I due livelli del summiti di Helsinki

Si temeva che l'incontro tra Trump e Putin si trasformasse in uno scontro dai risvolti irreparabili, ma non è andata così. Anzi, alla conclusione dei lavori le cose sono rimaste, apparentemente, come prima o quasi. Anche così,però, il summit merita un paio di commenti data la valenza delle due diplomazie in campo e i terreni di incontro - scontro tra le due maggiori potenze imperialistiche al mondo.

I livelli sui quali l'incontro si è svolto sono essenzialmente due. Il primo riguarda “l'affaire” Russian Gate che tanto preoccupa il presidente americano. Il secondo è la solita Siria, il regime di Assad e il corollario iraniano. In altri termini la ridefinizione dei rapporti di forza in Medio oriente.

Partendo dal primo possiamo dire che siamo in presenza di un pericoloso atteggiamento schizofrenico di Trump che, al colmo di una crisi di insicurezza, ha chiesto che Putin confermasse la sua tesi in base alla quale non ci sarebbero state interferenze dei Servizi russi sulle elezioni americane del 2016. Ovvero che le elezioni sono state regolari, senza nessuna interferenza e che la sua elezione è stata pulita e legittima. Cosa di non poco conto, ma Putin è stato al gioco, ha risposto che i Servizi russi non hanno assolutamente favorito Trump danneggiando l'immagine della Clinton, chiudendo le accuse che il mondo politico americano e i vari Servizi di intelligence (FBI) su tutti, all'interno di un virtuale, ma saldo, “non luogo a procedere” perché il reato non sussiste. Oltre tutto il presidente americano in presenza di una precisa domanda da parte di un giornalista americano accreditato: “ma lei crede più a Putin che ai suoi servizi segreti?” ha risposto che non aveva ragione di dubitare delle dichiarazioni di Putin, screditando inevitabilmente FBI e magistratura che sul caso Russian Gate stanno ancora lavorando. Per dire il giorno dopo, al suo rientro negli Usa, in una relazione al partito repubblicano, l'esatto contrario, cavandosela con un gioco di parole, ma mostrando palesemente che il rattoppo era troppo piccolo per nascondere il buco precedente praticato, rendendo il tutto tragicamente comico e al di là di ogni fantasiosa interpretazione che non sia all'interno di una patologia politica schizofrenica. Patologie a parte il risultato ottenuto da Trump è stato di alto livello, tale da schivare possibili tentazioni di “impeachment” nei suoi confronti e di recuperare credibilità all'interno del suo elettorato e di consistenti frange del suo stesso partito repubblicano che è sempre più insofferente nei confronti delle “trumpate” del “Super Donald” che rischiano di mettere in ridicolo il governo americano e il partito che lo rappresenta.

Il summit a due è proseguito trattando altri temi come quelli relativi al commercio internazionale, alla denuclearizzazione, ai dazi, al protezionismo, alla costruzione del Nord Stream 2 e alle sanzioni nei confronti dei paesi reprobi. Tutti argomenti che pur essendo in agenda, sono stati trattati con molta velocità e lasciati poi nelle mani dei due facenti le veci di sottosegretari di stato, i generali Joseph Dunford e Valerj Gerasimov, che prima del summit si sono visti più volte e che continueranno, nei mesi a venire, a fare la cosiddetta diplomazia sotterranea, se ce ne sarà il tempo e la volontà di farla.

Il secondo argomento forte è stato quello sulla Siria e del “corollario” iraniano. E' in questo argomento che spunta il perché del favore di Putin nei confronti di Trump: la Siria. E' pur vero che le vicende belliche hanno portato l'asse Mosca - Damasco ad avere la meglio sulle forze della variegata opposizione. Le ultime sacche di resistenza stanno lasciando il campo e pochi sono i contingenti di miliziani anti Assad che resistono, ma solo con una guerriglia di retroguardia. Il che non mette più in discussione la permanenza di Assad al comando della Siria, non crea più problemi all'imperialismo russo nel mantenere i “suoi” porti nel Mediterraneo e un piede armato nel Medio oriente. Ma è anche vero che i faticosi e controversi accordi tra Russia e Usa per una eventuale spartizione della Siria attraverso la creazione di fasce e zone di influenza, sono letteralmente saltati e che una nuova soluzione, pur tenendo conto anche della controparte americana deve esse sbilanciata a favore della Russia. Per cui Putin gettando una ciambella di salvataggio a Trump sul caso “Russian Gate” ha voluto ridefinire con il suo omologo americano i termini della questione Siria e più in generale del Medio oriente, versione Mar Caspio, da una posizione di vantaggio politico e psicologico. In pratica Putin chiede mano libera a Damasco: nessuna interferenza esterna, salvo errori di valutazione ed imprevisti, mano leggera sulla “vertenza Ucraina e sul gas all'Europa attraverso il Nord Stream 2 . In compenso Trump, al netto di qualche dietro front improvviso, chiede un impegno concreto contro la repubblica degli Ayatollah, o una significativa desistenza a favore dell'Iran che, nelle prospettive strategiche di Trump, minaccerebbe, oltre che il suo primo alleato Israele, a sua volta ansioso di mantenere le Alture del Golan e la sicurezza ai suoi confini, anche il suo secondo alleato d'area, l'Arabia Saudita. Paese quest'ultimo che, nonostante la spesa di 80 miliardi di dollari all'anno per l'acquisto di armi dagli Usa, dalla Francia e dall'Inghilterra, non riesce a venire a capo dell'opposizione sciita Houthi nello Yemen sostenuta dall'Iran. In questo caso saremmo in presenza di una sorta di spartizione non della Siria, che da questo punto di vista non sarebbe più in gioco perché sotto il tallone di ferro della Russia, ma di un'altra parte del Medio oriente, quella che guarda verso il Mar Caspio.

Ma anche questo sarebbe un accordo, alquanto problematico, solo frutto dei desideri ambiziosi di Trump e destinato a non entrare mai in funzione o di fallire come i precedenti. Trump aveva già fatto le sue prime mosse ancor prima di Helsinki. Ha avallato il progetto di Netanyahu di considerare Gerusalemme la capitale dello stato d'Israele seppellendo così il vecchio, quanto improbabile progetto di due popoli e due stati. Di consentire i bombardamenti israeliani in territorio siriano e di giustificare le uccisioni dei dimostranti palestinesi in occasione della dichiarazione di Gerusalemme capitale. Tutte iniziative che Mosca aveva condannato senza reticenze.

In aggiunta Putin avrebbe non pochi problemi ad abbandonare l'Iran nelle voraci fauci dell'imperialismo americano. Uno perché l'Iran e la sua ambizione di ritornare ad essere un paese che conta nell'area caspica, è stato un ottimo alleato contro gli avversari di Assad. Secondo perché uno dei progetti russi è quello di dare vita ad un fronte sciita che vada dall'Iraq al Libano degli Hezbollah passando per la Siria sotto il co - patrocinio di Teheran, proprio in opposizione all'asse formato dal sionismo di Israele e dall'imperialismo americano. Non da ultimo c'è da sottolineare che l'unico, ipotetico, punto di contatto sarebbe quello di lasciare che l'Iran subisca il peso delle sanzioni Usa. Il che eliminerebbe un concorrete di peso (l'Iran è il quarto produttore di petrolio al mondo e il secondo di gas) a vantaggio sia per gli interessi energetici russi che per il shale gas e il shale oil americano. Ma un simile accordo sarebbe di difficile gestione per la Russia di Putin che ha assoluto bisogno del suo, per il momento, affidabile alleato, fulcro del fronte sciita. Per cui la complessa questione, apparentemente chiusa con un accordo di reciproca convenienza, in realtà rimane aperta e portatrice di nuove nefandezze imperialistiche.

FD
Venerdì, July 20, 2018