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Home ›Avevano ragione i riformisti?
Si può fare: avevamo ragione noi!
Così, qualcuno della variegata area riformista, in tutte le sue varianti, da quelle più istituzionali a quelle più radicali (1), potrebbe rivolgersi a noi, con un certo compiacimento. Ciò che succede in queste settimane sarebbe la dimostrazione che l'impianto teorico-politico di “Battaglia comunista” è crollato sotto le misure economico-sociali prese dai governi da un capo all'altro del mondo. Se, infatti, uno dei punti cardine dell'impostazione “battaglista” è che in un'epoca di crisi profonda il riformismo non ha più margini di manovra o che quei pochi rimasti si restringono inesorabilmente, ebbene, prosegue il nostro critico immaginario, lo sconquasso economico prodotto dalla pandemia ci fa vedere tutta un'altra scena, per molto versi opposta. Facile, però, per noi, rispondere che quando si indossano occhiali sbagliati, le immagini riescono deformate o confuse e siccome gli occhiali del riformismo sono per natura inadatte a scrutare il mondo del capitale, ancora una volta la “lettura” che se ne ha è necessariamente fuorviante. Per questo, il riformismo non può imparare niente dai propri errori, che replica all'infinito, perché sono parte integrante del suo codice genetico. Fermandosi alle apparenze, scambia lucciole per lanterne, vede quello che vuole vedere e non quello che c'è. Ciò che i governi stanno affannosamente facendo in questo periodo drammatico non smentisce la nostra analisi, ma, semmai, quella del riformismo che, una volta di più, dovrà sbattere il muso contro i fatti, il quali, com'è noto, hanno la testa dura e non si sottomettono arbitrariamente alle fantasticherie romantiche di nessuno.
Per cominciare, è banale dire che il cataclisma abbattutosi sul mondo intero è stato improvviso, velocissimo, praticamente simultaneo, limitando fortemente la produzione e lo scambio di merci, cioè il ciclo vitale del capitalismo, spingendolo letteralmente sull'orlo del baratro. Le stime che circolano sulla caduta verticale degli indici economici sono note e prefigurano, per citare una metafora abusata, le conseguenze di una guerra perduta. Dal 1929, non si erano mai visti arretramenti così marcati nel processo economico generale, che coinvolgono non solo la produzione di plusvalore primario (2), ma praticamente tutti i comparti del terziario, dove il cosiddetto distanziamento sociale è impossibile. Là dove si è continuato a produrre (e i dati registrano molte meno chiusure di quanto ci si sarebbe dovuti aspettare), in diversi casi i lavoratori hanno scioperato, imponendo il blocco delle attività o l'adozione di dispositivi di sicurezza meno aleatori (per non dire assenti), benché sia scontato dubitare della reale portata di simili interventi padronali. Allo stesso tempo, milioni di “invisibili”, di lavoratori con contratti precari o in nero, hanno perso di colpo le magre entrate con cui in un modo o nell'altro sopravvivevano, senza nemmeno poter contare sui tradizionali “ammortizzatori sociali” previsti per i “garantiti” (termine ormai diventato beffardo). Nel giro di pochissimo tempo – non di mesi o di anni, com'è successo con la crisi dei subprime – la borghesia si è trovata a dover gestire una massa enorme di persone senza più reddito, in qualunque forma venga erogato, a cui si aggiungono altri grossi problemi familiari, come la collocazione dei figli minori e via dicendo. Non a caso, parecchi sindaci del Sud, dove, com'è risaputo, sono molto diffusi la sottoccupazione, il “lavoro autonomo vulnerabile” e “informale”, hanno tra i primi lanciato l'allarme su possibili esplosioni di disperazione sociale, col rischio, oltretutto, che venga captata dalla criminalità organizzata o, come ha detto la ministra dell'interno, da correnti dell'estremismo politico. Per inciso, l'«estremismo politico» non è necessariamente quello che si colloca a sinistra, perché potrebbe benissimo essere la galassia nazifascista, incomparabilmente più dotata dell'«estremismo rosso» di denaro e protezioni influenti, a cercare di sfruttare il malcontento sociale, per intossicare settori del proletariato. L'esempio di Alba Dorata in Grecia è lì a ricordarcelo, per non dire della destra fascistoide che siede in Parlamento, anche se probabilmente non rientra tra gli estremisti posto sotto la lente di ingrandimento della ministra. Di fronte alla prospettiva molto concreta di un collasso economico-sociale, la borghesia ha dunque messo precipitosamente mano al portafoglio, per alzare argini alla marea montante della crisi e di possibili “disordini sociali” di ampia portata.
Secondo le stime del FMI, a metà aprile i governi avevano messo già mobilitato ottomila miliardi di dollari per interventi di vario tipo e le banche centrali (sempre del mondo intero) una cifra grosso modo equivalente: una valanga di soldi come mai si era vista in tempo di pace. Ma la quantità di denaro messa a disposizione varia, naturalmente, da paese a paese. C'è chi può permettersi di schierare una potenza di fuoco enorme, ma questo è dovuto alle caratteristiche e al ruolo giocato dai singoli stati nel “concerto” internazionale. Gli USA, per esempio, a quella data hanno impegnato risorse pari al 6,9% del Pil, la Germania al 4,4%, l'Italia e la Spagna, invece, all'1,2% (3); nel frattempo, gli States continuano a stampare dollari, mentre la Germania e gli altri stati della UE aggiornano continuamente la promessa di aggiungere nuovi stanziamenti. C'è però da sottolineare che gli Stati Uniti possono permettersi (fino a un certo punto) di fare andare la “fabbrica dei soldi” a rotta di collo perché, nonostante le grosse difficoltà economiche in cui da molto tempo sono invischiati, rimangono pur sempre la prima potenza imperialista, la prima economia del mondo, detengono la moneta di riserva internazionale, quella con cui avvengono per lo più gli scambi (in primo luogo delle materie prime) sui mercati mondiali, potendo così praticare il “signoraggio del dollaro”, con i vantaggi che ne derivano. Per sintetizzare, dollaro e cannoni: nessun altro stato può permettersi i privilegi e dunque i conseguenti margini di manovra della repubblica stellata. La Germania, invece, pur essendo un nano politico-militare (come tutta l'Unione Europea), può disporre di una maggiore possibilità di intervento, perché i suoi “fondamentali” economici sono migliori di quelli di altre nazioni, Stati Uniti compresi: per citare un dato solo, il rapporto tra il suo debito pubblico e il Pil era, prima della pandemia, del 59% (4). Ma questi dati sono ovviamente destinati a cambiare, deficit e debito cresceranno inevitabilmente, perché il punto è sempre quello: il “nuovo riformismo” messo in campo dagli stati, oltre a finanziare di gran lunga più il sostegno alle imprese (il capitale) che alla “gente” (il proletariato), non si basa su nuova ricchezza creata nel processo produttivo, ma si fonda in gran parte, se non completamente, sul debito, sui prestiti richiesti al capitale finanziario internazionale. Per l'Italia si prevede un deficit attorno al 10% e un debito pubblico che salirà al 155%; negli USA, sempre secondo certe stime, passerà dall'attuale 109% al 131%. Da più di quarant'anni, da quando si è aperta la fase storica della crisi strutturale (5), il debito (pubblico e privato) ha avuto una crescita inarrestabile, ma fino a quando l'economia mondiale potrà reggersi sul debito, sulla promessa di ricchezza futura, cioè, per sintetizzare, la speculazione finanziaria (6)? Infatti, l'origine della crisi e della sua persistenza sta proprio nella difficoltà di creare ricchezza aggiuntiva vera, non quella per lo più immaginaria della speculazione. Ribadendo quanto non ci stanchiamo di sottolineare, nonostante l'aumento dello sfruttamento e dell'oppressione della classe lavoratrice mondiale in corso da decenni, il plusvalore estorto è troppo poco per ridare fiato e gambe all'accumulazione del capitale. Se questa era la situazione prima, la pandemia ha reso molto ma molto più acuto il problema, per cui dalla classe che detiene e amministra il capitale, tutto ci si può aspettare, meno che si avvii al suicidio attenuando lo sfruttamento e l'oppressione del proletariato. La criminale indifferenza con cui ha tenuto aperto tantissime aziende durante il culmine (pare) del contagio, la non meno criminale pressione per riaprire tutto e subito (7) dimostrano, se mai ce ne fosse bisogno, che il profitto viene prima di ogni altra cosa. Dunque, sì a interventi quali la cassa integrazione di massa, sì ai cosiddetti redditi di emergenza per quei milioni di di lavoratori – anzi, spesso lavoratrici – più o meno in nero, per i finti autonomi (e per la piccola borghesia), ma sia chiaro che sono misure straordinarie e temporanee, destinate a sparire il più presto possibile, anche perché se il contagio non dovesse essere messo sotto controllo (?) in fretta o, peggio, dovesse ripartire (cosa non improbabile, viste le riaperture), sarebbe molto problematico trovare altre risorse, e allora davvero non resterebbe che attaccarsi a qualche santo, cioè al niente. Coloro che straparlano di salari o redditi universali incondizionati, se ci credono non hanno appunto capito nulla del capitalismo; in caso contrario, sono dei volgari ciarlatani, che sfruttano paura e disperazione per i propri interessi, sempre contrapposti a quelli delle masse proletarie (e, per certi aspetti, anche piccolo borghesi).
Per uscire dalla crisi, il capitalismo dovrebbe lasciare che tante imprese piccole e grandi falliscano, così da eliminare i capitali in eccesso, che non vengono investiti in attività produttive di plusvalore, perché il saggio di profitto è troppo basso, ma per lo più nella predazione di plusvalore e e di ricchezza in genere, cioè nella speculazione finanziaria. Difficile, per così dire, che questo accada. Allora, non rimane che l'altra via: sperare di poter ripagare i debiti con la ripresa che verrà; ipotesi poco probabile anche questa...
Per chiudere, si può sintetizzare così il discorso sin qui fatto: il “riformismo”, rappresentato da una valanga di capitali, è partito dal mondo capitalistico 1) per rimettere in moto la macchina del plusvalore; 2) per mantenere la pace sociale (8), condizione necessaria per realizzare il punto uno; 3) la lotta dal basso dei lavoratori si è espressa in parte soprattutto sul terreno difensivo (sicurezza) e non su quello di attacco per ottenere riforme economiche e sociali che il capitalismo non si poteva permettere prima e a maggior ragioni adesso, dopo l'eccezionale esborso di capitali effettuato per salvare se stesso dallo sfacelo.
È certo, invece, che al mondo del lavoro salariato saranno presentati i conti di questo apparente riformismo di emergenza, e saranno salatissimi: di universale, per il proletariato, ci sarà solo uno sfruttamento più “incattivito” da una crisi che, con più forza ancora, imporrà “sangue, sudore e lacrime” alla classe lavoratrice.
CB(1) Quelle che si collocano in una prospettiva classista; tralasciamo, qui, l'analisi di quella prospettiva: l'abbiamo fatto tante volte e lo faremo ancora.
(2) La manifattura e i settori che di fatto ne sono un'appendice, oltre all'agricoltura.
(3) Il Sole 24 ore, 21 aprile '20.
(4) Il Sole 24 ore, cit.
(5) Le crisi periodiche manifestatesi dagli anni '80 del secolo scorso in poi, sono picchi particolarmente virulenti di quella crisi di fondo, esplosioni di bolle speculative prodotte dalla crisi medesima: dot.com all'inizio del millennio, i subprime nel 2007, per non andare più indietro con le crisi dei debiti sovrani negli anni '80, della Russia, delle “tigri” asiatiche alla fine degli anni '90 del secolo scorso.
(6) Già il vecchio presidente G. Bush senior, aveva definito l'economia mondiale un'economia zombie, quando gli avevano illustrato l'indebitamento crescente in ogni paese. Che lui fosse uno dei principali stregoni della suddetta economia, è inutile sottolinearlo.
(7) Al solito, i discorsi improntati alla cautela e alla sicurezza sanitaria sono ripugnante ipocrisia.
(8) Fino a quando? Fino a che dureranno i soldi per gli ammortizzatori sociali, destinati in ogni caso a esaurirsi in tempi più o meno rapidi?
Battaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
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