Inflazione, debiti, salari e speculazioni 

Gli economisti, compresi quelli di maggior rilevanza, si arrampicano su vetri sempre più scivolosi. Da noi la pentola del debito – pubblico e privato – sta per scoperchiarsi: siamo arrivati ai 3mila miliardi di euro. Mondialmente ha ormai raggiunto i 300mila miliardi di dollari, cioè il 350% del Pil totale! In dettaglio: negli Usa il rapporto col Pil nazionale è del 420%, in Cina è del 330%. Intanto lo sviluppo industriale è molto basso o quasi fermo (per il capitalismo suonano da tempo le sirene d’allarme!) e aumentano soltanto speculazioni a ritmo sostenuto e grazie al denaro facile che è circolato fino ad oggi.

Ora che è finito il periodo dei tassi d’interesse a zero e li si sta alzando ovunque, si apre la fase delle “insolvenze”, coi costi del debito che salgono a vista d’occhio. Ed ecco l’inflazione che comincia ad assestare altri colpi bassi ai consumi e quindi alla produzione e vendita di merci, col capitale che scava buche (modello Keynes) ma non trova profitti: anche quelli delle maggiori imprese tendono ad abbassarsi.

Sono giornate più che allarmanti per un servizio sui debiti pubblici che va peggiorando, col pericolo ulteriore di svalutazione di qualche moneta locale. Per i Paesi “poveri” il rischio è forte: anziché venire a galla, sprofondano ulteriormente. Invano il Fmi emette montagne di Diritti Speciali di Prelievo: si parla di 650 miliardi di dollari che avrebbero dovuto sostenere i Paesi più poveri i quali però ne stanno ricevendo solo qualche decina di miliardi (vedi l’Africa sub sahariana). Infatti, si è pensato bene di calcolare gli “aiuti” in rapporto al Pil di ciascun Paese!

Nonostante il Governo italico ci comunichi che l’inflazione a gennaio frena (solo un più 0,2% (mensile) per i prezzi al consumo e +10,1% su base annua), a ben guardare sale, al netto degli energetici, dal +5,8% al +6% in un mese. Continua quindi la tensione (con aumenti) sui prezzi di prodotti al consumo, alimentari e beni non durevoli, oltre agli affitti e ai servizi delle abitazioni, trasporti urbani, giornali, servizi di ristorazione e spese di assistenza. Ad addolcire la pillola, l’Istat si è affrettato ad aggiornare il suo paniere di riferimento per calcolare gli indici dei prezzi. Ha così ridotto – per la seconda volta consecutiva – il carico della voce Prodotti alimentari e bevande analcoliche, ignorando così i loro aumenti. In cambio ha introdotto la spesa per la riparazione degli smartphone…

Col venir meno degli acquisti di titoli spazzatura sui mercati, e con l’aumento dei crediti inesigibili delle banche, siamo davanti a contrazioni che mettono in serie difficoltà banche internazionali come Deutsche Bank, Société Générale, Crédit Agricole. Tutte fortemente indebitate.

Intanto, gli esperti economici e finanziari versano lacrime sull’eccessivo “carattere parassitario” che il capitalismo mostra; soprattutto lamentano una “drammatica inefficienza produttiva e di allocazione delle risorse”. Questo mentre crescono le masse di un capitale fittizio che consuma profitti ma ben pochi ne produce. Al punto che la richiesta di “denaro facile” cresce dettata da una condizione disperata alimentata dalle insanabili contraddizioni del sistema. Il denaro, fin qui stampato e distribuito, è finito a ricapitalizzare banche, compagnie assicurative e imprese minacciate dal fallimento. Si aggiungano – a completare il quadro – i giochi delle borse, bolle di speculazioni azionarie e immobiliari. La cosiddetta economia reale e i consumi di merci sempre al palo.

Dunque, e in conclusione, non manca chi altro non vede se non il pericolo di "un'iperinflazione in perfetto stile Weimar”, con preoccupazioni di ulteriori “diluvi monetari” che potrebbero costituire non un miglioramento ma un definitivo peggioramento delle malattie croniche che affliggono il capitale, ormai vicino allo stato comatoso. A cominciare dal dispiegarsi di una spirale inflazionistica alimentata dai prezzi in rialzo delle materie prime, iniziato nella prima metà del 2020. I contratti futures su 22 importanti materie prime, sono aumentati da un minimo di 60,24 a fine aprile 2020 a 90,36 a fine aprile 2021. In seguito sono cresciute le politiche protezioniste e i dazi, mettendo in ginocchio la vantata globalizzazione capitalista e il commercio mondiale. Anche le nuove tecnologie (internet, cibernetica, intelligenza artificiale, ecc.) e lo sfruttamento di manodopera a basso costo sono elementi che ormai non bastano a ridurre i costi di produzione di molte merci.

Non rimarrebbe che sperare, come in fondo fa qualcuno…., che un aumento dell’inflazione possa dare un aiuto al capitale svalutando i debiti pubblici…

Denaro – dunque – che non tiene in alcun conto l’esistenza di uno scambio di merci, dapprima prodotte. In realtà, se il denaro non rappresenta valore, e plusvalore, - ossia i termini monetari del tempo di lavoro socialmente necessario a produrre un oggetto (compreso il plus lavoro che dà profitto al capitale) - altro non sarebbe che carta stampata dal nulla e che a nulla serve se non, così si spera, a eseguire dei “trucchi di circolazione” mentre si continuerà ad erodere il potere d’acquisto di salari e pensioni. Per questi proletari e per tutti gli altri, noi ci impegniamo e lavoriamo affinché in essi ritorni a farsi sentire quella coscienza e quella lotta di classe che sarà presto una esigenza di vita o morte.

dc

Lunedì, February 13, 2023