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Home ›I compiti dei rivoluzionari di fronte alla marcia del capitalismo verso la guerra
Gli orribili massacri perpetrati negli ultimi giorni da entrambe le parti nella guerra tra Israele e Hamas sono solo un altro segno di ciò che il capitalismo ha in serbo per noi. Il veleno del nazionalismo, conseguenza di una società divisa in classi, sta inghiottendo i lavoratori di Israele e della Palestina, che siano o meno impegnati a sostenere le proprie classi dirigenti; la stragrande maggioranza dei morti, dei feriti e degli sfollati sono lavoratori e le loro famiglie, da entrambi i lati del confine.
L'invasione di Israele da parte di Hamas ha coinciso quasi esattamente con la guerra dello Yom Kippur di mezzo secolo fa. Allora come oggi, lo Stato israeliano fu colto di sorpresa, ma i paragoni storici finiscono qui. Nel 1973, il sistema capitalistico mondiale era appena entrato nella fase conclusiva del suo ciclo di accumulazione. Oggi, siamo ancora in preda alle contraddizioni che hanno seguito la fine di un'epoca, mentre il capitalismo cerca di ravvivare il tipo di crescita redditizia di cui ha goduto durante il boom del dopoguerra. Finora, la globalizzazione e la finanziarizzazione hanno permesso solo a una minoranza di arricchirsi a spese della grande maggioranza; però non sono state sufficienti per avviare un nuovo ciclo di accumulazione.
Questa serie di atrocità tra Israele e i nazionalisti palestinesi è molto più sanguinosa delle precedenti. Non è un caso. Data la stagnazione economica, le tensioni imperialiste hanno raggiunto nuove vette e, come abbiamo sostenuto fin dall'inizio, la guerra in Ucraina è solo il presagio di una violenza ancora maggiore e di una guerra generalizzata. Sì, ci sono state molte guerre sul pianeta nel corso di questi decenni, e pochissime di esse non sono state causate o esacerbate dagli interessi di una grande potenza imperialista. L'Ucraina, invece, è diversa. Non solo non c'è spazio per alcuna forma di compromesso, ma la guerra è diventata una competizione diretta tra la NATO (che sta armando apertamente l'Ucraina) e la Russia. Inoltre, ha rafforzato le alleanze tra le potenze occidentali (la scomparsa della NATO non è più all'ordine del giorno) e sta provocando una reazione più decisa da parte delle "potenze sanzionate", Russia, Cina e Iran. Dall'inizio della guerra in Ucraina, gli Stati Uniti hanno dedicato più tempo ad attaccare la Cina che la Russia, sia retoricamente che economicamente.
Sulla scia di tutto questo, il rinnovato spargimento di sangue in Israele e Palestina è solo un'altra area di conflitto. In Siria, la guerra civile durata 12 anni ha portato alla spartizione del Paese, con una serie di attori, grandi e piccoli, che si contendono il controllo di questo o quel pezzo di territorio. La Turchia controlla la maggior parte del confine settentrionale e la striscia di terra al suo interno per tenere d'occhio l'YPG sostenuto dagli Stati Uniti nel Rojava, mentre la Russia e l'Iran sostengono le tribù arabe che combattono le forze SDF/YPG a Deir Al-Zor. L'Iran e Hezbollah hanno ancora truppe nel sud della Siria per aiutare Assad a riprendere il controllo, ma anche per mantenere aperte le vie di rifornimento dell'Iran al suo alleato libanese. Ci sono poi tutti i conflitti che si estendono dal Burkina Faso e dal Niger al Sudan e allo Yemen, passando per il Sahel (senza dimenticare lo scontro in corso per la Libia). Anche in questo caso, le grandi potenze sono tutte ben visibili. Mentre il mondo assiste inorridito alla "distruzione" di Gaza da parte di Israele, altri conflitti sono in corso. L'Azerbaigian, non contento di aver cacciato 100.000 armeni dal Nagorno-Karabakh, minaccia ora di invadere l'Armenia per aprire un corridoio verso l'enclave azera di Nakhichevan. Conflitti di confine, pulizie etniche e violenze tra comunità diverse continuano in molte parti del mondo, dal Myanmar alla Colombia.
La classe operaia (cioè il lavoro salariato) è la prima vittima di questa violenza. Ovunque, la classe operaia è allo stesso tempo arruolata a forza dal capitalismo per combattere le sue guerre e la classe che ne soffre di più. La causa principale di questi conflitti è il capitalismo, o più precisamente le contraddizioni del capitalismo e le sue ricorrenti crisi economiche. Il capitalismo non può esistere senza la forza, senza espropriare la classe operaia di ciò che produce, delle necessità della vita, utilizzando lo Stato con i suoi tribunali e le sue forze di polizia per contenere la classe operaia stessa.
Questa è l'ultima società di classe dello sviluppo umano, una società in cui la nostra capacità di lavorare, costruire e creare è controllata da una classe dirigente che dirige il nostro lavoro e si appropria della ricchezza che produciamo a proprio vantaggio. Nel migliore dei casi, riceviamo le briciole dalla tavola che abbiamo preparato per i padroni. Nel peggiore dei casi, finiamo come carne da macello o come "danni collaterali" nel tritacarne delle loro guerre.
Poiché il capitalismo si basa sulla concorrenza, è anche un sistema instabile e violento, in cui la feroce competizione tra imprese si trasforma sempre più spesso in un violento scontro tra Stati. A un certo punto, quando è impossibile mantenere i profitti con altri mezzi, è necessaria una massiccia distruzione del valore del capitale per ristabilire l'equilibrio tra capitale fisso (macchinari e altri mezzi di produzione) e capitale variabile - il valore della forza lavoro della classe operaia che produce la ricchezza della società - e la guerra diventa l'unico modo per raggiungere questo obiettivo. All'inizio del XX secolo, il capitalismo è entrato nell'era dell'imperialismo, dove questi conflitti hanno portato per due volte il mondo alla guerra mondiale, uccidendo decine di milioni di persone. Tuttavia, anche le "piccole" guerre del capitalismo del XX e XXI secolo sono guerre imperialiste. Vengono combattute per sviluppare la produzione capitalista o per indebolire i rivali economici e strategici. In definitiva, la causa della guerra è la ricerca del profitto e il contrasto alla caduta del tasso di profitto attraverso la ricerca e il controllo delle materie prime e l'abbassamento dei costi di produzione, compreso il prezzo della forza lavoro (salari).
Non c'è soluzione alle guerre del capitalismo, finché il capitalismo permane. Anche se un particolare conflitto può essere messo sotto controllo, le cause della guerra non scompaiono. La ricerca di un vantaggio strategico e, in ultima analisi, la base economica del capitalismo come sistema fondato sul profitto, spingono gli Stati alla guerra. Nel mezzo dell'attuale crisi del capitalismo, che da più di mezzo secolo cerca disperatamente un modo per aumentare i propri profitti, la guerra è sempre più una possibilità da prendere in considerazione, soprattutto dagli Stati più deboli, nel tentativo di assicurarsi un vantaggio.
In mezzo a questa violenza, spetta ai rivoluzionari ricordare ai lavoratori che non siamo altro che forza lavoro per il capitalismo. Quando il nostro lavoro non è richiesto, possiamo essere tenuti in vita con sopportazione (negli Stati più ricchi, per evitare "disordini sociali"). Ma sempre più spesso i lavoratori hanno solo la loro capacità di arrabattarsi per sopravvivere. Non abbiamo alcun interesse alla continuazione del capitalismo, ma siamo sempre più attratti dalle bandiere nazionali del capitalismo. È nell'interesse di tutti noi opporci al mondo orribile che il capitalismo crea. Possiamo iniziare prendendo posizione politicamente a fianco dei nostri fratelli e delle nostre sorelle della classe lavoratrice, ovunque ci troviamo.
Dobbiamo rifiutare i veleni nazionalisti che mettono i lavoratori l'uno contro l'altro, che dicono che i lavoratori di un paese devono unirsi ai capitalisti di quello stesso paese e combattere i lavoratori di un altro paese, che combattono nell'interesse dei loro governanti. Le mille e una varietà di sinistra e i “democratici” che sostengono "l'indipendenza del popolo palestinese" o "il diritto di Israele a difendersi" o "l'autodeterminazione nazionale" o "la democrazia contro il terrorismo" non fanno altro che arruolare i lavoratori dietro varie bandiere nazionali che, in ultima analisi, servono come loro sudario. Mentre i governi occidentali e i partiti di opposizione rilasciano dichiarazioni in cui affermano che il mitico "noi" nazionale "sta con Israele", gruppi di sinistra come l'SWP nel Regno Unito affermano che il loro sostegno ad Hamas è "incondizionato ma non acritico" - la loro critica, tuttavia, non riguarda il fatto che i lavoratori israeliani vengano uccisi, o che lo scopo di tali atrocità sia quello di rafforzare la divisione/contrapposizione nazionalista tra lavoratori israeliani e palestinesi, ma sul fatto che non ci sono abbastanza donne e persone LGBTQ+ che commettono questi omicidi. (1) Uccidere e morire per gli Stati dei “nostri” padroni, che si tratti della Palestina "oppressa", di Israele "democratico", dell'Ucraina "antiautoritaria", della Russia "antifascista", del Rojava sostenuto dagli Stati Uniti o di qualsiasi altra frazione della classe dominante e del suo desiderio di amministrare territori e lavoratori da sfruttare, non può mai essere nell'interesse della classe operaia, ovunque essa si trovi.
Il compito dei comunisti, degli internazionalisti e dei rivoluzionari è chiaro. È quello di affermare che il capitalismo è la causa di queste guerre e che l'unica soluzione a questa barbarie è l'azione della classe operaia per opporsi al capitalismo, a tutti i suoi Stati e a tutte le sue guerre.
Il primo passo è innalzare la bandiera della solidarietà di classe internazionale e, per quanto possibile, dimostrare alla classe operaia in generale che non esistono soluzioni capitalistiche - solo la rivoluzione porrà fine a questo spettacolo dell'orrore. A tal fine, le organizzazioni internazionaliste stanno rilasciando dichiarazioni, comunicati e proclami che condannano la guerra - tutte le guerre - e invitano i lavoratori a respingere la chiamata alle armi. Dall'inizio delle ultime ostilità in Israele/Palestina, le dichiarazioni di questo tipo sono state numerose. La TCI ha naturalmente pubblicato una dichiarazione (2) - e altri articoli - che condanna la guerra e spiega la nostra interpretazione degli eventi che l'hanno scatenata e le cause sottostanti. Continueremo a farlo sul nostro sito web e sulla stampa delle regioni in cui siamo presenti.
Anche altri gruppi che sostengono di far parte dell'eredità della sinistra comunista hanno rilasciato dichiarazioni. La Corrente Comunista Internazionale ha emesso una dichiarazione di questo tipo(3), che include un appello internazionalista molto chiaro: "Per noi proletari non c'è una parte da scegliere, non abbiamo una patria, una nazione da difendere! Da una parte e dall'altra del confine, siamo fratelli e sorelle di classe! Né Israele né Palestina", con cui siamo assolutamente d'accordo. La dichiarazione del Partito Comunista Internazionale inizia come segue: "Tutti i partiti della borghesia israeliana e palestinese stanno indirizzando i loro proletari verso il massacro in una guerra in difesa dei loro profitti e della sopravvivenza del marcio regime del capitale. Contro la guerra imperialista, per la guerra di classe rivoluzionaria", e anche in questo caso siamo d'accordo con questa parte della dichiarazione (a prescindere dalle nostre riserve sulle altre parti) (4). Il gruppo International Communist Perspectives in Corea del Sud, che partecipa al comitato No War But Class War Korea, ha rilasciato una dichiarazione molto chiara che si conclude come segue: "I lavoratori non hanno patria! Opporsi al nazionalismo! Rovesciare il sistema genocida! Rifiutarsi di sacrificare i lavoratori e di entrare in una guerra di classe! Fermiamo la guerra attraverso la lotta di classe internazionale per rovesciare il sistema capitalista!" (5) Il Gruppo Internazionale della Sinistra Comunista ha tradotto la nostra dichiarazione e l'ha pubblicata con un commento che spiega che "siamo inequivocabilmente dalla stessa parte della barricata di classe della TCI in questo momento e nella lotta attuale, e più in generale di fronte all'alternativa storica, rivoluzione proletaria internazionale o guerra imperialista generalizzata". (6) Anche il gruppo Internationalist Voice ha rilasciato una dichiarazione che inizia con un chiaro messaggio internazionalista: "Contro la guerra reazionaria, contro la brutalità del capitalismo, i lavoratori non hanno patria!" (7), e il gruppo spagnolo Grupo Barbaria conclude la sua dichiarazione con queste parole: ".... Alle bandiere del nazionalismo, di qualsiasi colore esse siano, opponiamo la lotta comune dei lavoratori palestinesi e israeliani. Per gli israeliani, il loro più acerrimo nemico è l'apparato dello Stato ebraico, così come l'Anp e Hamas sono i nemici implacabili dei palestinesi. Solo affrontandoli direttamente potranno uscire dal labirinto infernale in cui si trovano. In breve, contro la guerra imperialista - ed è una guerra imperialista - c'è spazio solo per la sua trasformazione in guerra di classe". (8)
Anche altri gruppi hanno pubblicato dichiarazioni internazionaliste (e al momento della pubblicazione siamo a conoscenza di altre ancora. Le aggiungeremo man mano che le riceveremo. Siamo a conoscenza del gruppo ceco Tridni Valka ("Guerra di classe") che ha rilasciato una dichiarazione che, a nostro avviso, esprime un impulso internazionalista, anche se non condividiamo la prospettiva immediata di trasformare questo conflitto in un tentativo rivoluzionario di rovesciare il capitalismo. La dichiarazione contiene tuttavia un messaggio internazionalista: "Come comunisti, chiediamo la distruzione di tutti gli Stati in egual misura, poiché essi non sono altro che l'espressione locale dello Stato capitalista mondiale, una struttura di violenza organizzata della classe borghese contro la classe proletaria! "(9) Nel Regno Unito, l'Anarchist Communist Network (ACN) invita i lavoratori a resistere al massacro che il capitalismo ha preparato per noi in una dichiarazione assolutamente internazionalista, che si conclude con queste parole: "Né uno Stato né due Stati possono porre fine a questo ciclo, nessun agente del capitalismo è in grado o disposto a farlo. Tutte le loro guerre sono dirette contro la nostra classe. La guerra di classe è la nostra unica risposta ed è per questo che, qui come in Ucraina, diciamo: 'Resistete alla loro volontà di guerra - no alla guerra imperialista, sì alla guerra di classe!' " (10). Anche la CNT-FAI (Francia) ha chiarito la sua posizione: "Ancora una volta, coloro che decidono le guerre non sono quelli che vi muoiono... Ancora una volta è la popolazione civile a soffrire, da Sderoth a Gaza. Tutte le ideologie utilizzate da chi detiene il potere, ossia il nazionalismo e la religione, sono i pilastri di questa logica omicida che spinge le persone a uccidersi a vicenda a beneficio dei governanti di questo mondo. Né Hamas né la colonizzazione! Finché ci saranno Stati, ci saranno guerre" (11).
Pur avendo divergenze con tutti questi gruppi, riconosciamo che si tratta di affermazioni sul terreno di classe. Tutti pongono come problema centrale la sopravvivenza del capitalismo e invitano la classe lavoratrice a rifiutare il nazionalismo, opponendo invece la lotta di classe alla guerra capitalista.
Sempre tra gli anarchici, la dichiarazione iniziale del Gruppo Comunista Anarchico (GAC) è chiaramente internazionalista: "Contro la barbarie del capitalismo e la marcia verso la guerra mondiale, facciamo appello all'unità della classe operaia, all'internazionalismo e alla preparazione di movimenti di massa capaci di attuare la rivoluzione sociale e di creare il comunismo libertario. No alla guerra, guerra di classe!” (10), anche se le dichiarazioni successive hanno messo in dubbio questo punto e mostrano, a nostro avviso, una chiara capitolazione nel sostegno della sinistra alla "resistenza" palestinese, cioè alle milizie assassine di Hamas e, in ultima analisi, agli obiettivi di politica estera dell'Iran. Ciò dimostra una tendenza preoccupante tra gli anarchici che hanno sostenuto vari progetti di "liberazione", dal Rojava all'illusione di brigate "antiautoritarie" (che combattono a fianco di veri e propri fascisti ideologicamente motivati) in Ucraina. (11) Il GAC è stato chiaro nel suo rifiuto del nazionalismo in Ucraina, ma ora sembra entrare nel pantano della politica borghese in Palestina.
Crediamo che il dovere necessario dei militanti comunisti in situazioni come questa sia quello di affermare in modo inequivocabile che tutte le nazioni sono capitaliste, che non esiste una strada "nazionale" verso la libertà, che tutte le soluzioni capitaliste sono un disastro per la nostra classe e, in ultima analisi, per l'umanità, che l'unica soluzione alla guerra, alla miseria e alla distruzione dell'ambiente è che la classe operaia distrugga il capitalismo e realizzi un mondo in cui la produzione sia pianificata per soddisfare i bisogni dell'umanità.
Ma questo primo passo non è di per sé sufficiente. I rivoluzionari devono anche organizzarsi. Dobbiamo essere in grado di portare il nostro messaggio alla classe - un messaggio che, non stiamo esagerando, è una questione di vita o di morte per la classe operaia - in modo massiccio e ripetuto, ovunque possiamo essere ascoltati. Non basta proclamare che la guerra è sbagliata e dire poi che il nostro lavoro è finito. Dobbiamo trovare il modo di parlare con i lavoratori, di avere rapporti reali, di avere un ascolto reale tra la gente. Pensiamo che i comitati No War But The Class War (NWBCW), in cui siamo direttamente coinvolti nel Regno Unito, in Canada, in Francia, in Australia e altrove, e quelli a cui non abbiamo potuto partecipare ma che abbiamo salutato con favore in Corea e in altri Paesi, siano un altro passo essenziale.
Quello che non crediamo che gli internazionalisti debbano fare è l'attaccarsi a vicenda. Abbiamo sempre creduto che le vecchie polemiche sarebbero state risolte o rese vane dall'emergere di un nuovo movimento di classe. Dopo quarant'anni, potremmo addirittura essere sul punto di vedere comparire un nuovo movimento di classe in risposta al peggioramento del tenore di vita, alle guerre e ai disastri ambientali causati dal cambiamento climatico indotto dal capitalismo. Tuttavia, questo non è nelle possibilità dei rivoluzionari e, dopo decenni di arretramento di classe, l'emergere di un nuovo movimento operaio potrebbe richiedere del tempo. Nel frattempo, la strada che il capitalismo sta percorrendo è una tale minaccia per il futuro dell'umanità che dobbiamo trovare il modo di lavorare insieme. Siamo quindi pronti a collaborare con tutti i gruppi e gli individui che accettano le premesse fondamentali dell'internazionalismo: che tutti gli Stati agiscono nell'interesse del capitale, che tutti i lavoratori hanno gli stessi interessi fondamentali, indipendentemente dalla nazione di appartenenza, dal sesso, genere o “razza”, che il capitalismo è un sistema che sta portando l'umanità verso l'abisso e che solo il suo rovesciamento da parte della classe lavoratrice darà un futuro all'umanità. In un momento in cui il capitalismo ci sta portando sempre più vicino all'apocalisse attraverso la guerra e il moltiplicarsi dei disastri ecologici, è criminale negligenza del nostro dovere di rivoluzionari permettere che un meschino settarismo ci renda ciechi di fronte alla realtà della situazione. I vari organismi statali responsabili del controllo dei gruppi rivoluzionari (non siamo così ingenui da pensare che non ce ne siano) si staranno sicuramente sbellicando dalle risate di fronte a questi gruppi di cosiddetti "rivoluzionari" che passano la loro vita a cercare di disturbare le riunioni di altri gruppi e a polemizzare all'infinito contro quelli con cui dovrebbero lavorare. Non c'è bisogno che lo Stato mandi i suoi agenti a disturbare il lavoro dei rivoluzionari se i cosiddetti "rivoluzionari" fanno il lavoro da soli.
Continueremo a lavorare nei comitati della NWBCW, con quei gruppi e individui che, pur non essendo d'accordo con loro su tutto, possono comunque accettare di lavorare insieme per portare un messaggio internazionalista e anticapitalista alla classe operaia. Esortiamo tutti i rivoluzionari, anche se non possono, per divergenze di analisi o di metodo, ad aderire all'ICW, a cercare almeno di lavorare nei comitati NWBCW, contro questa guerra, l'ultima guerra, la prossima guerra, e anche per l'auto-organizzazione della classe operaia, contro tutte le orribili e barbare manifestazioni del capitalismo che assillano la nostra classe e l'umanità intera. Abbiamo una strada molto lunga da percorrere prima che la classe operaia mondiale sia in grado di rovesciare il capitalismo. Non ci facciamo illusioni, ma è fondamentale percorrere questa strada. Se non lo facciamo, il futuro sarà solo un orrore infinito di guerra e distruzione.
Tendenza Comunista Internazionalista
Note:
(4) international-communist-party.org
(7) en.internationalistvoice.org
(11) Actualité de l'Anarchosyndicalisme HALTE LA BARBARIE !
(14) Per maggiori informazioni sugli obiettivi dei comitati NWBCW si veda leftcom.org.
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