitale e dei suoi modelli di sviluppo! Alla scoperta dell’ultima spiaggia…

L’equilibrio dei conti e le scuole economiche borghesi

Il “candidato” ad una gestione del Tesoro italico ha quindi dichiarato alla stampa – basandosi sulla “evidenza empirica…” – che l’equilibrio dei conti pubblici (rapporto debito/Pil) sarà mantenuto rispettando i dettati europei, con l’aggiunta di un significativo “però”: dovrà certamente essere garantito attraverso la “crescita economica”. Magari con una consunta ricetta che auspica investimenti pubblici, oltretutto proprio “a sostegno dell’innovazione tecnologica”, e che dovrebbero moltiplicare i posti del lavoro-salariato! Non solo, ma alzando – si spera – i tassi di inflazione, almeno al 2%, per ridurre il rapporto tra debito e Pil. Scossi da tanta… originalità, leggiamo anche che il professore (imperterrito, e sempre dopo approfonditi studi) è giunto alla conclusione che gli shock del debito pubblico avrebbero

un’influenza positiva e persistente sull’attività economica. [... E ci confessa che] l’analisi dei possibili meccanismi di trasmissione rivela che il debito pubblico attrae (crowd-in) i consumi e gli investimenti privati.

Le cosiddette “scuole” di ispirazione keynesiana si avventurano in pensieri economici che sono presentati come superiori a quelli della scuola classica, agganciandosi alle “aspettative razionali” del maestro. Aspettative non più tanto certe e sicure, messe in forse – si dice – da troppi difetti del mercato, compresa una eccessiva “vischiosità” di prezzi e salari, troppo lenti nell’adattarsi al variare delle condizioni economiche. Fra l’altro, siamo noi a commentare queste affermazioni, la “vischiosità” di prezzi e salari non cala dal cielo o dagli effetti di una “cattiva politica”. Essa è una condizione necessaria per ottenere un profitto quanto mai “fluido” in corrispondenza al capitale investito (ovvero il più alto saggio di profitto). Da ciò quella riduzione dei salari (meno capitale variabile) al fine di alzare il plusvalore contenuto nelle merci prodotte. Keynes, nella sua Teoria Generale (capitolo 19°) lamentava che così veniva ridotta la domanda e quindi, con la deflazione, si “mina la stabilità”. Ebbene, questo è il capitalismo, professor Roventini, e se non lo si distrugge (con tutte le sue categorie e leggi di movimento) due sono le conseguenze sicure: aumento costante della disuguaglianza e della disoccupazione e crisi e crolli a catena.

La piena occupazione

Il terreno sul quale avvengono le acrobazie idealistiche di carattere economico e di cui abbiamo avuto fin qui degli esempi eclatanti, si è fatto molto scivoloso, col risultato che la tanto attesa (dai Keynesiani) piena occupazione non solo è fallita, ma ha costretto i neokesiani a far passi indietro. Ora si aggrappano senza mezzi termini ad un ufficiale intervento dei governi centrali e rispettivi Stati, al fine di ottenere la “stabilizzazione macroeconomica”. E proclamano: ci vuole una adeguata politica fiscale, una saggia politica monetaria gestita da Banche centrali.

Assieme a Stiglitz e alle prese con uno scenario economico a tinte sempre più fosche e un imprevedibile futuro, Roventini e soci reclamano l’annullamento di ogni ostacolo ricorrendo ad “aspettative basate su regole e modelli semplici” e meno sofisticati: si avrà sicuramente – dicono – più stabilità e crescita. A tali sortite, l’entusiamo del popolo 5Stelle diventa straripante e incontenibile, in particolare quando poi sente dire dei “benefici” effetti (anche di “stabilità”) che può avere il debito pubblico. un po’ meno quando poi legge che basta appoggiarsi ai “modelli Agent-based”, ondeggiando tra Keynes e Shumpter (quest’ultimo convinto che la crescita economica sarà alimentata dalla tecnologia), per ottenere fantasiose distribuzioni di redditi, politiche monetarie con effetti mirabolanti, crediti a pioggia, ecc. E si prospetta un apposito settore bancario e un’autorità monetaria che stabilisca le condizioni creditizie: a quel punto il gioco sarebbe fatto! Viene inoltre spiegato (?) con “regolarità empiriche” il verificarsi delle recessioni, studiando un “modello” che le eviterà indicando – ecco le virtù di una sana politica economica! – le politiche di bilancio in grado di

attenuare i cicli economici, ridurre la disoccupazione e la probabilità che si verifichi una crisi e, in alcune circostanze, influenzare anche la crescita a lungo termine.

Lo si legge, nero su bianco, in un blog dei 5stelle, dove si è scoperto che

più la distribuzione del reddito è spostata verso i profitti, maggiori sono gli effetti delle politiche fiscali…

In proposito, fuoco e fiamme su

regole fiscali restrittive, come il Patto di Stabilità e Crescita o il Fiscal Compact, le quali deprimono sempre l’economia senza migliorare le finanze pubbliche.

Con le “entrate-uscite” non si scherza!

Per una “governance” del lavoro salariato

Altri studi, ai quali ha partecipato l’esimio professore Roventini, si sarebbero occupati di assicurare una maggiore stabilità dell’occupazione operaia sul mercato del lavoro. Risultati clamorosi, come quelli del modello “K+S” (altro oggetto misterioso), esso pure di stampo keynesiano, e dal quale arriverebbe un plauso a certe “rigidità” le quali, a parte effetti micro-negativi (naturalmente pagati dai lavoratori!), offrirebbero “vantaggi a livello macro”. Con maggiore crescita e – chissà dove la rilevano! – minore disoccupazione…

Quindi, preoccupati che il sistema economico (capitalismo) diventi sempre “più fragile e volatile”, i 5Stelle “indagano” su un “regime di governance del lavoro” cercando la quadratura del circolo tra il fatto che “i salari sono un elemento di costo che incide in modo determinante sulla competitività delle singole imprese”, da una parte, e la constatazione che “la spesa in salari è anche un elemento cruciale della domanda aggregata”, dall’altra. Nell’attesa di un intervento della divina provvidenza, si va avanti col gioco delle tre tavolette, promettendo caritatevoli sussidi all’ombra di una ipotetica gestione della domanda (aggregata) keynesiana. Ciò che importa è però sempre che gli imprenditori “creino” occasioni di lavoro salariato e sfruttandolo nel miglior modo, sappiano far profitti.

Un’altra ipotesi sarebbe quella del ricorso ad un nuovo “modello ad agenti eterogenei” (qualche lettore comincia a sudar freddo!): si tratterebbe di approfondire le regolarità del mercato del lavoro e le “dinamiche macroeconomiche (tasso di crescita a lungo termine, fluttuazioni del PIL, tassi di disoccupazione, disuguaglianze ecc.)”. Per sbalordire al massimo grado il popolo grillino, si chiama in appoggio “la famiglia di modelli “Keynes meets Schumpeter” riguardante i diversi “regimi microfondati del mercato del lavoro”. Si dedurrebbe che maggiore è la “rigidità” sia del mercato del lavoro sia delle relazioni del lavoro (salariato) e migliore sarebbe la crescita del…capitalismo. Una crescita più elevata e meno volatile, e soprattutto “mantenendo costante la struttura dei mercati dei capitali e dei consumi”… Un bel “regime politico”, non c’è che dire!

Dalle fantasie teoriche alla prassi politica

Come sempre accade e come fan tutti, non si cerca affatto il perché si sia giunti a questo stato di cose, cioè quale sia la “malattia” (vero e proprio cancro da estirpare) che sta facendo implodere questo modo di produzione e distribuzione (il capitalismo). Addirittura minacciando l’esistenza stessa della nostra specie e dell’ambiente dove ancora essa sopravvive. Si continua invece col far sembrare cause gli effetti, con l’austerità classificata come un errore politico al quale contrapporre una immaginaria edificazione dello Stato innovatore che “nazionalizza” le aziende per meglio farle “fruttare”. Col consenso popolare: i “cittadini” – sedotti dai nostrani venditori di tappeti… volanti – guardano alle stelle per “fare cose buone per l’Italia”…

Quando Di Maio dichiarava )settembre 2017): "Se il Paese vuole essere competitivo le organizzazioni sindacali devono cambiare radicalmente”, la posizione dei 5Stelle su quello che viene definito (anche se non da tutti) come il conflitto fra capitale e lavoro, veniva ancor più chiarita con un’altra loro affermazione. Precisamente questa:

i lavoratori devono partecipare agli utili dell'azienda e poter dire la loro su com'è organizzato il lavoro anche attraverso proposte e suggerimenti di cui il management deve tenere conto.

Ne andrebbe di mezzo un corretto funzionamento del sistema e quindi quel “conflitto, anche se lo si ammette, deve in qualche modo essere riappacificato.

La frase dei 5Stelle sopra riportata ci riporta a ciò che – proprio riguardo alla “gestione quotidiana dei problemi organizzativi con l'azienda” – pure un Mussolini, definendo il modello del corporativismo fascista, dichiarava agli operai della Dalmine (nel 1919) con l’esaltazione del lavoro (salariato) quale

conquista, vittoria di uomini liberi. Voi non siete più salariati ma compartecipi, corresponsabili nella produzione.

Fu quindi il fascismo a chiedere

la partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori al funzionamento tecnico dell'industria e l'affidamento alle stesse organizzazioni proletarie (che siano degne moralmente e tecnicamente) della gestione di industrie e servizi pubblici.

Sotto la camicia nera, i muscoli si tendevano nel sostenere tutti gli interessi (di borghesi e proletari!) a condizione che “si armonizzino con quelli della produzione e della nazione”. E finalmente – per il capitale! – la Carta del Lavoro (1927) stabiliva che il sindacato era… libero soltanto se “legalmente riconosciuto e sottoposto al controllo dello Stato”. A loro volta, le corporazioni erano riconosciute come organi di Stato. Ventisei anni dopo, a Verona per la costituzione della Repubblica Sociale Italiana, si precisava di nuovo:

Collaborazione all'interno di ogni azienda tra azienda tecnici e operai per l'equa ripartizione degli utili, l'equa fissazione dei salari; partecipazione degli utili stessi anche da parte degli operai.

Era la cosiddetta “socializzazione dell'industria”. Un passo ancora, e si entrava nell’autogoverno degli operai, sotto il dominio totale del capitale...

Ed eccoci ora a ripercorrere – coi grillini – la medesima strada, mascherando l’operazione quale introduzione di

più democrazia sul posto di lavoro [... attraverso] strumenti di codecisione, di intermediazione e coinvolgimento dei lavoratori nella vita dell'azienda. [Fino a...] -- sono sempre Di Maio e soci a parlare -- mettere in campo rappresentanze che entrano direttamente nel funzionamento dei consigli di amministrazione, di gestione o comunque di sorveglianza dell'impresa, eventualmente anche prevedendo forme di partecipazione agli utili per i lavoratori…

L’importante è che si abbia un miglioramento produttivo e un rafforzamento complessivo dell'azienda. Sempre , cioè “capitalisticamente” parlando, con un incremento di “valore aggiunto”...

Vogliamo o non vogliamo essere “competitivi”? Ed ecco che i grillini parlano persino di una possibile riduzione dell'orario di lavoro (meno di 40 ore settimanali) con “incentivi al part-time, contratti di solidarietà difensivi ed espansivi e sistema dei congedi”. Fermo restando le “necessità produttive” al fine – fondamentale per i grillini – di “far crescere l'economia (capitalistica – ndr) e farla sviluppare”. Parole dei 5Stelle e del loro consulente, il sociologo De Masi. A questo punto ogni altro commento diventa superfluo.

DC
Domenica, April 8, 2018