Brevi note di aggiornamento sulla pandemia

E’ nel vecchio continente, secondo i dati ufficiali, che si riscontra il maggior numero di vittime da Covid-19 (oltre 200.000 ai primi di luglio), sebbene la situazione sia in rapida evoluzione.

Oltre agli Stati Uniti (dove il numero di nuovi casi non accenna a diminuire in maniera significativa), il contagio sta assumendo proporzioni allarmanti nell’America del Sud, in Africa e in India.

Il Brasile, dopo gli Stati Uniti, rappresenta il paese con il maggior numero di persone contagiate (1.603.055, con circa 66.000 decessi), seguito dell’India (che attualmente ha superato la Russia; 719.664 casi, con 20.159 decessi); in Africa, secondo gli ultimi dati disponibili, si riscontra una rapida diffusione dell’infezione (476.506 persone, con 11.360 decessi).

La situazione potrebbe essere ben più grave di quanto finora riportato dai dati ufficiali; in Kenya l’istituto di ricerca medica di Kemri stima che ci possano essere stati più di 2,7 milioni di contagiati nel paese (la proiezione si basa sull’analisi di 2.535 campioni di sangue da donatori, con ricerca della “proteina spike” del Covid-19).

In India i tamponi di conferma dell’infezione vengono quasi esclusivamente effettuati in ambiente ospedaliero, accessibile solo a parte della popolazione (già in condizioni normali, comunque, la registrazione delle cause di morte è ampiamente approssimativa); i test a tappeto, che potrebbero dare un quadro più preciso della situazione epidemiologica, sono impossibili sia dal punto di vista logistico che economico.

Questo potrebbe in parte spiegare il bassissimo tasso di mortalità riscontrato in India (11 morti ogni milione di abitanti) rispetto all’Italia (578) e al Regno Unito (635).

La pandemia, che già ha avuto modo di mettere in evidenza le criticità dei diversi stati occidentali (sebbene le conseguenze debbano ancora manifestarsi pienamente sul piano economico-sociale), comporterà inevitabilmente ripercussioni ancora più importanti nei “paesi in via di sviluppo” (o, per meglio dire, le zone periferiche del capitalismo).

Sicuramente ci troviamo di fronte a realtà decisamente diverse, ma nel complesso caratterizzate una maggior fragilità del sistema sanitario; si pensi all’India, potenza emergente dalle dimensioni continentali, dove circa un milione di bambini muore ogni anno di diarrea e malnutrizione: che tipo di assistenza può offrire alla maggior parte della popolazione in una patologia che necessità, in una percentuale non trascurabile di pazienti, di lunghe degenze in reparti di terapia intensiva?

Esempi paradigmatici delle esigue risorse disponibili in ambito sanitario sono rappresentate da alcuni paesi africani: in Nigeria, dove attualmente si riscontrano 28.711 casi su una popolazione di circa 200 milioni di persone, sono disponibili solamente 500 respiratori polmonari; nella Repubblica Centrafricana su 5 milioni di cittadini sono presenti 3 respiratori.

Anche le misure di distanziamento sociale, che costituiscono il cardine del contenimento della diffusione del Covid-19, sono estremamente difficili da attuare, e quando attuate spesso comportano conseguenze disastrose; in India, com’è ben noto, il lockdown ha determinato ondate di migrazione interna, con milioni di lavoratori licenziati costretti a tornare a casa, nella speranza di non morire di fame (il provvedimento, oltre a mettere sul lastrico milioni di proletari, ha quindi facilitato la diffusione virale).

In molti paesi del Sud America e soprattutto dell’Africa, parte consistente dell’economia si basa su attività informali (in alcuni paesi africani circa il 40% del PIL è attribuibile a questo settore), totalmente prive di qualsiasi forma di protezione sociale; nel Perù si stima che circa il 73% della forza lavoro sia impiegata nell’economia informale (vendita di merci per strada, pulizie domestiche ecc.).

Molti lavoratori sono quindi costretti, quando è possibile, ad aggirare le restrizioni, per portare il cibo a casa; l’epidemia infatti si è diffusa anche in quei paesi, come Cile e Perù, che sono stati fra i primi a prendere provvedimenti, pur non potendoli applicare adeguatamente alla specifica realtà economica.

Le restrizioni indotte dalle misure di contenimento stanno determinando l’incremento delle persone rimaste senza alcuna fonte di reddito (circa 100 milioni, secondo le stime del recente rapporto Oxfam –federazione di organizzazioni non profit che si occupa della riduzione della povertà) ed aumentando, in alcune realtà, i prezzi dei mezzi di sostentamento. Nello Yemen la chiusura dei confini ha comportato una diminuzione delle scorte e l’incremento dei prezzi alimentari (il paese importa circa il 90% del cibo), mentre l’interruzione delle attività economiche negli stati del Golfo ha ridotto drasticamente le rimesse della forza lavoro imigrata, che costituisce la quasi totalità del lavoro salariato.

Sempre secondo il rapporto di Oxfam, circa 121 milioni di persone in più nel mondo potrebbero soffrire la fame per periodi di tempo prolungati, come conseguenza delle misure economico-sociali adottate per rispondere all’epidemia.

La pandemia sta inoltre enfatizzando le già vistose disuguaglianze sociali; in Brasile, secondo uno studio dell’Università federale di Pelotas, il tasso del contagio è decisamente più alto nei neri (5,6%) e negli indigeni (5,4%) rispetto ai bianchi e ai ricchi (1,1%).

Nelle comunità indigene dell’Amazzonia, generalmente sprovviste di adeguate strutture sanitarie (il primo ospedale spesso si trova a 2-3 ore di viaggio dal villaggio), il tasso di mortalità, all’inizio dell’epidemia, risultava decisamente maggiore rispetto alle altre regioni del Brasile (19,4 morti su 100.000 abitanti rispetto a 4,4 morti/100.000).

La crisi prodotta dalla pandemia si sta aggiungendo alla crisi economica mondiale, tutt’altro che superata; il forte rallentamento economico degli Stati Uniti e della Cina (in particolare di quest’ultima, la maggior acquirente di materie prime latino-americane) sta pesando fortemente sia sul Brasile che su altri paesi dell’area (in particolare il Cile, il Perù e l’Argentina).

Alcune proiezioni indicano che l’economia brasiliana, per il sommarsi di diversi fattori (riduzione del prezzo delle materie prime, degli investimenti, contrazione della domanda globale, misure di contenimento del virus), potrebbe presentare un crollo del PIL del 8% (in Argentina si prevede una contrazione del 7,3%).

Bolsonaro, fedele e fin troppo rozzo interprete delle élite dominanti, in piena epidemia, approva la misura provvisoria 936 che autorizza la sospensione dei contratti di lavoro e la riduzione dei salari, per tentare di rispondere alla crisi (facendola pagare ovviamente ai lavoratori, con la solita retorica dell’interesse nazionale).

La maggior parte delle forze riformiste, di varia estrazione (anche di quelle che si richiamano all’anti-capitalismo), vede nella crisi attuale il palese fallimento di un determinato modello di sviluppo capitalistico, il neo-liberismo; un maggior intervento dello stato, con investimenti nei settori di pubblica utilità (sanità, istruzione, ambiente), una riduzione della precarietà del lavoro, una ridistribuzione della ricchezza (magari con la “famigerata” patrimoniale), sono le ricette e le rivendicazioni per risolvere o modificare l’attuale situazione (il tutto ovviamente avulso da una valutazione delle dinamiche e dalle necessità di valorizzazione che nella fase attuale sta vivendo il capitalismo).

Contrariamente alle forze riformiste, riteniamo che la crisi, seppur esacerbata in questo momento dalla pandemia, sia strutturale e non il frutto di scelte politiche scellerate per assecondare la voracità della classe dominante; per strutturale intendiamo propria del modo di produzione capitalista, della sua modalità di accumulazione-sviluppo e delle sue insanabili contraddizioni (in primo luogo la caduta tendenziale del saggio di profitto).

Le politiche perseguite in questi decenni dai diversi stati borghesi, seppure con diversa intensità (attacco al salario diretto e differito, precarizzazione del mondo del lavoro, finanziarizzazione dell’economia, crescente aggressività imperialistica), sono il frutto del sistema capitalistico e potranno essere solo superate solo con il rovesciamento del capitalismo.

GS, 12/7/2020

P.S. gli ultimi dati si riferiscono al 6-9/07/2020 (le principali fonti sono il “Il Sole 24 ore”, “Il Manifesto”, “Post”).

Sabato, July 18, 2020