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Home ›Ipocrisia imperialista in Oriente e in Occidente
Con l'aumento del numero di morti a Gaza, molti dei quali bambini, vengono messi a nudo i doppi standard della realpolitik imperialista. Per le “nostre” classi dirigenti, alcune vite valgono più di altre. Sono le alleanze economiche, politiche e militari a decidere di quali atrocità si parla e dove. Basta confrontare i diversi blocchi di voto nelle risoluzioni delle Nazioni Unite su alcuni recenti conflitti, o il modo in cui i media mainstream di tutto il mondo li hanno trattati. Ancora meglio, osserviamo le risposte ipocrite di alcuni dei nostri stimati leader mondiali:
- Il Presidente degli Stati Uniti Biden aveva definito l'uccisione di civili ucraini un "crimine di guerra", ma in risposta alla notizia di oltre 7.500 morti palestinesi [8.306 morti palestinesi (3.500 minori) finora, 30 ottobre] finora] ha dichiarato di non avere "fiducia" nei numeri. Il suo regime proclama che Israele ha "il diritto di difendersi".
- Il Presidente russo Putin ha parlato delle "catastrofiche" morti tra i civili a Gaza, ma non si è pubblicamente assunto la responsabilità di una sola morte tra i civili in Ucraina (cifra che ufficialmente è di 10.000, ma potrebbe essere molto più alta).
- Il Presidente della Turchia Erdoğan ha dichiarato Israele "occupante" e ha denunciato il "massacro" dei palestinesi. Nel frattempo, il suo regime continua a bombardare regolarmente le aree curde in Iraq e Siria.
- Dopo aver represso brutalmente le proteste di massa nel suo Paese (uccidendo almeno 500 persone), il presidente iraniano Ebrahim Raisi denuncia ora i "crimini di guerra" israeliani e proclama che sono i palestinesi ad avere il "diritto all'autodifesa".
Queste dichiarazioni non dovrebbero sorprendere. La moralità capitalista è poco più di un esercizio di pubbliche relazioni. In guerra, viene usata per radunare il pubblico contro un nemico comune, chiunque esso sia. Ciascuna delle parti in causa denuncia i "crimini di guerra" dell'altra. Per l'Occidente la negazione dell'acqua e dell'energia elettrica ai cittadini ucraini era un "crimine di guerra" russo, ma la stessa politica di guerra totale di Israele a Gaza è giustificata. I vari "diritti" (all'autodifesa, all'autodeterminazione, ecc.) vengono invocati quando è conveniente e negati quando è necessario. Questi "diritti" hanno lo scopo di dare alla realtà violenta dei rapporti imperialisti tra le nazioni una parvenza di ordine e razionalità. Ma è la lotta per i mercati, le materie prime, la tecnologia, la terra e i profitti a dettare realmente la politica internazionale. Ed è in questo contesto politico che hanno luogo le reciproche accuse di "pulizia etnica" o addirittura di "crimini contro l'umanità" e "genocidio". Solo negli ultimi tre anni almeno quattro conflitti sono stati descritti in questi termini da varie fonti concorrenti: Tigray, Ucraina, Nagorno-Karabakh e ora Gaza. Anche gli omicidi di massa e le espulsioni di massa mirate a livello etnico sono una naturale conseguenza dei regimi post-coloniali basati su lealtà etniche e tribali, ma nella logica contorta del sistema questi episodi diventano parte della competizione imperialista. Nella guerra moderna, anche la preoccupazione umanitaria diventa un'arma politica per alimentare ulteriori conflitti, perché gli attori capitalisti si rendono conto che può preannunciare sanzioni internazionali o interventi stranieri a favore di chi è considerato la vittima.
Per i comunisti internazionalisti, la colpa degli orrori che si stanno attualmente scatenando nel mondo - che si tratti di Gaza, Bakhmut, Nagorno-Karabakh o qualsiasi altro luogo - è da attribuire all'intero e marcio edificio capitalista imperialista. Per decenni abbiamo avvertito che la crisi di un sistema affamato di profitti porterà a un aumento degli scontri militari. Ora stiamo vedendo le conseguenze reali di questa spinta alla guerra: città e villaggi distrutti da razzi e droni, interruzioni della catena di approvvigionamento globale, arruolamento e repressione delle proteste, massacri in prima linea e sfollamento di massa dei civili. Le vittime, coloro che sono costretti a uccidere e morire per la "loro" nazione, sono la classe operaia globale.
Le soluzioni diplomatiche, dettate dall'uno o dall'altro attore capitalista, possono solo rimandare l'inevitabile. Le contraddizioni di un sistema basato sulla competizione economica e militare tra Stati capitalisti ostili non si risolveranno nel quadro di tale sistema. I comunisti internazionalisti non chiedono "cessate il fuoco", non fanno appelli alla "democrazia" o ai "diritti" delle nazioni, non per mancanza di compassione o per indifferenza, ma perché vedono il sistema per quello che è realmente. C'è solo una via d'uscita: che i lavoratori "disertino la guerra", fraternizzino al di là di tutte le frontiere, si rifiutino di uccidere e mutilare i loro fratelli di classe, rivolgano la loro rabbia contro le classi dirigenti responsabili di aver gradualmente trasformato il nostro pianeta in un mondo in fiamme. Invece di schierarci in queste guerre totali imperialiste che radono al suolo intere città, uccidendo i non combattenti in proporzione maggiore rispetto ai combattenti veri e propri, il nostro compito è quello di indicare dove queste guerre ci stanno portando. Alla fine si arriverà a un conflitto generalizzato.
Quello che sta accadendo alle popolazioni di Gaza, Israele, Ucraina e Nagorno-Karabakh, indipendentemente dal fatto che sostengano o meno il “proprio” regime, si sta avvicinando anche a noi. Il cinismo della borghesia è evidente. Una combinazione di atrocità, ipocrisia e manifestazioni di finta preoccupazione emotiva da parte dei portavoce del capitale. I video e le foto, le testimonianze delle vittime, Gaza in rovina, sono sotto gli occhi di tutti sui social media. Anche se in questo momento la prospettiva di molti è ancora oscurata dalle bandiere palestinesi, ciò che sta accadendo dovrebbe essere un campanello d'allarme per tutti i lavoratori: è il futuro che il capitalismo ha in serbo per l'umanità.
I conflitti in corso ci mostrano chiaramente che cosa sia la barbarie capitalista. La nostra alternativa, l'unica possibile per quanto possa sembrare lontana, deve rimanere il socialismo.
No alle guerre dell'imperialismo, sì alla guerra di classe, per porre fine al sistema che produce tali atrocità.
DyjbasCWO - Organizzazione comunista dei lavoratori
28 ottobre 2023
Note:
Immagine: Wafa & APAimages (CC BY-SA 3.0), commons.wikimedia.org
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