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Preso un boss se ne farà un altro. È la prima considerazione che da qualche giorno verrebbe da fare pensando alla cattura di Matteo Messina Denaro. Nella rete dello Stato ogni tanto ci deve finire uno squalo, e non solo le acciughine, se lo Stato vuole essere rassicurante e mostrare all'indistinta massa dei cittadini, al di là delle appartenenze di classe, che è in grado di sconfiggere la mafia. Ma in realtà, a conti fatti, non è una gran vittoria la cattura di un boss anziano e malato di tumore dopo 30 anni di latitanza. E soprattutto un boss per l'istituzione mafiosa è un po' come un capo del governo per quella statale, o come un conducente per un autobus: facilmente intercambiabile e sostituibile, e il governo resta sempre quello dei padroni così come l'autobus resta sempre un autobus.
Potremmo parlare ore dell'efferatezza dei delitti di MMD, qualcuno potrebbe riaprire un dibattito che tra compagni dovrebbe essere chiuso come quello sul 41bis e qualunque discussione che non affronti il carattere borghese del fenomeno mafioso, non ci porterà lontano. Inoltre non è compito dei rivoluzionari chiedere a una parte di borghesia il pugno duro contro un'altra parte della stessa classe.
La mafia come il fascismo infatti, non è che una forma di espressione, magari più criminale all'apparenza, della classe dominante. Ovvero un suo modo di manifestarsi, una sembianza tra le peggiori che la borghesia può assumere. La mafia sta quindi al capitalismo come la sovrastruttura sta alla struttura secondo Marx, come i rami stanno al tronco dell'albero. Avendo come finalità l'accumulazione di profitto, il fare "i picciuli", questa rientra appieno nelle dinamiche capitalistiche, nonostante lo stipendio del picciotto per quanto succulento non sia paragonabile a quello del capo di Cosa Nostra. Ma soprattutto borghesia criminale e borghesia "dalle mani pulite", è la stessa che, spinta dalle sue crisi, dichiara guerre, causa devastazioni ambientali e crea miseria e sfruttamento in tutto il mondo: sono due facce della stessa medaglia. Quella di un mostro a due teste che a volte cercano di beccarsi tra loro, altre volte fanno la pace e scendono a patti. Infatti, potremmo dilungarci sulle connivenze nel mondo politico e finanziario, sugli appoggi da parte di settori dello stato, della massoneria e sulla capacità di ricatto della mafia medesima. Non soltanto nei confronti dello stato, ma anche del proletariato più diseredato costretto a vivere del welfare delle mafie...
La mafia, come abbiamo appena detto, ha sempre avuto bisogno di un referente politico, di uomini che fossero di aiuto "a Roma". Cambiano i vertici di Cosa Nostra (o di 'ndrangheta e camorra), i Messina Denaro prendono il posto dei Riina e dei Provenzano che a loro volta avevano preso il posto dei Bontade e degli Inzerillo. Cambiano i vertici dello Stato, cambiano gli Andreotti e i Craxi che diventano Berlusconi per 20 anni, che in quanto ad amicizie "equivoche" la sapeva lunga, e ora è arrivata la Meloni coi suoi accoliti, non pochi dei quali inquisiti per 'ndrangheta. Doverosa precisazione: se la mafia fiuta affari a sinistra (borghese, naturalmente), non si formalizza più di tanto a livello di ideologia. In tutto ciò, la baracca capitalista è ancora in piedi, coi suoi muri puliti nella facciata, sporchi di illegalità (secondo le sue stesse leggi) sul retro, dove si nota di meno finché uno non ci passa di fianco.
Solo il bulldozer del partito rivoluzionario, alimentato dalla classe proletaria, potrà demolire questa fatiscente catapecchia, già a pezzi ma che non ne vuol sapere di crollare da sola. Perché ciò avvenga non si può aspettare il miracolo, a mettere in moto il processo di demolizione ci devono pensare tutti gli sfruttati, in Italia e nel mondo, affinché anche la mafia (vero cancro sociale basato su profitto, prepotenza e sopraffazione), sia buttata nel cesso della Storia, tirando subito dopo lo sciacquone.
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