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Home ›La crisi agricola: un modello perfetto dell'attuale crisi capitalistica
Pubblichiamo questo articolo dei compagni del Groupe Révolutionnaire Internationaliste sulle proteste dei “trattori”, perché, al di là delle specificità francesi, le considerazioni politiche sull'agricoltura nel capitalismo hanno una valenza generale.
“Senza denaro, la produzione agricola moderna è impossibile, dice, o, ciò che equivale alla stessa cosa, è impossibile senza capitale. Infatti, con l'attuale modo di produzione, qualsiasi somma di denaro che non sia destinata al consumo personale può essere trasformata in capitale, cioè in un valore che genera plusvalore e, di norma, viene trasformata in capitale. La produzione agricola moderna è quindi una produzione capitalistica.”
Karl Kautsky, La questione agraria
Oggi più che mai, l'agricoltura moderna richiede enormi investimenti in attrezzature e fattori produttivi (prodotti fitosanitari, la famiglia dei pesticidi, attivatori o ritardatori della crescita, sementi e piantine) per poter operare, che possono essere sostenuti solo da grandi gruppi finanziari, o addirittura da gruppi speculativi, a causa del prezzo di borsa dei cereali. In questo contesto, le aziende agricole familiari alla lunga sono condannate.
Tuttavia, il calo di produttività registrato dalle grandi aziende agricole sta portando sempre più a una riduzione dei terreni incolti, cosa che sta già avvenendo. La riduzione del 4% dei terreni a riposo (siepi, ecc.) prevista dal governo francese e dall'UE è ridicola per qualsiasi persona di buon senso. A cosa serve qualche ettaro in più? Ecco perché la crisi agricola è un modello chimicamente puro di ciò che si prospetta per ogni altro settore dell'economia.
Le proteste degli agricoltori hanno preso piede in Europa nelle ultime settimane, con manifestazioni in Germania, Paesi Bassi, Romania, Polonia e altrove (Italia, per es.).
In Francia, il movimento sta guadagnando slancio e si è sviluppato dalla scorsa settimana con blocchi stradali in tutto il Paese (il blocco è iniziato il 18 gennaio a Carbonne, a sud di Tolosa, sulla strada per Tarbes, sulla A64). A prima vista, sembra che le cause di questa rabbia siano disparate, con lamentele che verterebbe su questioni diverse in tutta Europa e anche in Francia.
Gli agricoltori francesi non sono gli unici a essere messi sotto pressione, da un lato da eventi climatici estremi, dall'altro dall'impennata dei costi di produzione, dalle conseguenze dell'eccessiva deregolamentazione dei mercati commerciali e dalla guerra in Ucraina. Migliaia di agricoltori hanno bloccato Berlino il 22 gennaio per protestare contro la graduale eliminazione di un'agevolazione fiscale sul gasolio, dopo settimane di manifestazioni in tutto il Paese. Martedì 23, gli agricoltori rumeni hanno ripreso le loro proteste contro il costo del gasolio, i premi assicurativi e le norme ambientali.
In Francia, secondo la piattaforma ecologista "Per un'altra PAC", ogni settimana scompaiono duecento aziende agricole. Ciò è dovuto all'età (la metà delle aziende agricole ha un agricoltore di oltre 55 anni), ma soprattutto ai bassi redditi e alla volatilità dei prezzi dei prodotti agricoli. La Politica Agricola Comune (PAC), creata nel 1962, tra i suoi suoi cinque obiettivi uno era quello di "garantire un equo tenore di vita alla comunità agricola". Alla fine gli agricoltori saranno schiantati, perché non potranno più competere con le grandi aziende capitalistiche che hanno beneficiato della globalizzazione e del reddito della PAC, distribuito principalmente alle grandi aziende industriali.
L'impasse capitalista
In realtà, l'agricoltura è prima di tutto un'attività capitalistica, altamente industrializzata e, per la maggior parte, altamente concentrata. Per comprendere la crisi attuale, dobbiamo analizzarla in quanto tale. Ma il suo sviluppo complessivo è un riflesso chimicamente puro dell'attuale situazione di stallo del capitalismo. Infatti, questa crisi rivela in modo straordinario la situazione generale del sistema.
L'obiettivo della produzione agricola francese non è più, contrariamente a quanto le classi dominanti cercano di far credere, quello di "nutrire la Francia", ma piuttosto quello di conquistare i mercati mondiali per aumentare i profitti. Ma per l'UE, liberalizzare sempre più i mercati europei significa aprire le frontiere e firmare trattati con Paesi che producono a basso costo (CEFTA con il Canada nel 2016, JEFTA con il Giappone nel 2019, il trattato commerciale del 2019 con il Vietnam, la ratifica del 22 novembre 2023 per le esportazioni di ovini con la Nuova Zelanda, e il Mercosur con Brasile, Argentina, ecc: Brasile, Argentina...) che la maggior parte degli allevatori europei e francesi non può seguire. Come per l'industria in generale, questa politica cerca di abbassare i prezzi al livello di quelli dei Paesi in cui il reddito non è garantito ed è ben al di sotto del salario minimo francese.
Ma queste erano le condizioni che prevalevano durante la "felice" globalizzazione, quando le classi dirigenti pensavano che il libero scambio fosse la soluzione per sviluppare l'industria e fare affari "come al solito".
Ora non è più così. Per l'agricoltura tutto è finito negli anni 2000. A quel punto, la produttività del settore agricolo francese ha iniziato a ristagnare, o addirittura a diminuire, secondo Analyses et Perpectives (1), una rivista pubblicata dalle camere dell'agricoltura. Questo documento stima che gli aumenti di produttività cumulati tra il 1980 e il 2022 ammontino a 25 miliardi di euro, ma tre quarti di questa somma sono spiegati dagli aumenti di produttività ottenuti prima del 1995. Le condizioni favorevoli all'agricoltura industriale si sono completamente invertite. È per questo che la FNSEA, il sindacato agricolo favorevole all'industrializzazione, sta cercando di cambiare le regole della PAC europea. Il settore sta affrontando i venti contrari della crisi ecologica, della crescente concorrenza internazionale e del rallentamento della domanda globale. È un vicolo cieco capitalista.
Come possiamo sopravvivere?
Senza aumenti di produttività, aumentare i profitti non è un compito facile. Si può ridurre il salario orario o aumentare i prezzi. Ma nessuno dei due metodi è davvero soddisfacente per il settore agricolo. E in ogni caso, non è possibile aumentare i prezzi di fronte alla grande distribuzione (Nactalis, ecc.) che negozia sempre al ribasso. Di conseguenza, i piccoli e medi agricoltori sono condannati senza aiuti pubblici. Anche le aziende agricole industriali devono affrontare un'enorme concorrenza di mercato. Anche loro, a lungo termine, sono condannate.
L'agricoltura è quindi in prima linea nell'attuale crisi capitalistica, ma è una crisi nella crisi. Se i salari vengono abbassati perché gli aumenti di produttività globali sono bassi, una strategia basata sui prezzi, anche se gli agricoltori eliminano tutti gli intermediari, è insostenibile a lungo termine.
È quindi facile comprendere l'attuale malcontento degli agricoltori che, come tutti gli strati sociali intermedi, sono destinati a scomparire di fronte alla finanziarizzazione e ai grandi gruppi industriali. In un certo senso, gli agricoltori si uniscono agli altri strati sociali colpiti duramente dalle conseguenze della crisi economica, come i Gilets jaunes, i tassisti, i pescatori e così via. Tutto questo dovrebbe finalmente spingere la classe operaia a reagire. Solo lei ha la chiave della situazione.
29 gennaio 2024
note
1) N° 2206 maggio 2022 : chambres-agriculture.fr
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