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Home ›L'America ha fatto il botto
L'immagine che ci viene dagli Usa è seriamente impressionante. Le vicende istituzionali sono le meno importanti. Quello che conta sono due cose. La prima è che Trump ha mobilitato fino in fondo, pur sapendo che non ci sarebbero state possibilità per invalidare le elezioni, il peggio del mondo reazionario americano, che ha sempre visto in lui l'uomo forte, il “duce” che avrebbe riproposto la leadership mondiale degli Usa, combattendo non più, o non solo, il Medio Oriente, ma contro i veri nemici quali Cina, Russia, Iran e Corea del Nord. Chi ha risposto all'appello “eversivo” di Trump sono stati, oltre al suo intransigente “zoccolo duro” facente parte di quei 74 milioni di voti raccolti, una parte degli organismi di stato a lui fedeli. Settori della polizia, come quelli che sotto la sua Amministrazione si sono prodigati ad ammazzare i cosiddetti “sporchi” negri che ancora “infestano” la bianca America. Piccola parte della NSA, della CIA e dell'FBI. Organizzazioni come il KKK e Qanons, neonazisti, i suprematismi bianchi che si sono mobilitati per salvare la vera “democrazia” americana dalla corruzione, dalla pedofilia, dall'integrazione dei migranti, dal “comunismo” dei democratici muovendosi, con l'avallo di Trump, anche su di un terreno paramilitare.
Questo è il segno di come, nell'approfondirsi di una lunga crisi economica e sociale, le forze reazionarie siano in grado di muoversi a loro piacimento se al governo c' è un presidente che, non solo accetta una simile rivolta, ma ne è il capo carismatico. A nulla valgono le tardive comunicazioni di Trump alla calma, dopo aver dato l'innesco all'incendio doloso. Gli Usa hanno sempre avuto una forte tradizione conservatrice e razzista in grado di intervenire a sostegno dei repubblicani. In questo caso l'intervento voluto dallo stesso presidente ha superato i limiti di una falsa democrazia, ponendosi sulla “piazza” come forza agente per gli interessi della “nazione”, di parte della grande borghesia agevolata dalle leggi trumpiane. A proposito, va ricordata il via libera dato agli imprenditori nei settori più inquinanti di agire a loro piacimento, pur di ottenere profitti sul sempre più competitivo mercato internazionale, e l'abbattimento delle tasse per tutte le imprese, con le ovvie ricadute negative sul già malconcio “stato sociale”. Va ricordato anche il ruolo recitato da una parte della piccola borghesia in paurosa crisi economica e di identità politica che, in mancanza di una vera forza politica di sinistra, è stata facile preda delle manovre politico-ideologiche di chi ha incanalato il suo processo di proletarizzazione verso le false sirene dello slogan “America first”. Ma dietro di esso ci sono gli interessi del grande capitale in tutte le sue declinazioni, anche quelle più brutali, nascosti però dalla paura che un governo “democratico” potesse mettere in ulteriore crisi i concetti e gli interessi economici del suprematismo bianco.
La seconda cosa è che in mezzo a tanto sfacelo – crisi economica, indebitamente dello Stato, delle imprese e delle famiglie che non ha riscontro nella recente storia americana, (ma non solo degli ultimi decenni) – manca la presenza del proletariato, fenomeno purtroppo non solo made in Usa. Conosciamo le cause di questo ritardo nella ripresa di una risposta della lotta di classe. Oggi le masse americane, comprese parte di quelle immigrate, si sono fatte abbindolare dalle false promesse di una borghesia elettorale (di destra e di “sinistra”) che per arrivare al potere si è dichiarata disposta a concedere, a parole, di tutto e di più.
Intanto Trump deve abbandonare la Casa Bianca. Il suo “tentativo di golpe”, oltre ad essere una mossa disperata, dà il senso di una continuità di scontro frontale in una sorta di sotterranea guerra civile per il potere in nome, questo è il bello, di due concezioni della democrazia, quella liberale di Biden e quella fascistoide di Trump. Via il Tycoon, l'America rimane ferocemente divisa in due; il grande capitale non rinuncerà facilmente alle facilitazioni che ha sin qui ricevuto e la crisi economica, scenario mai sufficientemente evocato, continuerà la sua devastante marcia. Ma lo scenario e le piazze, dovranno cambiare di segno, riempirsi di proletari non solo per dare la definitiva sepoltura all'Amministrazione Trump e al “trumpismo” (con tutto quello che implica), ma per contrastare anche l'altra faccia del capitalismo americano, quella nella versione Biden che, in modo formalmente diverso, dovrà riprendere nelle sue mani il primato imperialista degli USA. Per questo, dovrà riformulare una politica estera più pragmatica per le esigenze imperialistiche di Washington e tentare di uscire dalla crisi facendola pagare ai proletari in nome della “vera democrazia”, contro il suprematismo bianco e contro la reazione sollevata dal suo predecessore. Dovrà cambiare le forme del governo per lasciare inalterati i contenuti economici, sociali e imperialisti che hanno consentito a tutti i governi Usa di essere economicamente, militarmente e finanziariamente il primo razziatore di plusvalore prodotto al mondo.
Contro tutto questo c'è solo una via d'uscita: o il proletariato americano esce dall'ubriacatura di uno scontro tra i “buoni” e i “cattivi”, tra i liberali e i suprematisti, tra la democrazia e il fascismo, identificando le apparenti divisioni politiche come le due facce della stessa medaglia, seppur con effigi differenti, o per il mondo degli sfruttati sarà sempre lo stesso inferno. Il loro posto sarà quello della base della piramide sociale, se non nei malsani cunicoli sotterranei, e il loro unico diritto sarà quello di votare, se non hanno schifo, chi di volta in volta, sarà chiamato a perpetuare il loro sfruttamento. Ma perché ciò non accada più occorre una forte ripresa della lotta di classe, la chiara visione di una alternativa sociale (comunismo) a questa società decadente, che per uscire da un simile dissesto ha come ultima soluzione quella di mobilitare la base della piramide per trasformarla da “animale” da soma in carne da macello per una prossima guerra “purificatrice”, che, distruggendo, possa creare le condizioni per un nuovo ciclo di accumulazione ancora più infame di quello precedente.
Queste sono le condizioni necessarie perché una rivoluzione sociale possa esprimersi, ma tutto sarebbe inutile se non ci fosse un partito, internazionale e internazionalista, con una tattica e una strategia alternative al capitalismo in grado di essere lo strumento politico della classe. Altrimenti qualsiasi rivolta, qualunque anelito di riscossa sociale finirebbero per essere sconfitti o di essere riassorbiti dalle idrovore del capitalismo. L'obiettivo da colpire non sono le forme di amministrazione del capitale, ma il capitale stesso, il suo rapporto di sfruttamento con la forza lavoro, la sue devastanti crisi, le sue devastazioni ambientali e le sue guerre imperialiste. “O socialismo o barbarie”.
– FD, 08-01-2021
Battaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
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