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Home ›Cronache dai tombini della borghesia. Su Acca Larentia e Ilaria Salis
L'inizio dell'anno nuovo ha visto tornare di attualità il tema del riemergere di rigurgiti neofascisti in Italia e non solo. Il primo evento che ha fatto balzare agli onori della cronaca l'allarme per il rischio che qualcuno si faccia prendere da certe nostalgie e metta la testa fuori dai tombini, è stata la commemorazione dei morti di Acca Larentia. Questa ricorrenza, che per la fascisteria di casa nostra è un po' come il venerdi santo per i cattolici, viene onorata ogni 7 gennaio dal 1979 a oggi. Sembra che in tanti a sinistra siano cascati dalle nuvole nella loro feroce indignazione. Ci si potrebbe chiedere dov'erano questi compagni (chiamiamoli così, per la buona fede di tanti di loro) quando Acca Larentia, pretesto col quale si accusa il governo Meloni di avere la mano leggera se non l'aperta connivenza con la galassia neofascista, veniva tollerata anche da parte di governi cosiddetti progressisti. Ovviamente i riferimenti alla Costituzione in questi casi non sono mancati, se non fosse che si è ignorato - o fatto finta di ignorare - che l'antifascismo di cui si ammanta quest'ultima viene completamente svuotato di significato con la difesa che viene fatta - qualche articolo più in là - della proprietà privata e della libera iniziativa, quindi del capitalismo. Il capitalismo però non è altro che il sistema la cui difesa, nei momenti di crisi, la borghesia delega alle terapie fasciste, a base di manganello e olio di ricino, perché le terapie democratiche non danno più i risultati sperati. Ma va detto anche che nella Costituzione non c'è scritto da nessuna parte che ai democratici reparti della celere è vietato massacrare gli operai che scioperano: infatti - anche se lo comprendiamo da un moderato di sinistra, al quale non passa nemmeno per l'anticamera del cervello il progetto di un cambiamento rivoluzionario - non capiamo invece da parte di chi si definisce comunista questa accanita difesa di un pezzo di carta che non fa altro che sancire la forma che la dittatura borghese assume quando i tempi le evitano di ricorrere al bastone, solo perché la minaccia operaia si è allentata, e cioè la democrazia; a meno che, col comunismo c'entrino come i cavoli a merenda. A ogni modo la magistratura e gli organi inquirenti si sono mossi e sono fioccate le denunce nei confronti di coloro, cioè tanti, che durante il cerimoniale hanno alzato il braccio nel saluto romano. Probabilmente qualcuno, sempre in quella specie di sinistra, avrà esultato ma gli andrebbe ricordato come dagli apparati statali, in ogni loro articolazione, sia poco realistico illudersi - a parte sparuti casi - che si trasformino in strumenti di contenimento di un'ipotetica ondata fascista. Un conto è comminare qualche pena lieve adesso che le camicie nere del nuovo millennio, pur alzando la testa, non sono certo un pericolo per la democrazia né in termini numerici né in termini di peso politico. Un altro conto è farlo in momenti nei quali allo Stato conviene lisciargli il pelo e tenersele buone.
Il secondo spunto di riflessione sul tema ce lo dà la vicenda di Ilaria Salis, detenuta nelle carceri ungheresi per avere aggredito (dice l'accusa) due neonazisti. Sembra incredibile, ma per la sua scarcerazione e per fare si che un'eventuale condanna ai domiciliari venga da lei scontata in Italia c'è stata – apparentemente - una solidarietà bipartisan, che ha attraversato tutto l'arco parlamentare. Questo non perché il governo di destra è diventato improvvisamente tollerante verso gli antifascisti. Immaginate: se fosse stata una donna ungherese (o maghrebina, o del Burkina Faso) ad aggredire dei nazisti italiani qua da noi, ci sarebbe stato lo stesso atteggiamento solidale nei suoi confronti o di condanna verso una detenzione ingiusta da parte delle istituzioni italiane? Intanto, a quanto pare, la diplomazia può fare poco (cosi dice...) e la "giustizia" ungherese - quella che l'ha trascinata in un'aula di tribunale con le catene ai piedi e ai polsi - farà il suo corso senza accettare alcuna ingerenza da parte italiana, il che tradotto vuol dire che Ilaria resterà in cella a Budapest. Il che è di per sé motivo di un certo imbarazzo tra i due governi, viste le affinità e la comunanza di vedute tra la Meloni e Orban.
Concludendo.
Noi da sempre scartiamo le etichette precedute dal prefisso "anti". Ce n'é una sola ad andarci a genio, l'anticapitalismo, perché include tutte le altre che per noi è superfluo sottolineare, una per ogni aspetto negativo del sistema che vogliamo rovesciare. Che senso ha lottare contro una o più sovrastrutture del capitalismo lasciandone inalterate le fondamenta? Non si può affrontare il fascismo separatamente dalla lotta contro il sistema economico che ne è causa e del quale il fascismo stesso è una delle due forme, che rappresenta l'alternativa a quella democratica. La lotta al fascismo, al di là di tutta la solidarietà che possiamo esprimere ed esprimiamo per Ilaria, è solo parte della più complessiva strategia di superamento di questo sistema basato sullo sfruttamento, sulle disuguaglianze e sulla povertà di tanti a beneficio di pochi. E lo stesso vale per la guerra, il razzismo, le migrazioni, le questioni legate al clima e all'ambiente. Non sono problemi che si possono affrontare separatamente dalla questione principale: la conquista del potere politico da parte del proletariato.
IB
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