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Home ›I cunei borghesi nel corpo proletario
Ogni volta che escono statistiche sulla classe lavoratrice, per lo più fornite dagli enti preposti della borghesia, è come se si spandessero lugubri rintocchi che accompagnano il proletariato nella sua discesa verso il basso, verso un degrado, finora, inarrestabile, delle sue condizioni di lavoro e quindi di vita.
Ai primi di aprile, l'Istat ha diffuso i dati dell'ultimo trimestre 2022 relativi al reddito delle famiglie e delle imprese, ai consumi e al risparmio dei nuclei familiari. Senza nessun stupore, emerge che in quel periodo il potere d'acquisto delle famiglie è calato del 3,7%, diminuzione che si ferma invece “solo” al 2% per quanto riguarda i risparmi. Ora, siccome anche un bambino sa che le famiglie non sono tutte uguali, economicamente parlando, è evidente che la media nasconde una perdita del potere d'acquisto molto più marcata per quelle – la grandissima maggioranza – che vivono di salario (se ce l'hanno) o, comunque, di lavoro sfruttato (la base vitale del capitalismo), sia esso regolato dalle leggi borghesi o erogato nelle zone d'ombra delle stesse: in breve, il lavoro nero. In questa marcia verso il fondo, sono incamminati anche settori della piccola borghesia, impossibilitati, per le leggi che governano il modo di produzione capitalistico, ad arrestare il processo di proletarizzazione e, se vogliamo chiamarlo in altro modo, di declassamento sociale in cui sono ciclicamente trascinati. Il fatto stesso che si sia indebolita la capacità di risparmio di milioni di persone, sta a significare che salari/stipendi sono sempre più insufficienti per arrivare a fine mese e si devono dunque intaccare le riserve.
Senza stupore, si diceva, perché questa drammatica situazione non è certamente nuova: da alcuni decenni scandisce l'esistenza del proletariato e degli strati sociali vicini, come effetto non collaterale della crisi del ciclo di accumulazione cominciata mezzo secolo fa, sulla spinta della caduta del saggio medio di profitto (“la legge più importante del capitale...”). A niente sono serviti i numerosissimi interventi degli Stati e favore delle imprese, cioè del capitale, men che meno la briglia sciolta alla speculazione finanziaria che, anzi, sposta solo più in là i problemi, aggravandoli. L'unica strada percorribile dalla borghesia per dare ossigeno a saggi di profitto anemici è l'attacco frontale alla classe lavoratrice, un attacco in cui l'abbassamento (e la rapina) del salario in tutte le sue forme – diretto, indiretto, differito – è una delle armi principali, se non, forse, la principale. Hanno un bel da stracciarsi le vesti, i riformisti di ogni gradazione – non esclusi quelli che hanno il coraggio di chiamarsi comunisti – quasi imploranti i padroni e i loro Stati perché aumentino i salari, così, dicono, da allargare il mercato accrescendo la capacità di spesa della maggioranza della popolazione. I padroni fanno e perseguono tenacemente l'opposto, dato che solo se spuntano saggi di profitto adeguati agli investimenti possono restare sul mercato, perché il consumo segue la produzione, non la precede. Visto che i margini di intervento sui costi del capitale costante (macchinario, materie prime, energia ecc.) sono sempre più ristretti, non rimane che picchiare duro sul capitale variabile, cioè sulla forza lavoro. Allora, la borghesia picchierà tanto più duro quanto meno la classe lavoratrice reagirà all'aggressione: in pratica, purtroppo, la storia degli ultimi quaranta e passa anni.
Più volte, nella nostra pubblicistica, abbiamo commentato la diffusione della “povertà lavorativa”, cioè, secondo la sociologia accademica, la condizione di chi guadagna meno del 60% della mediana dei salari o, in altre parole, di chi è molto se arriva con il salario alla terza settimana. Solo per citare un altro dato, un rapporto recente dell'INPS (XXI Rapporto annuale) afferma che dal 2005 al 2021 il 10% della forza lavoro (in prevalenza giovani, donne, residenti al Sud) abbia perso tra il 28% e il 48% del proprio reddito; ma si tratta solo, aggiungiamo noi, della punta dell'iceberg proletario impoverito.
Un peggioramento che viene da lontano, dunque, accelerato dalla pandemia e dalla guerra in Ucraina, ambedue figlie legittime del capitale e della sua natura distruttrice, da cui è emerso un fenomeno che da anni non si vedeva, vale a dire un'inflazione a due cifre. Alla fine del '22 era quasi al 13% e sebbene adesso (aprile '23) si sia abbassata attorno al 7%, rimane però sulle cifre di fine '22 per quanto riguarda il cosiddetto carrello della spesa, cioè le merci di consumo quotidiano. Non bisogna essere dei geni per capire che l'inflazione colpisce più duramente i redditi bassi, cioè, una volta di più, la classe lavoratrice, e questa non ha nessuna colpa – assumendo l'ottica borghese – degli aumenti, perché la tanto temuta spirale salari-prezzi manca proprio del primo elemento ossia i salari, che da decenni non crescono, anzi arretrano. La responsabilità è, come sempre, dei capitalisti che per di più, col pretesto di fra fronte alle difficoltà legate alla pandemia e alla guerra (che pure esistono, chiaramente) mettono anche una mano sul piatto della bilancia, per così dire, come furbetti bottegai “di una volta”. Non siamo noi a dirlo, ma personalità delle massime istituzioni borghesi.
Secondo quanto riporta il giornale della Confindustria, il capo economista del FMI, P.O.Gourinchas,
si dice “poco convinto” del rischio di una spirale prezzi-salari incontrollata.
Gli aumenti dei salari nominali continuano a restare indietro rispetto agli aumenti dei prezzi.
Ciò suggerisce che i salari reali dovrebbero aumentare [perché, in base a cosa, come?] … Ma i margini aziendali sono aumentati negli ultimi anni e dovrebbero essere in grado di assorbire gran parte dell'aumento del costo del lavoro (1).
Quindi i profitti sono aumentati (come massa, ma non abbastanza come saggio), i salari sono calati, come sperimentiamo da anni, e adesso il nostro “disagio sociale” ha persino la certificazione del FMI.
Alla borghesia, però, importa poco di quello che dicono le sue “teste pensanti” se sbugiardano le falsità con cui di solito traveste le proprie politiche. E' il caso, per esempio, dei provvedimenti in uscita (pare) del governo, diretti a “mitigare” il famoso disagio, ma preservando la “moderazione salariale”, alfa e omega di ogni ripresa (?). Ci riferiamo, naturalmente, alla conferma del taglio di tre punti del cuneo fiscale (fino a 25.000 euro lordi, di due fino a 35.000), già compresi nella finanziaria di fine '22, che a sua volta riprendeva, di fatto, una misura del governo Draghi. Anzi, il taglio (in deficit) viene rafforzato (alcuni dicono quasi raddoppiato) da maggio a dicembre, poi, con l'anno prossimo, si vedrà...
Per dare qualche cifra, col taglio in vigore da inizio anno
Per i redditi fino a 25 mila euro lordi parliamo di un risparmio mensile di 41,50 euro, ed annuo di 493,85 euro. Da 27.500 a 35 mila parliamo di una trentina di euro in più in busta paga, 360 – 390 l'anno (2).
Anche se questi importi raddoppieranno, è evidente che con l'attuale livello di inflazione è già molto se recupereranno parte delle perdite subite o, se va molto bene, faranno pari; in ogni caso, è escluso un aumento del salario reale. Anzi, queste compensazioni largamente insufficienti del salario sono rese possibili anche e non da ultimo dai tagli al Reddito di Cittadinanza e alla rivalutazione delle pensioni da 1700 euro in su: se fossimo in un'aula di tribunale, questo brillante intervento di politica economica si configurerebbe come furto, e neanche tanto con destrezza, perché i pensionati bidonati hanno versato i contributi fino all'ultimo centesimo, al contrario degli autonomi e professionisti vari che, oltre ad avere la possibilità di evadere le imposte, sono invece gratificati con la cosiddetta flat tax al 15% fino a un reddito di 85.000 euro. Non male, per un governo che avrebbe a cuore le pene di milioni di proletari.
In realtà, la “borgatara de voantri” e la sua banda, proprio come chi è venuto prima, e chi verrà dopo, hanno a cuore solo gli interessi della borghesia, dell'imprenditoria di ogni taglia; le uniche preoccupazioni che le impensieriscono sono di carattere elettorale, per non perdere le poltrone su cui stanno così bene accomodate, e la possibile esplosione della rabbia sociale che, se si manifestasse, dovrebbe essere affrontata solo col bastone, visto che di carote ce ne sono pochissime e per giunta mezze ammuffite.
C'è un motivo se il padronato e i suoi portavoce, i governi, spendono molte parole, e qualche fatto, sul taglio del cuneo fiscale, invece di alzare direttamente i salari: questi uscirebbero dalla tasche della borghesia, il taglio del cuneo viene fatto a spese dello stato, cioè di chi paga le imposte (quindi...) con le inevitabili ricadute negative sui servizi sociali. Per esempio, è quasi banale nominare lo stato semi-comatoso in cui è stata ridotta la sanità pubblica, devastata da tagli pluridecennali più che dal covid, con le ovvie gravi conseguenze sulla salute di milioni di persone, per lo più appartenenti alla classe lavoratrice. Anche il fascistume al governo spera di prendere all'amo elettoralesco quanto più proletariato possibile, o almeno di intorpidirne la coscienza, con questo “metadone di stato” (parole care alla “borgatara” di cui sopra...) e mantenerlo nella passività sociale. Il gioco degli “aiutini” , finora, ha funzionato, ma non è detto che duri per sempre – e noi ovviamente lo speriamo vivamente – anche perché le svolte possono essere improvvise. Il proletariato francese ne è l'ennesima dimostrazione, così come conferma drammaticamente che la determinazione alla lotta, il coraggio, se sono indispensabili, da soli non bastano a invertire decenni di attacchi borghesi – benché possono rallentarli, il che non è poco - se non agiscono in una prospettiva di superamento rivoluzionario della società borghese, che però solo il partito rivoluzionario può, dialetticamente, indicare. Da sempre, siamo “al lavoro” per questo, ma sarebbe il caso che le individualità soggettivamente internazionaliste – che sono poche, ma esistono – si stancassero di stare alla finestra e dessero una mano anche loro...
cb(1) Gianluca Di Donfrancesco, Fmi: sale il rischio di atterraggio brusco per le fragilità delle banche, Il Sole 24 ore +, 11 aprile 2023.
(2) Claudio Tucci, Lavoro, chi ci “guadagna” con il nuovo taglio del cuneo fiscale, Il Sole 24 ore +, 12 aprile 2023.
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