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Home ›Le difficoltà, economico-finanziarie, per Mosca
La Banca centrale russa ha portato i tassi di interesse al 12% per combattere l'inflazione e il deprezzamento del rublo. Sono intanto raddoppiate le spese militari, con fabbriche impegnate a produrre mezzi bellici in quantità. Tutto figurerebbe come un recupero economico messo in atto da Mosca, ma cresce il deficit del bilancio pubblico (30 mld di dollari nei primi 6 mesi dell’anno), con le entrate fiscali per le vendite di petrolio e gas calate a metà. La Banca ha – per tre mesi - cercato di acquistare oro al di sotto del prezzo di mercato (13 dollari in meno al grammo, e vedremo più avanti il perché), cercando poi di stabilire un cambio fisso oro-rublo pari a 5000 rubli per grammo: manovre che sembrano temere ulteriori svalutazioni del rublo, oltre a un isolamento del sistema bancario russo. Si tratterebbe quindi di un tentativo per fissare un cambio rigido tra rublo ed oro, lanciando la minaccia per una diversa organizzazione economica internazionale. Mosca sogna quindi (e così traspare anche nel recente summit dei paesi BRICS in Sudafrica, che esamineremo in un altro articolo), di poter raggiungere una parità del suo rublo con l’oro (oggi inesistente), forte di essere il terzo produttore mondiale del prezioso metallo. Ne ha effettuato ultimamente notevoli acquisti, facendo salire la Banca Centrale russa al 5°posto nel mondo per riserve auree. Ha venduto – per comprare oro – una parte delle sue riserve in dollari (buoni del tesoro Usa) per quasi mezzo miliardo. L’idea sarebbe quella di ancorare il rublo ad un bene materiale, per dargli un valore maggiore. Ma in definitiva non si farebbe altro che un salto dalla padella nella brace; un ritorno all’aggancio fra oro e valute, sperando di “pacificare” le tensioni monetarie, non calmerebbe certo le acque agitate; si tenterebbe soltanto di inseguire un più conveniente tasso di cambio col dollaro. Esso, a sua volta, comincia a preoccuparsi per la eventuale comparsa di un sistema monetario composto di valute poggianti su Stati che producono e controllano materie prime strategiche pagabili non più in dollari bensì in rubli e yuan. In gioco vi sarebbe quello che si spera possa essere un nuovo “amichevole” ordine globale, sempre che la crisi non travolga gli uni e gli altri, rivelando le realtà di certi supposti equilibri di comodo e le relative astratte dichiarazioni di comuni interessi e finalità. Con la presenza, nelle foto di gruppo, di “potenze” quali Cina, Russia, India, Sud Africa, Brasile, ecc.
La Russia, annunciando ufficialmente l’intenzione di perseguire l’obiettivo di una “ristrutturazione dell’economia”, cerca di meglio configurare la produzione e le filiere, possibilmente recuperando saggi di un profitto anche per essa – come ovunque - in forte difficoltà. Con l’obiettivo finale di meglio pianificare una politica industriale che le consenta di risalire – riparando alcuni anelli arrugginitisi – la fondamentale catena, per il capitalismo, del valore. Quindi Mosca intenderebbe – in realtà si vede costretta – a rivolgersi ad una nuova clientela (non più quella occidentale) di fornitori ma soprattutto di acquirenti.
Tuttavia, gli sbocchi commerciali esteri, per la Russia, sembrano essere piuttosto limitati, così come lo sarebbero gli investimenti. Le trasformazioni strutturali – sempre secondo la stessa Banca Centrale russa - dovrebbero guardare, più che alle esportazioni di merci, ad un miglioramento della domanda interna, necessaria per “stabilizzare il paese” e garantirgli la “pace sociale”.... Ebbene, per migliorare qualitativamente e quantitativamente la produzione di merci destinata ad un mercato interno che dovrebbe... consumarla, sì, ma pagandola, si renderebbe indispensabile “ristrutturare “ anche il mercato del lavoro. E per il capitalismo – imperante in Russia dai tempi di Stalin e spacciato allora per “socialismo in un solo paese” - questo significa selezionare i lavoratori superflui e mandarli ad ingrossare l’esercito dei disoccupati. Una tale ristrutturazione economica richiederebbe inoltre aumenti salariali per chi rimane al lavoro, affinché le merci prodotte non riempiano i magazzini per mancanza di consumatori. Altrimenti la “domanda interna” si abbasserebbe, con i disoccupati che non acquistano... e guardano le “offerte” in vetrina. E' però noto che l'abbassamento del salario è una delle vie principali percorse dal capitale per rilanciare una produttività (di plusvalore) all'altezza delle sue necessità...
In qualsiasi modo lo si chiami, il modello economico scelto deve garantire, al momento dei conti delle entrate ed uscite, quell’“equo profitto” che ad Occidente come ad Oriente continua il suo tendenziale calo. E’ il capitalismo che non funziona, “modello neoliberale” o “capital-socialista” che dir si voglia, con cicli di valorizzazione costretti in “circostanze” (come qualche “spirito bello” del mondo borghese le definisce!) avverse, specie riguardo ai saggi di profitto....
Facendo leva sulla espansione dei mercati, interni o globali, e promettendo salari alti e stabili ai pochi che avranno – per grazia divina e volontà del capitale - un posto di lavoro fisso, gli “esperti” del capitale si affiderebbero a flussi di capitale regolabili.
Occorre però garantir loro un continuo aumento della produttività (e vendita di merci) – come si diceva prima – proveniente, oltre all'abbassamento del salario, dalla introduzione nei processi produttivi di nuove conoscenze e innovazioni scientifiche e tecnologiche, dove il cosiddetto “sviluppo del capitale umano” consenta una diminuzione dei suoi costi e uno sfruttamento con la massima estrazione possibile di plusvalore relativo. Ma - ad un certo punto – ecco le ben note conseguenze: occupazionali, per i proletari, e di bassa remunerazione (profitto) per lo stesso capitale costretto a mutare la propria composizione organica. Si frantumano le illusorie ricette per un “controllo” del sistema, programmazione o pianificazione che dir si voglia.
Nel settore delle valute si lamenta la mancanza di una stabilizzazione del tasso di cambio e una disponibilità di forti riserve finanziarie: Mosca e Pechino sognano redditizi impieghi di capitale guardando alla “clientela” risiedente nei paesi ancora non allineati al circuito monetario del dollaro, o comunque insofferenti ad esso.
Per la Russia, soprattutto, diventa indispensabile trovare una collocazione “migliore” nella catena del valore. E’ per questo, e guardando alla possibilità di creare un altro “Ordine finanziario mondiale”, che la sua esposizione in dollari si sta riducendo. Il tentativo sarebbe quello di vincolare al rublo il commercio di merci basilari come petrolio, gas naturale, materie prime minerarie e oro. Mosca vorrebbe che il rublo diventasse valuta di riferimento per il mercato del suo gas, ora interessato all’area asiatica. Per questo mantiene la convertibilità in oro e ne fa acquisti pagando migliaia di rubli (fino a 5, come s'è detto) per un solo grammo.
Intanto però la liquidità sul mercato interno russo non fa che aumentare l’inflazione (già siamo a + 20%!), e va avanti la riduzione delle riserve valutarie. Ma soprattutto bisogna fare i conti con le forze armate americane il cui enorme potenziale è ancora una minaccia per tutti quelli che non intendessero accettare le funzioni che da decenni svolge il dollaro. Va sempre ricordato che il biglietto verde americano viene accettato in tutto il mondo non solo per scambiare le merci ma anche per pagare i debiti; in effetti gli Usa, più che del commercio di ciò che producono, vivono di rendita sui loro debiti che circolano come moneta di riserva accettata in tutto il mondo. Ma a lungo andare, però, non dovrebbe venir meno un dominio economico reale che, con un attivo commerciale consistente, faccia da concreta sorgente di denaro e di forti riserve per ampliare gli scambi delle merci prodotte.
Altrimenti, incertezze e rischi aumentano se la moneta viene trattata come una merce, accumulandola poi come una ricchezza fittizia che si dovrebbe autovalorizzare nei movimenti sul mercato finanziario internazionale. Una ricchezza che comunque costringe in miseria centinaia di milioni di esseri umani, parte di quella cosiddetta “popolazione attiva” – forza-lavoro impegnata nella produzione di merci – che si va riducendo nel mondo. Secondo alcuni, il numero attuale dei lavoratori produttivi è inferiore ad 1⁄4 del totale degli occupati nel “mondo del lavoro” (sarebbe addirittura negli USA all’8%!).
Da dove ricavare plusvalore se la forza-lavoro da sfruttare diminuisce anziché aumentare, nel tentativo di contrastare il calo del saggio medio di profitto ? E’ quello che il capitale si vede costretto a fare col ricorso – per produrre sempre più merci concorrenziali - ad una maggiore introduzione di tecnologie automatizzate che riducono l’impiego di forza-lavoro umana nei processi di produzione delle merci ma, alla fine, non aumentano la valorizzazione del capitale; più in generale, ad attaccare a tutto spiano le condizioni di lavoro, non disdegnando affatto (anzi) il ricorso al plusvalore assoluto. E la crisi – strutturale – del capitale avanza in tutto il mondo, chiamando il proletariato a svolgere il compito storico che gli appartiene. Prima che sia troppo tardi...
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