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Home ›Fra un’era unipolare ed una multipolare… Uniti sotto la bandiera dell’imperialismo …le borghesie di Palestina e Israele con le mani sempre più sporche di sangue
Molti pseudo “comunisti” da operetta (i cui finali sono purtroppo sempre tragici) di fronte alla operazione militare scatenata contro Israele dai miliziani di Hamas, la definiscono una offensiva che continuerebbe ad ispirarsi all’Intifada della primavera 2021. Si tratterebbe di un appoggio alle resistenze “popolari” che alimentano i cosiddetti movimenti di liberazione nazionale affinché tutti possano partecipare liberamente al gioco imperialista – sì - ma multipolare.
Viene così avanti una visione strategica tanto cara da qualche decennio ad una certa “sinistra popolare”, e secondo la quale si starebbe aprendo un fronte della guerra globale tra oppressori e oppressi, tra sfruttatori e sfruttati. In primis contro l’imperialismo USA e i suoi alleati nelle regioni medio-orientali. Al punto che si lanciano appelli affinché tutto il movimento di classe esprima “la necessaria e dovuta solidarietà internazionalista”.
Tralasciamo l’imbarazzo che ha colto una parte delle stesse borghesie arabe che stavano stabilendo dei rapporti con Israele, a cominciare dalla Arabia saudita, sostenuto da Washington. In questa pseudo lotta di liberazione dei palestinesi entrerebbe di tutto, dagli elementi nazionali a quelli internazionali, dai problemi sociali ad un riscatto degli oppressi e degli sfruttati non meglio definito nella sostanza.
Saremmo in presenza di un potenziale sociale pronto ad esplodere. Metterebbe in qualche allarme i governi arabi, ma a quanto ci risulta – a cominciare dalla pressoché totale assenza di un guida politica di classe (quale dovrebbe essere il partito comunista rivoluzionario) – siamo ancora lontani dall’inizio di una vera e propria lotta di classe. Non solo: chi guida oggi i palestinesi, Hamas, è una formazione jihadista che, in quanto tale, è nazionalista conservatrice in termini economici, reazionaria in quelli politici, legata ad un medio evo sociale e ad una “internazionale” jihadista che comprende gli avanzi dell’ISIS. Vedi la repubblica degli Ayatollah che hanno nel loro statuto l’anticomunismo come fondamentale discriminante politica.
Ci viene detto che saremmo davanti ad un “rovesciamento orwelliano della realtà “, addirittura con l’apertura di “un processo rivoluzionario”. Questo si legge in scritti di soggetti che esibiscono le carte false di “comunisti” (vedi “il punto rosso” e “contropiano”). Lo fanno applaudendo alle “scosse telluriche” che scuotono il “vecchio ordine mondiale del capitalismo a guida statunitense”. E questo è per loro il problema da risolvere: si tratterebbe di cambiare il padrone imperialista in carica, sostituendo ai gangster occidentali quelli orientali. Per il modo di produzione capitalistico si aspettano un “sorpasso” guardando – il tifo non manca – al capital-socialismo o alla promessa di qualcosa di simile (mai però ben specificato se non sulla falsariga di un capitalismo “popolare”, pubblico, addolcito e reso più giusto di quello privato!). Si dice che questa è la strada per “regolare definitivamente i conti con il modo capitalista”… mantenendo intatti i vigenti rapporti di produzione ed anzi rafforzando ancor di più quelle controtendenze con le quali il capitale – da decenni – tenta di far regredire quella caduta del saggio medio di profitto che travaglia il capitalismo sia ad Occidente sia ad Oriente.
E poiché si starebbe rompendo “la crosta dell’ordine imperialista che schiaccia i popoli arabi e _umilia le società arabe_”, aiutiamo queste a meglio valorizzarsi… eticamente. Nel frattempo si vocifera di imminente “svolta storica” e si inneggia ad un processo di rivoluzione democratica e di anti-imperialismo, quello praticato dall’Occidente, poiché ad Oriente il capitale si comporterebbe diversamente... Sarebbe la eliminazione dei pericoli per la stabilità economico-finanziaria europea e nel resto del mondo. Non solo, ma così si darebbe il via, specie in Oriente, ad una ripresa delle lotte e dell’organizzazione del movimento proletario. Lo si avvertirebbe già – scrivono - dagli ultimi episodi come quello in Palestina, “uno scatto in avanti offensivo del moto di risveglio delle masse lavoratrici del Sud del mondo”. E questo grazie anche allo “strepitoso ingegno e coraggio” dei miliziani di Hamas…
Il fatto, piuttosto evidente, che Hamas e la sua corrente politica si muovano in base ad esigenze dei poteri forti dai quali dipende la corrente politica di cui fanno parte, diventerebbe del tutto trascurabile. Lo stesso per quanto riguarda la attuale situazione interna palestinese, non certo tranquilla, e per certe tendenze politiche – in campo internazionale e medio-orientale - che vedono aprirsi non poche falle in quel fronte arabo che dovrebbe contrapporsi ad ogni patteggiamento con Israele e che invece cominciava a non escludere l’allacciarsi di qualche negoziato più o meno ufficializzato con Tel Aviv.
Non poche incertezze si cominciavano ad agitare, specie fra gli Emirati (Qatar) e l’Arabia Saudita, nonostante l'Iran degli Ayatollah stesse soffiando sul fuoco. Il quale già brucia nel pieno di quel macello bellico che sconvolge l’Ucraina e che in fatto di ferocia criminale vede la borghesia (e il capitale) di Oriente in perfetta sintonia con quella di Occidente.
Isolare Hamas non è facile – Ritornando a ciò che fino a ieri si poteva anche concretizzare nei negoziati più o meno segreti che miravano ad accordi fra Israele e Arabia Saudita, non si esclude che vi sia stata una indiretta partecipazione dell’Autorità Nazionale Palestinese. Il che significava la tendenza ad un isolamento di Hamas che poteva portare anche ad una sospensione degli abbondanti aiuti finanziari che gli giungono da Riad e dal Qatar ed ultimamente (soprattutto) anche dall’Iran. Riguardo agli Hezbollah libanesi è evidente che al momento, e data la situazione disastrosa del Paese, non potrebbero che continuare ad esprimere una formale solidarietà. Per di più vi è stato anche un deteriorarsi (vero e proprio scontro) dei rapporti di Hamas con l'Autorità Nazionale Palestinese di Habbas mentre interessante - non facile, ma utile - sarebbe il ristabilire migliori rapporti tra sunnismo e sciismo, magari nel nome di un rilancio dello jihadismo che faccia da bandiera al vento di una guerra santa contro l'Occidente imperialista al quale Israele fa da gendarme in M*edio* Oriente. Un Oriente il quale – secondo il pensiero di chi finge di interpretare un ruolo non suo per meglio tradire gli interessi di un proletariato smarrito e confuso – sarebbe ancora capitalista, ma non si muoverebbe affatto con politiche e strategie imperialistiche. Tali sarebbero, infatti, solo quando sono indirizzate contro un Oriente pacifico, addirittura impegnato in una fase di possibile introduzione di un socialismo” popolare gradito anche al capitale. La Cina lo starebbe già costruendo, mentre la Russia offre le sue passate esperienze in fatto di capitalismo di Stato. Entrambe (ma soprattutto la prima) sarebbero pronte ad affermarsi come principali attori della farsa (con finale drammatico) che storicamente sta per svolgersi. Gli Usa, in vista di ogni possibile sviluppo, si tengono pronti al peggio e tengono all’erta nel Mediterraneo i mezzi navali della loro VI flotta.
Più che mai, per il proletariato d’Oriente come d’Occidente non rimane che una sola carta da giocare, quella della rivoluzione comunista. Ma sarà necessaria la ripresa della lotta di classe e la presenza del partito che lo guidi sulla giusta via, e per questo vanno aiutati gli sforzi che in tale direzione vengono da noi indirizzati. E questo riguarda anche la attuale situazione in Israele ove la mobilitazione di oltre350mila riservisti, in età da lavoro, sta creando in alcuni casi molte difficoltà in alcuni settori, specie in quello agricolo. Aspetto di non poco… conto, si va notando l’accentuata volatilità della moneta nazionale di Israele, tant’è che qualcuno accenna ad una svalutazione. La Banca centrale continua iniezioni miliardarie nel mercato mentre gli indici valutari sono in continuo ribasso. Il mercato immobiliare è prossimo ad un collasso.
Ed anche a questo non siamo affatto indifferenti, mentre giunge stonato il coro di quanti chiedono un mondo di paesi sovrani in cui i popoli possano determinare il proprio futuro, liberi dalla dittatura economica globale imposta dall’Occidente (osteggiata dall’Oriente che sogna spazi per imporre la propria egemonia…), liberi da misure coercitive unilaterali. Ma non basta: il mondo Orientale avrebbe bisogno di reti commerciali, finanziarie, di comunicazione e di trasporto libere dal controllo dell’Occidente. In questa direzione, la formazione di nuove organizzazioni per la cooperazione tra Stati, libere dal controllo occidentale, e il ruolo rafforzato del Sud del mondo nelle organizzazioni internazionali esistenti, rappresenterebbero uno sviluppo per il capitale orientale.
– Per mantenere un ordine mondiale unipolare (e una “pace giusta e permanente”) viene avanti l’offerta di una “amicizia e fratellanza” costruita coi cascami ideologici e pseudo-progressisti che - nel nome di un “multipolarismo democratico” – si offrono quali difensori integrali dei diritti umani e civili. E chi diffonde simili fandonie, si prepara ad esercitare l’imposizione di un proprio dominio, politico e militare. Esponendo un quadro dove le “pennellate” bellicose si vanno allargando, il coro dei pacifisti si appella alla sovranità degli Stati – Cina e Russia innanzitutto – e denuncia provocazioni belliche contro il loro pacifismo… innato.
Campo dichiaratamente borghese come in quello camuffato da “sinistra rivoluzionaria”, le cui parole d’ordine nazionaliste borghesi hanno cancellato qualsiasi prospettiva di lotta internazionalista.
Queste litanie non sono soltanto patrimonio delle consorterie pacifiste che alzano i loro cori ogni qualvolta nel bel mondo capitalista si alzano venti di guerra, ma le ascoltiamo pure da chi – camuffato da… “sinistra rivoluzionaria” – non perde occasione per mostrare l’estremo grado della stupida piaggeria, servile ed opportunista, che li porta - inevitabilmente – a schierarsi accanto all’uno o all’altro dei centri imperialistici. Lo dichiarano ufficialmente, in particolare quelli che reggono la coda all’imperialismo d’Oriente.
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